SEDUZIONE
. Lungamente si è discusso nelle varie epoche se la seduzione della donna mediante promessa di matrimonio dovesse dar luogo a solo risarcimento di danni o potesse configurarsi come delitto. Aderirono alla seconda opinione il codice sardo-italiano (art. 500) e quello toscano (articoli 298 e 299), nonché alcuni codici stranieri, come il codice penale germanico (paragr. 169) e il codice norvegese (paragr. 210). Il codice del 1889 si allontanò da questo sistema ritenendo che fosse sufficiente alla tutela della donna anche in questo caso la previsione del delitto di corruzione di minorenni.
Il codice penale italiano del 1930 ha seguito una via di mezzo in quanto che nell'art. 526 non ritiene sufficiente alla configurazione del reato la semplice seduzione con promessa di matrimonio, ma prevede la necessità che la donna sia minore di età e che sia stata usata come mezzo l'induzione in errore sul proprio stato di persona coniugata. Cosicché il celibe non può mai essere punito per questo delitto. La limitazione dell'età è giustificata dalla maggiore tutela che merita la donna quando ancora non ha sufficiente esperienza della vita e non è fisicamente e psichicamente sufficientemente difesa. Con la limitazione relativa alla qualità di persona coniugata dell'agente si è voluto tener presente il caso più grave di seduzione, essendo evidente la malafede del seduttore che fa una promessa che sa di non poter mantenere. L'induzione in errore presuppone l'uso anche minimo di un raggiro e perciò deve ritenersi non bastevole il silenzio sul proprio stato di persona coniugata. Il capoverso dell'articolo 526 precisa che vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale; il che esclude la necessità che debba trattarsi di deflorazione.
Il delitto è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni.
Bibl.: F. Carrara, Programma, II, par. 1503; Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, ii, Roma 1929, pp. 311 e 312; C. Saltelli, e E. Romano di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, II, ii, Torino 1931, pp. 752, 753; G. Maggiore, Principii di diritto penale, II, Bologna 1934, pp. 348 e 349.