segregazione
Processo di separazione e di esclusione sociale attuato a danno di un individuo o di un gruppo che siano oggetto di intolleranza razziale, culturale, politica da parte della comunità dominante.
È la distribuzione non uniforme delle occupazioni tra diversi gruppi della popolazione (per es., donne e uomini o diverse etnie). Come conseguenza, alcune tipologie di individui si concentrano in determinate professioni o settori di attività.
La letteratura economica identifica due forme di s. occupazionale: orizzontale e verticale. Nel primo caso, si ha concentrazione di alcuni individui in un ristretto numero di occupazioni. Le professioni in cui si osserva la concentrazione del gruppo sfavorito sono generalmente caratterizzate da basse retribuzioni, qualificazioni poco elevate e limitate prospettive di carriera. Nel secondo caso (s. verticale), si ha concentrazione degli individui sfavoriti nei livelli gerarchici inferiori di una determinata attività e si verifica il cosiddetto fenomeno del ‘soffitto di cristallo’ (glass ceiling), che ostacola il percorso di carriera delle persone segregate, escludendole dalle posizioni di vertice.
La rilevanza quantitativa del fenomeno viene misurata in vari modi; in particolare, l’indice di s. può essere interpretato come la percentuale di lavoratori del gruppo segregato che dovrebbe essere redistribuita tra le occupazioni al fine di ottenere una distribuzione uniforme tra le diverse professioni. Varia tra 0, nel caso di assenza di s., e 100, nel caso di completa segregazione. Nel caso la s. occupazionale riguardi le donne, si parla di femminilizzazione delle attività, intesa come concentrazione di individui di genere femminile in determinati mestieri.
Alcuni studi empirici hanno analizzato la relazione tra il salario di una determinata occupazione e il tasso di femminilizzazione della stessa. I risultati mostrano che, a parità di capitale umano (➔) e di caratteristiche socioeconomiche di lavoratore/lavoratrice, i posti caratterizzati da femminilizzazione pagano mediamente salari inferiori, indipendentemente dal fatto che l’occupato sia donna o uomo. Secondo una interpretazione, la s. occupazionale delle donne è in una certa misura dovuta a fenomeni discriminatori (➔ discriminazione) da parte dei datori di lavoro, e in una certa misura a stereotipi sociali legati al genere. Una spiegazione alternativa fa discendere la s. dalle scelte razionali delle donne che, a causa delle frequenti interruzioni dell’attività causate dagli impegni familiari, optano più frequentemente per professioni in cui si verifica un minore deprezzamento delle loro qualifiche. ● In Italia è particolarmente rilevante la s. verticale per genere: i dati del 2009 indicano, infatti, una quota di donne fra i dipendenti pari a circa il 45%, ma scende al 28% tra i dirigenti. Nel confronto europeo, l’Italia sembra caratterizzata da un livello di s. più basso di quello degli altri Paesi, ma questo apparente vantaggio dipende dalla scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro, soprattutto da parte delle donne meno istruite: i dati mostrano una relazione diretta tra tasso di attività (➔ attività, tasso di) e segregazione. La s. per titolo di studio si riferisce alla concentrazione di determinati gruppi della popolazione in alcuni ambiti disciplinari. In Italia, per quanto riguarda il genere, anche se le donne hanno raggiunto nei primi anni del 21° sec. la maggioranza assoluta dei laureati (52%), la loro concentrazione in specifici settori disciplinari è ancora molto marcata. In quello dell’insegnamento le donne superano l’89%; nel campo linguistico raggiungono l’85% e nel settore letterario arrivano al 70%; sono invece sottorappresentate in quello medico (39%), agrario (41%) e soprattutto nelle facoltà di ingegneria (21%). Si osserva tuttavia che il fenomeno è in rapida attenuazione: l’indice di s. per titolo di studio universitario era pari a 60,1 nel 1950 e si è ridotto a 30,1 all’inizio degli anni 2000.