secchione
Solo in Pg XVIII 78 La luna, quasi a mezza notte tarda, / facea le stelle a noi parer più rade, / fatta com'un secchion che tuttor arda. Il paragone della luna con un s., a prima vista strano, ha creato incertezza sia a livello testuale (donde le varianti scheggion, saccon, tizzon, ecc., per le quali v. Petrocchi, ad l.) sia a livello esegetico.
Per gli antichi l'immagine si richiama a " una secchia di rame... accesa di fuoco " (Ottimo), a " un caldaione di rame che tuttavia arda " (Buti) oppure, come pensa Benvenuto con riferimento alla forma della luna (" semirotunda "), a un faro acceso nella notte per dirigere i naviganti in porto.
In seguito continuano i tentativi di dar senso alla similitudine, soprattutto sulla base dell'aspetto che la luna aveva assunto per la sua fase: " perché era cominciata ad oscurarsi et a menomarsi dalla parte occidentale, e da quella rendeva effigie di un gran secchio che nel fondo è cupo e tondo " (Daniello, e dopo, all'incirca con le stesse considerazioni, Venturi e Lombardi). Più preciso il Tommaseo: " La luna calante di cinque notti è quasi una sfera troncata; tonda nel fondo, tronca alla cima, come un secchione ". Maggiori particolari fornisce il Porena (v. la nota alla fine del canto): " Bisogna... pensare che il secchione dev'esser qui una di quelle secchie di rame emisferiche, che in Sicilia, e non so se anche altrove, si chiamano mezzarance; e allora già vedremo che la sua somiglianza con una certa fase della Luna non sembra tanto strana né per la forma né pel colore... Ricordiamo che nel quinto giorno dopo il plenilunio essa ha il suo contorno di levante a pieno semicerchio e quello di ponente ridotto a una enfiatura poco sporgente ... in questa fase la Luna davvero può far l'impressione d'un secchione quando, come avviene in un certo periodo dell'anno, appena spuntata ha il suo diametro intero molto inclinato sull'orizzonte in modo da avere la sua curva piena rivolta in basso e la curva piatta in alto; e l'illusione può essere aiutata dal fatto che, essendo presso all'orizzonte, ha spesso un color rosso rame ".
Il Barbi dal canto suo mette in evidenza l'uso comune del verbo ‛ ardere ' nel senso di " brillare ", " risplendere ", " rilucere ", " avere la lucentezza delle cose nuove ", e crede ammissibile in D. l'eco di Ezech. 1, 7 " et scintillae quasi adspectus aeris candentis " (v. Con D. e i suoi interpreti, Firenze 1941, 343-344). Il Pézard, supponendo un diverso riferimento biblico (Ierem. Proph. 1, 13 " Et factum est verbum Domini secundo ad me dicens: ‛ Quid tu vides? ' Et dixi: ‛ Ollam succensam ego video et faciem eius a facie aquilonis ' "; Ezech. 24, 6-9 " Propterea haec dicit Dominus Deus: ‛ Vae civitati sanguinum, ollae, cuius robigo in ea est... cuius ego grandem faciam pyram! ' ") lo ritiene giustificato " par les arrière-pensées morales du poète ", il quale " en reprenant l'image du chaudron ardent, vise une fois de plus Florence, ou peut-être Rome ".