SEGRETO
. Diritto. - Nella storia del diritto la cosiddetta tutela del segreto s'inizia con la tutela del segreto militare e del segreto politico; più tardi sorge la tutela del segreto dell'attività privata e dell'attività industriale, perché si divulga il concetto che il successo degli affari sta nel segreto. Comincia e si afferma così tutta una teoria sul concetto del segreto da tutelare e si perviene all'opinione che debba ritenersi segreto tutelabile non solo quello che per sue ragioni intrinseche è destinato a rimaner tale, ma anche tutto quello che, per dichiarazione esplicita o implicita dell'ufficio o della persona competente, sia destinato a non essere conosciuto. Intanto, potendosi riferire il segreto a varie attività pubbliche o private, ne deriva che diverse configurazioni delittuose di violazione di segreto furono prevedute nei codici, ma con la locuzione di delitti contro l'inviolabilità dei segreti si intese far riferimento soprattutto alla violazione del segreto della corrispondenza commessa da privati o da pubblici funzionarî e alla violazione del segreto professionale.
Il codice del 1889 comprendeva tali delitti (articoli 159 a 163) tra i delitti contro la libertà. Il codice penale del 1930 li ha compresi nei delitti contro la persona.
La sezione quinta del capitolo terzo del titolo dodicesimo del nuovo codice si occupa infatti dei delitti contro l'inviolabilità dei segreti che hanno un carattere fondamentale comune: quello di ledere in via principale l'interesse che ogni uomo ha di svolgere la sua vita di relazione senza inframmettenze di terzi rispetto a ciò che egli non vuole che esca fuori dalla sfera della sua disponibilità. Questo carattere fondamentale, che giustifica il raggruppamento, ne determina anche il limite perché, tutte le volte nelle quali l'offesa all'inviolabilità del segreto lede prevalentemente un altro interesse o un altro diritto, la diversa obiettività giuridica differenzia i delitti in esame da altri reati come: la rivelazione di segreti di stato o di notizie delle quali l'autorità competente abbia vietato la divulgazione, la divulgazione non autorizzata delle discussioni o deliberazioni segrete di una delle camere, la divulgazione arbitraria di atti di un procedimento penale e simili.
L'interferenza tra le figure delittuose comprese nei delitti contro l'inviolabilità dei segreti e le altre figure criminose, alle quali abbiamo ora accennato, fa sorgere la questione dell'eventuale concorso tra le varie configurazioni giuridiche riguardanti la stessa azione compiuta dal colpevole. La soluzione di tale questione deve esser data tenendo presente la disposizione dell'art. 15, la nozione del reato complesso e la nozione del reato progressivo.
I delitti compresi tra quelli contro l'inviolabilità dei segreti sono: violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616); cognizione, interruzione e impedimento fraudolenti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617); rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 618); violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni (art. 619); rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni (art. 620); rivelazione del contenuto dei documenti segreti (art. 621); rivelazione del segreto professionale (art. 622); rivelazione di segreti scientifici o industriali (art. 623).
Il concetto di segreto, che è a base del raggruppamento dei delitti in esame, non è uguale per tutti. Così il contenuto della corrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica (lettera, cartolina, telegramma, fonogramma, ecc.) è protetto dalla legge in sé e per sé, indipendentemente cioè dalla circostanza che esso costituisca segreto nel comune significato della parola. Il contenuto della corrispondenza, insomma, ha il carattere di segreto solo nel senso che è destinato a rimanere ignoto a tutti a esclusione del destinatario o di chi abbia altrimenti il diritto di prenderne cognizione. Altre volte l'incriminazione della violazione del segreto è subordinata alla derivazione di un nocumento come effetto della violazione; così nel capoverso dell'art. 616 è stabilito che la rivelazione della corrispondenza è punita solo se dal fatto deriva nocumento. In altri casi non la conoscenza o la rivelazione del segreto, ma l'impedire o ritardare la conoscenza della corrispondenza costituisce il materiale del delitto; così è per le ipotesi di sottrazione o soppressione di corrispondenza. In queste ipotesi, infatti, non occorre neanche il fine di prendere cognizione della corrispondenza, ma è necessario e sufficiente che l'agente abbia coscienza e volontà dell'illegittima sottrazione o soppressione. È da segnalare altresì che in tutte le figure delittuose di cui ci occupiamo, la rivelazione del segreto non costituisce una circostanza aggravante di altre violazioni punite dalla legge nella stessa sezione, ma un delitto a sé stante che concorre materialmente, quando ne sia il caso, con le altre figure delittuose.
Speciali configurazioni delittuose sono prevedute dagli articoli 619 e 620 nei riguardi del personale addetto al servizio delle poste, dei telegrafi e dei telefoni. Gli addetti alle poste, ai telegrafi e ai telefoni violano non soltanto il segreto della corrispondenza, ma anche e specificamente i doveri del proprio ufficio; il che rendeva indispensabile una rigorosa tutela. Così per l'incriminazione della rivelazione della corrispondenza non è in queste ipotesi necessario che dal fatto derivi un nocumento.
Una novità introdotta dal codice penale del 1930 è quella contenuta nell'art. 621 che riguarda la rivelazione del contenuto di documenti segreti, anche se essi non costituiscono corrispondenza. Anche se gli atti o documenti non costituiscono corrispondenza, è evidente l'interesse a vietare che altri, non iure, ne prenda conoscenza e ne riveli il contenuto, o lo impieghi a proprio o ad altrui profitto. Si ha anche qui una violazione della libertà individuale, un attacco all'interesse di conservare nella propria sfera di disponibilità l'atto o il documento, nel quale si è trasfuso il proprio pensiero che non si vuole conosciuto da altri o ad altri rivelato. Condizioni della nuova figura delittuosa sono che il documento non costituisca una corrispondenza e che debba rimanere segreto. La prima condizione distingue questa figura delittuosa dalle altre già esaminate; la seconda giustifica l'incriminazione. Per unanime consenso la legge si riferisce qui a un segreto che può essere anche temporaneo e può riferirsi sia ad atti pubblici, sia ad atti o documenti privati.
Il gruppo degli articoli 622 e 623 riguarda la cosiddetta violazione del segreto professionale; ossia la rivelazione del segreto ad opera di coloro che ne divengono depositarî per ragioni del loro stato, ufficio, professione o arte.
Bibl.: E. Pessina, Elementi di diritto penale, III, Napoli 1884, pagina 3; F. Carrara, Programma, II, par. 1630 segg.; Giannini, Del diritto epistolare, in Archivio giuridico, XLVII, p. 584; Lozzi, Della proprietà e del segreto epistolare secondo la legge sui diritti di autore e la nuova disposizione del codice penale, in Giurisprudenza italiana, Torino 1890; L. Maino, Del segreto epistolare, in Monitore dei tribunali, XXV, p. 545; G. B. Impallomeni, Il codice penale italiano illustrato, II, Firenze 1890, p. 309; Negri, Dei delitti contro la libertà, in Completo trattato di diritto penale, pubblicato da P. Cogliolo, Milano 1890; Il Digesto italiano, XXI, ii, Torino 1891-1896, p. 294; Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, ii, Roma 1929, p. 425 segg.; C. Saltelli e E. Romano di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, II, ii, Torino 1931, p. 1015 segg.; G. Maggiore, Principii di diritto penale, II, parte speciale, Bologna 1934, pp. 33, 105 e 512.
Legislazione canonica. - La legge canonica della Chiesa riconosce l'obbligo del segreto, e in molti casi ne fa espressa imposizione, cioè ogni qualvolta esso sia richiesto dalla tutela dell'onore privato, dalla libertà, esattezza e sicurezza nel disimpegno dell'ufficio pubblico e privato, e in generale dal bene comune e dalla tranquillità sociale.
Di regola ordinaria tutte le informazioni che la legge prescrive doversi premettere in molti casi, p. es. intorno agli aspiranti alla vita religiosa (can. 544 e segg.), ai candidati agli ordini sacri, circa gl'impedimenti matrimoniali, sulle qualità di coloro che vengono proposti per una carica o un ufficio ecclesiastico, ecc., sono tutelate dall'obbligo del segreto tanto sulle notizie ricevute quanto sulle persone che le hanno date. Il matrimonio di coscienza (can. 1105 e 1106) porta annesso lo stretto dovere del segreto per il sacerdote che lo celebra, per i testi, per il vescovo che lo permette, e anche per gli stessi coniugi. Al segreto sugli affari di ufficio sono vincolate tutte le persone che con il vescovo costituiscono la curia diocesana (can. 364). Un particolare obbligo al segreto, che assai spesso viene confermato con giuramento, è imposto ai giudici e agli altri membri dei tribunali ecclesiastici, e si riferisce ai documenti, agli atti processuali, alle discussioni e ai suffragi (can. 1623). Tale obbligo può essere esteso, ad arbitrio del giudice, ai testi, agli avvocati, ai periti e alle parti stesse. Tutto il personale addetto alle sacre congregazioni, ai tribunali e agli uffici della S. Sede, dove sono trattati gli affari della Chiesa universale, è legato dal segreto di ufficio, e ne fa particolare promessa, confermata da giuramento, entrando in carica (can. 243).
Oltre questo segreto comune, ne esiste un altro assai più rigoroso, conosciuto comunemente sotto il nome di "segreto del S. Uffizio" perché in uso specialmente presso il dicastero di tal nome; è in uso per taluni affari anche presso altri dicasteri.
Superiore ad ogni altro segreto, per il suo rigore, è il segreto di confessione, detto anche per antonomasia "sigillo sacramentale". Nessuna autorità umana, nessuna causa o circostanza, nessun danno pubblico o privato da evitare, sono valevoli a dispensare dall'obbligo di questo segreto; chi vi è tenuto, è obbligato a sostenere anche la morte per mantenerlo. Solo il penitente, purché lo faccia liberamente, può allentare un legame così stringente. Materia di questo segreto sono i peccati, sia gravi sia leggieri, e quanto altro il fedele ha manifestato in confessione al fine di ricevere l'assoluzione sacramentale. Ad esso è tenuto anzitutto il sacerdote che ha udito la confessione, ma anche l'interprete e ogni altro che in qualsiasi modo abbia udito alcunché della confessione o a lui ne sia giunta notizia in qualsiasi modo, colpevole o incolpevole; poiché, quanto è stato rivelato in confessione, ha seco annesso il vincolo del segreto, e seco lo porta dovunque vada. Il sigillo sacramentale importa una triplice proibizione: 1. è proibita la rivelazione aperta sul conto d'una persona determinata di un suo peccato determinato (violazione diretta); 2. è proibito qualsiasi modo di parlare o di agire, dal quale chi ascolta o vede possa sospettare o giungere a conoscere quanto sia stato detto in confessione (violazione indiretta); 3. infine, è proibita pure qualsiasi altra cosa, dalla quale possa derivare al penitente, per la sua confessione, rossore o altro gravame, come sarebbe licenziamento dal lavoro, mancata assunzione a una carica, ecc. (uso illecito della scienza sacramentale). La violazione diretta del segreto sacramentale è colpita nel sacerdote con le massime pene ecclesiastiche, compresa anche la degradazione dallo stato ecclesiastico (can. 2369); la violazione indiretta è pure essa punita con pene e inabilità gravissime; e neppure è lasciato senza pene, corrispondenti alla gravità della colpa, l'uso illecito della scienza sacramentale. Il segreto di confessione conta i suoi martiri (v. giovanni nepomuceno, santo). In Italia il concordato con la S. Sede, all'art. 7, stabilisce: "Gli ecclesiastici non possono essere richiesti da magistrati o da altra autorità a dare informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del sacro ministero".