Vedi SEGESTA dell'anno: 1966 - 1997
SEGESTA (῎Εγεστα, Αἴγεστα, Σέγεστα, Sĕgesta)
Era la più importante città degli Elimi le cui rovine si trovano sul Monte Barbaro a circa 4 km a N-O di Calatafimi. Degli Elimi conosciamo solo quanto ci viene tramandato dalla tradizione storica non essendo stati eseguiti quasi mai scavi regolari nelle località da essi occupate: secondo l'ipotesi più accreditata (Thucyd., vi, 2) essi erano Troiani sfuggiti alla distruzione della loro città cui si aggiunsero dei Focesi (o Focei?); le altre due città elime erano com'è noto Erice ed Entella.
Tutti gli autori greci, tranne Tolomeo (iii, 4), usano per il nome la forma di ῎Εγεστα o Αἴγρστα, i romani invece sempre Segesta; nelle monete anche nelle più antiche (prima metà del V sec. a. C.) è usata sempre la forma ΣΕ???SIM-44???ΕΣΤΑ con desinenze che fanno pensare ad un particolare idioma degli Elimi. S. ebbe sempre una parte preminente negli avvenimenti storici della Sicilia antica per la sua secolare lotta con i Selinuntini, i quali verosimilmente tendevano ad avere uno sbocco nel Tirreno. I primi scontri fra S. e Selinunte si fanno datare generalmente al 580-576 (Diod., v, 9); di un altro episodio di questa lotta siamo informati (Diod., xi, 86) per il 454. Questo conflitto continua sempre con varie fasi ed anche con conseguenze per tutta l'isola come quando nel 415 (Thucyd., vi, 6; Diod., xii, 82) S. chiede soccorso ad Atene inducendola alla nota e disastrosa spedizione in Sicilia; chiede quindi aiuto a Cartagine (Diod., xiii, 43) provocando quegli avvenimenti che portarono alla distruzione di Selinunte, Agrigento, Gela, Imera.
Nel 397 Dionisio assedia S. (Diod., xiv, 48) essendo alleata dei Cartaginesi; fu quindi alleata con Agatode ma dopo fu da questi distrutta e ne ebbe cambiato il nome in quello di Diceopoli (Diod., xx, 71); subito però riprese il suo vecchio nome e si alleò con i Cartaginesi. Agli inizî della prima guerra punica, nel ricordo della leggendaria comune origine con Roma, passò ai Romani (Diod., xiii, 5) subendo per questo un pesante assedio da parte dei Cartaginesi (260 a. C.). Per essere stata fra le prime città di Sicilia a passare ai Romani S. fu trattata sempre con molti riguardi da Roma: fu città libera et immunis (Cic., Verr., iii, 6, 13), ebbe assegnati vasti territorî, forse anche quello di Erice dove Tiberio, appunto per accontentare i Segestani, fece costruire il famoso tempio di Afrodite. S. ebbe una parte rilevante nella rivolta degli schiavi: nel 104 a. C. infatti Atenione iniziò la sua azione proprio da S. (Diod., xxxiv, 5, 1). È possibile che in età romana la città si sia spostata, almeno in parte, verso l'attuale Castellammare, vicino ad una fonte di acque sulfuree, dove si trovano avanzi di epoca romana; generalmente si ritiene che sia stata distrutta dai Vandali. L'identificazione si deve al Fazello nel XVI secolo.
I monumenti archeologici più noti di S. sono il tempio ed il teatro. Per il primo si tratta di un peristilio di tipo dorico formato da sei colonne nei lati brevi e da quattordici nei lati lunghi, non scanalate, che viene datato generalmente nell'ultimo trentennio del V sec. a. C.; a proposito di questo monumento si è sempre parlato di un tempio non finito, recentemente però si è pensato (Pace) che possa trattarsi di un peristilio di tipo greco così voluto per delimitare uno spazio entro il quale si sarebbe praticato, da parte della popolazione non greca di S., un culto all'aperto su qualche altare provvisorio, improvvisato. Il peristilio sorge fuori dalla cinta muraria della città; entro la città invece è il teatro che viene più comunemente datato intorno alla metà del III sec. a. C.: è delimitato da un alto muro circolare di sostegno e di precinzione con due alti analēmmata paralleli alla scena; il kòilon è formato, nella parte inferiore, da venti gradinate divise in sette cunei; la parte superiore, al disopra del diàzoma, non è conservata. L'edificio scenico presenta ai lati due parasceni secondo il tipo comune alla scena ellenistica siceliota: notevoli nei parasceni due figure di Pan, molto rovinate, che fungevano da telamoni. Sotto la cavea è stata messa in luce da P. Marconi, nel 1927, una grotta dove è stato rinvenuto materiale preistorico.
Nella città non sì è mai scavato: dai pochi avanzi affioranti si è recentemente affacciata l'ipotesi che si tratti di una città di tipo ippodameo, simile a Solunto, costruita forse dopo la distruzione di Dionisio; la città antica, però, doveva pure stare nel sito di questa come può essere provato da uno scarico di materiale ceramico recentemente rinvenuto nelle pendici di Monte Barbaro. La città era circondata da due cinte murarie di epoca diversa ma non precisabile, non essendo mai state scavate. Recentemente è stato messo in luce, in località "Mango", a S del cosiddetto tempio, in uno spiazzo posto alle pendici del Monte Barbaro, un'area rettangolare delimitata e chiusa da un grande muro di cinta formato da blocchi di travertino che misura m 83,40 × 47,80 ed è largo m 1,35: evidentemente si tratta di un tèmenos. L'interno non è stato ancora scavato ma dagli elementi apparsi si può pensare che all'interno di esso ci siano almeno due edifici dorici databili al VI e al V sec. a. C., che appunto è la datazione che si può attribuire al santuario. Questo era collegato alla città che stava sul Monte Barbaro mediante due strade intagliate nella roccia una delle quali passava vicina ad un gruppo di edicolette intagliate pur esse nella roccia. Tra i frammenti ceramici rinvenuti recentemente nelle pendici del Monte Barbaro, ci sono alcuni fondi di vasi importati dall'Attica che presentano parole e lettere graffite in caratteri greci ma in lingua non greca.
S. ebbe una zecca propria fra le più notevoli della Sicilia antica.
Bibl.: Oltre alle opere generali sulla Sicilia antica, che non si citano, v. A. Marrone, Cenni sulle antichità di Segesta, Palermo 1827; G. Fraccia, Ricerche ed osservazioin ultimamente fatte in Segesta, Palermo 1855; id., Sopra ciò che ultimamente erasi cominciato a scoprire a Segesta, Palermo 1856; id., Egesta ed i suoi monumenti, Palermo 1859; Hittorf-Zanth, Recueil des monuments de Ségste et de Sélinonte, Parigi 1870; H. Bulle, Untersuchungen an griechischen Theatern, in Abhandlungen d. Bayer. Ak. d. Wissenschaften, XXXIII, Monaco 1928; P. Marconi, Esplorazione della scena del teatro di Segesta, in Not. Scavi, 1929, p. 295 ss.; J. Bovio Marconi, El problema de los Elimos a la luz de los descubrimientos recientes, in Ampurias, XII, 1950, p. 79 ss.; R. Van Compernolle, Ségeste et l'Hellenisme (Ie partie), in Phoibos, V, 1950-51, p. 183 ss.; A. Giuliano, Fuit apud Segestanos ex aere Dianae simulacrum, in Arch. Class., V, i, 1953, p. 48 ss.; V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia Occidentale, Parte I, in Kokalos, III, 1957, p. 79 ss.; Parte II, ibid., IV, 1958, p. 151 ss.; id., Frammenti di ceramica con graffiti da Segesta, ibid., VI, 1960, p. 34 ss.; A. Burford, Temple Building at Segesta, in The Classical Quarterly, XI, 1961, p. 87 ss.; S. Stucchi, Alla ricerca della cella del tempio di Segesta, in Studi in onore di Fasolo, Roma 1961, p. 13 ss.; V. Schmoll, Zu den vorgriechischen Keramikinschriften von Segesta, in Kokalos, VII, 1961, p. 67 ss.; M. Durante, Sulla lingua degli Elimi, ibid., VII, 1961, p. 81 ss.; V. Tusa, Il santuario arcaico di Segesta, in Atti del VII Congresso Internazionale di Arch. Class., Roma 1961, vol. II, p. 31 ss.
(V. Tusa)
Iconografia. - Sulle monete del V e del IV sec. compare spesso il capo della divinità cittadina con didascalia; a volte anche la figura intera, in atteggiamento di offerente o coronata da una Nike che le vola al di sopra della testa. Sulle monete in bronzo del sec. III compare per lo più la sola testa, velata o turrita, con capelli variamente adorni di diademi e perle.
Bibl.: O. Höfer, in Roscher, IV, 1909-15, c. 598, s. v., n. 2; C. Ziegler, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, c. 1067 ss., s. v.; W. Giesecke, Sicilia Numismatica, Lipsia 1923, pp. 6; 11, 38 ss., tav. VI, 6-7; G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma 1946, p. 281 ss.; A. Baldwin Brett, Catal. Greek Coins in Boston, Boston 1955, p. 44 ss., n. 311 ss.
(A. Gallina)