FRANCHI, Secondo
Nacque a Castell'Alfero, presso Asti, il 26 ott. 1859 da Pietro, barbiere, e Maddalena Mantegazza, contadina. Nella città natale compì gli studi secondari e, dopo aver frequentato l'università a Torino, si laureò in ingegneria civile nel 1884, anno in cui vinse anche il concorso per un posto di allievo ingegnere nel corpo reale delle miniere. Per consiglio di Q. Sella e di F. Giordano fu allora inviato a compiere un corso di perfezionamento all'École nationale des mines di Parigi. Qui si dedicò alla petrografia microscopica con M. Levy e alla geologia con M. Bertrand, e per alcuni mesi condusse le campagne di rilevamento sul terreno per la preparazione della carta geologica di Francia. Tornato in Italia, fu assunto all'Ufficio geologico, ove rimase raggiungendo il grado di geologo superiore.
L'attività del F. si sviluppò soprattutto sulle Alpi fino alla sua ultima campagna nel 1931. Lavorò anche, per brevi periodi, nella Sardegna settentrionale, sui monti della Tolfa e in Toscana. Fece parte di commissioni inviate in Tripolitania per studi agrari e geografici. Per motivi di salute dovette poi rinunciare alla carica di vicepresidente della Società geologica italiana e sospendere ogni attività scientifica, e ritirarsi infine dal suo ufficio nei primi mesi del 1931. Fu membro corrispondente dell'Accademia dei Lincei, membro dell'Accademia delle scienze e di quella dell'agricoltura di Torino.
Il F. morì a Roma l'8 maggio 1932.
In uno dei suoi primi studi mineralogici (Sulla presenza di rocce giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell'Appennino ligure, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di scienze fis., mat. e nat., s. 5, IX [1900], pp. 349-354) il F. sostenne l'origine indigena e la lavorazione in sito delle giadeiti neolitiche presenti nelle Alpi occidentali, opponendosi all'ipotesi prevalente che le voleva importate dall'Asia. In questo periodo e nell'ambito del lavoro presso il Servizio geologico iniziò uno dei suoi più importanti studi sulla cronologia delle Alpi occidentali, con cui riuscì a stabilire l'età secondaria dei calcescisti in esse presenti, in precedenza ritenuta antichissima (prepaleozoica), con ritrovamenti fossili, nelle Alpi Cozie meridionali, nella zona delle pietre verdi, come le Ammoniti, le Belemniti e i Corallari della Val Grana, le Belemniti intorno al lago Verney, le Nummuliti nei dintorni di Valdieri e Vinadio. In seguito stabilì anche l'età eocenica superiore, l'estensione, i caratteri e i limiti di una zona da lui detta "ad Helmynthoidea labyrinthica" nel bacino che si estende dall'Ubaye alle Alpi liguri, all'Appennino genovese e alle Alpi Apuane (Uniformità dei caratteri della zona "ad Helmynthoidea labyrinthica" dall'Ubaye alle Alpi e alle Riviere Liguri e conseguente suo valore cronologico, ibid., s. 6, VI [1930], pp. 935-940).
Nel territorio della Valle del Liri, colpita da terremoto nella primavera del 1915, il F. ebbe l'opportunità di osservare tracce glaciali sopra il villaggio di Rendinara posto a 850 m di altitudine, allo sbocco del vallone del Rio che scende dal Pizzo di Eta (a m 2037): all'imbocco di questo vallone un'altura di detrito calcareo limita a monte un pianoro alluvionale e si presenta come una morena frontale (Tracce glaciali nell'alta Valle del Liri, in Boll. della Soc. geol. italiana, XXXVII [1918], pp. 41-44). Anche G. Dainelli in questo gruppo di monti, e precisamente nella zona di Filettino di cui fa parte il monte Viglio, aveva riconosciuto nel 1906 manifestazioni glaciali da lui attribuite a due glaciazioni (Contemporaneità dei depositi vulcanici e glaciali in provincia di Roma, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di sc. fis., mat. e nat., s. 5, XV [1906], pp. 797-801). Proseguendo nello studio di questo argomento, nel 1919 il F. presentò all'Accademia dei Lincei la memoria: Sul grande sviluppo dei ghiacciai pleistocenici della Maiella (ibid., XXVIII [1919], 2, pp. 139-143). Le sue osservazioni riguardavano soprattutto il versante occidentale della Maiella e le sue deduzioni furono convalidate sia dal reperimento di masse detritiche di chiara origine glaciale nella regione di San Nicola sopra Caramanico, sia di masse moreniche analoghe in altre zone del gruppo del Gran Sasso.
Ne Lo sviluppo relativo dei ghiacciai pleistocenici nei monti Simbruini e nell'adiacente Appennino abruzzese (in Boll. del R. Comitato geol. italiano, XXVII [1920], 4, pp. 229-257) il F. mise a confronto le sue osservazioni su questi monti con quelle sul gruppo del monte Rotondo in Corsica fatte da P. Castelnau e con quant'altro era noto sul sistema alpino ligure. Alla descrizione dei ghiacciai del gruppo dei Simbruini-Cantari, per un proficuo confronto, univa alcune osservazioni sulle glaciazioni dei gruppi del monte Sirino, delle Apuane e dell'Appennino settentrionale e quello sul glaciale del sistema alpino a cui sono dovuti gli anfiteatri morenici della glaciazione würmiana.
Nel 1929 per la serie delle Memorie descrittive della carta geologica d'Italia usciva in Studi geologici sulle Alpi occidentali una ricerca del F., Sulla tettonica delle Alpi Cozie franco-italiane (Roma 1929, pp. 5-62), che si presenta come uno dei più importanti contributi alla conoscenza di questa zona alpina. In esso il F. si opponeva energicamente alla ipotesi di alcuni geologi francesi, in particolare M. Lugéon ed E. Argaud, secondo la quale le Alpi occidentali sarebbero state ricoperte da un grande numero di falde. Il F. contestò in particolare l'esistenza di una falda del monte Rosa, ipotesi avanzata già nel 1902 da P. Ternier, sostenendo che una discontinuità tra i calcescisti componenti quella falda e le rocce permiane delle Alpi occidentali non era reperibile e che il passaggio tra le due formazioni era graduale. Anche la presunta falda del Gran San Bernardo altro non era che un affioramento naturale di una zona ferro-carbonifera (La inesistenza delle grandi falde dette "nappe du Mont Rose" e "nappe du Grand Saint Bernard" nelle Alpi occidentali, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di scienze fis., mat. e nat., s. 6, V [1929], pp. 134 ss.). L'ipotesi dei geologi francesi avrebbe comportato, secondo il F., grandi traslazioni di masse immani da una zona centrale verso tutte le direzioni, mentre i massicci cristallini in quelle zone non sembrano aver subito movimenti tettonici.
Tra gli altri scritti ricordiamo: Sull'età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali, in Boll. del R. Comitato geol. italiano, V (1898), 3-4, pp. 3-236; I dati stratigrafici e paleontologici fondamentali per l'età secondaria dei calcescisti e l'ipotesi di un grande carreggiamento della massa di questi nelle Alpi franco-italiane, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di scienze fis., mat. e nat., s. 6, I (1925), pp. 283-291.
Fonti e Bibl.: Necr. in Boll. del R. Uff. geol. d'Italia, LXIII (1938), pp. 1-22 (con elenco degli scritti) e in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di scienze fis., mat. e naturali, s. 6, IX (1933), pp. 1010-1019; G. Piccoli, in Scienziati e tecnologi, Milano 1975, I, p. 522, s.v.; G.B. Dal Piaz - G.V. Dal Piaz, Sviluppo delle concezioni faldistiche nell'interpretazione tettonica delle Alpi, in Cento anni di geologia italiana, Bologna 1984, pp. 46, 48-51, 66; A. Boriani - G. Rivalenti, Crosta profonda e significato delle rocce basiche e ultrabasiche dell'Ivrea-Verbano in un secolo di studi, ibid., pp. 113, 117 s., 129.