ARÒ, Secondo
Nato ad Asti il 20 dic. 1769 dal medico Marcantonio, studiò giurisprudenza a Torino, dove probabilmente fu iniziato alle idee democratiche e repubblicane. Giovanissimo, cominciò con successo a esercitare l'avvocatura nella sua città mentre, con l'avanzare degli eserciti rivoluzionari, le idee giacobine si diffondevano più largamente tra la piccola e media borghesia delle città piemontesi e si estendeva il malcontento tra i contadini.
Nonostante la delusione provocata dall'armistizio di Cherasco (28 apr. 1796), che salvava la monarchia sabauda, i patrioti piemontesi moltiplicarono i loro sforzi per provocare un generale rivolgimento repubblicano, ed effettivamente nell'estate del 1797 si verificarono in varie località movimenti di rivolta, la cui simultaneità può far pensare a un piano insurrezionale ben concertato e ad una reale corrispondenza tra la propaganda giacobina e le obbiettive aspirazioni antifeudali delle popolazioni campagnole. In verità il giacobinismo piemontese, proprio negli avvenimenti dell'estate 1797, privato dell'appoggio delle armi francesi, si mostrò incapace a stabilire un rapporto -efficace, politico, con la massa popolare, specie coi contadini che negli ultimi decenni pur avevano dato luogo a continue agitazioni a causa del costante aumento dei prezzi, della rapacità degli affittuari, dell'attacco proprietario agli usi civici. La fisionomia e l'esito tragico dei moti piemontesi del 1797 furono quelli classici dei moti della fame, che i patrioti cercarono certamente di sfruttare, fors'anche spinti dall'insegnamento babuvista, ma in maniera episodica e inorganica.
Ad Asti già nel giugno 1797 s'erano avuti disordini durante una processione religiosa e, secondo la cronaca dettagliata e allarmatissima che della breve rivoluzione astese ha lasciato don Stefano Incisa, i giacobini locali, capeggiati dall'A., subito si diedero ad attizzare il fermento. Cosicché, quando il 22 luglio scoppiò il moto popolare a causa, soprattutto, del rincaro del prezzo del grano, essi ne assunsero facilmente la direzione. Sullo slancio dell'azione rivoluzionaria ispirata dal gruppo dei democratici più avanzati (fra i quali, oltre all'A., gli avvocati M. Peracchio, G. Testa, F. Berruti, il medico G. S. Berruti e alcuni popolani come V. Ainassi e G. B. Testa), il 24 luglio fu dichiarata decaduta la vecchia amministrazione comunale e formato un governo provvisorio, del quale l'A. fu chiamato a far parte a capo del dicastero denominato Comitato di forza armata. Quando in seno al nuovo governo si discusse l'editto regio del 24 luglio che condonava ogni pena a coloro che si erano resi colpevoli soltanto di tumulti contro il carovita, l'A. ne impose il rifiuto sostenendo che pubblicarlo sarebbe equivalso a capitolare; con pari energia agì allorché fu deciso che i capifamiglia dessero, attraverso una regolare votazione, il loro parere sulla nuova forma di governo: monarchia o democrazia. Nella seduta di governo del 28 luglio l'A. scatenò con il gruppo giacobino un violento attacco contro le incertezze della maggioranza moderata, fino a ridurla al silenzio; cosicché i democratici, rimasti padroni del campo, proclamarono la Repubblica astese di cui l'A. fu designato presidente.
A capo del regime popolare nella sua brevissima esistenza, l'A. prese saggi provvedimenti per garantire l'ordine interno e prevenire un possibile attacco dei regi; cercò anche di legare a sé la massa della popolazione propagandando gli ideali rivoluzionari e organizzando grandi cerimonie pubbliche, anche religiose. Ma molti restarono indifferenti, mentre il popolo dei sobborghi, apertamente incitato dal clero, cominciava a tumultuare. L'A. si decise allora a misure estreme: mentre delegati venivano inviati a Genova e a Milano presso il Bonaparte in cerca di appoggi, egli ordinò la mobilitazione generale, estesa anche ai religiosi, l'arresto dei nobili e la confisca dei loro beni. Ma i suoi ordini non furono eseguiti. Prima ancora dell'arrivo delle truppe regie, bande armate di popolani e di contadini, al comando del marchese Mattia Mazzetti di Frinco, il 31 luglio assalirono il palazzo comunale e fecero prigioniero l'A. che, rimasto con pochi fedeli, resisté sino all'ultimo, dopo aver rifiutato ogni compromesso con gli avversari. Il giorno successivo l'antico ordine fu ristabilito dalle truppe di Carlo Emanuele IV, il quale, assicuratosi da Milano il non intervento del generale Bonaparte, con l'editto del 26 luglio aveva scatenato la più dura repressione. L'A., giudicato e condannato da un tribunale speciale, fu fucilato il 2 agosto insieme a Felice Berruti; morì con dignità, ma dopo aver sottoscritto una ritrattazione apprestatagli dal confessore. Nei giorni successivi ad Asti furono comminate ed eseguite altre quattordici condanne a morte.
Bibl.: C. L. Grandi, Repubblica d'Asti dell'anno 1797,Asti 1851, passim; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese, II,Torino 1878, pp. 600-605, 621; M. d'Ayala, Vite degli Italiani benemeriti della libertà e della patria,Roma 1883, pp. 32-35; D. Carutti, Storia della Corte di Savoia durante la rivoluzione e l'impero francese, I, Torino 1892, pp. 404-412; N. Gabiani, La Rivoluzione Astese del 1797,Asti 1909, passim;F.Cognasso, Storia di Torino,Torino 1934, p. 216; A. Galante Garrone, Primo giacobinismo piemontese, in Il Ponte, V(1949), pp. 962 ss.