SEIA (nabateo Sh῾y῾w; ΣΕΙΑ, ΣΕΕΙΑ, arabo Sī῾)
Località nabatea sui monti del Haurān, in Siria. Scoperta nel 1861 da M. de Vogüé, nei 1904 e 1909 fu parzialmente scavata da una missione archeologica dell'Università di Princeton.
S. non era una città, ma soltanto un grande complesso cultuale; la sua importanza è per noi notevole non soltanto perché rappresenta il più grandioso e forse il più antico insieme architettonico nabateo, datato abbastanza esattamente, ma anche perché mostra assai evidente la presenza dell'ellenismo, sia con i motivi artistici sia con le numerose iscrizioni, anche monumentali, greche o greco-nabatee della località.
S. sorge su un'altura, ed una strada larga 7 m porta dalla valle sottostante all'ingresso dell'area sacra. L'ingresso era costituito da un grande arco a tre fornici (Porta Romana, come è stata chiamata dagli scavatori), la cui decorazione architettonica fa postulare una datazione verso la fine del II sec. d. C. Subito dopo l'arco si apriva un ampio cortile lastricato (m 50 × 19), circondato da un muro; sulla sinistra del muro un'apertura, con scalini, portava ad una larga terrazza in fondo alla quale sorgeva un piccolo tempio, prostilo tetrastilo, su un podio (Tempio Sud); di tale edificio sono caratteristici i capitelli nabatei (v. nabatea, arte), che fanno supporre una datazione al I sec. d. C. avanzato (il Butler fissa come termini estremi il 33 a. C. e il 50 d. C.). Sul lato corto del cortile opposto a quello su cui si apriva la Porta Romana, si trovava un secondo arco a tre fornici (Porta Nabatea), che immetteva in un secondo cortile (m 60 × 23), anch'esso lastricato e fiancheggiato da terrazze, ma con l'asse longitudinale piuttosto spostato verso destra. Presso la Porta Nabatea sono frammenti di decorazione architettonica di un edificio della seconda metà del II sec. d. C. Come nel cortile precedente, anche qui sulla terrazza di sinistra sorgeva un tempio, ma questo di tipo nabateo: pianta quadrata, cella quadrata al centro con quattro colonne agli angoli; l'ingresso del tempio è fiancheggiato da colonne sulle quali poggiava un arco. Il tempio fu probabilmente eretto tra la fine del I sec. a. C. e l'inizio del I d. C., poiché è anteriore ad un altare, in esso deposto, che reca la data del 29-30 d. C. Un'iscrizione greca menzionante l'imperatore Claudio, incisa sul muro del tempio, sembra aggiunta posteriormente. I capitelli di questo edificio presentano figure umane tra le foglie. Gli scavatori hanno dato a questo edificio il nome di Tempio di Dūshāra, a causa di un frammento di statua di tale divinità rinvenuta nei pressi del tempio; si noti, tuttavia, che vicino è stato trovato anche un rilievo cultuale raffigurante Mithra che uccide il toro.
In fondo al secondo cortile alcuni scalini portano ad un terzo arco, ad un sol fornice: fiancheggiato da due colonne, presenta un passaggio rettangolare dall'incorniciatura assai elaborata; superiormente era una lunula con rilievi (restano frammenti di teste umane ed equine, di Nike), mentre la chiave di vòlta era costituita da un rilievo con la testa radiata di Ba῾alshamīn (v.). Oltre il passaggio si trovava una corte, dall'asse leggermente spostato verso destra rispetto al cortile precedente, di m 25 × 21, munita di un porticato su tre lati: sul fondo si levava il monumentale tempio di Ba῾alshamīn. Le colonne dell'atrio erano di varî tipi, ma la loro esilità (40 cm di diametro per m 3,70 di altezza) rivela la loro origine tardo-ellenistica; i capitelli si presentano come variazioni dei tre ordini classici. Il tempio di Ba῾alshamīn è dell'usuale tipo nabateo; vi è da notare tuttavia l'ingresso, parzialmente arretrato e preceduto da due colonne, sì da formare un piccolo atrio. Quattro basi di statue erano sulla fronte dell'atrio, tra le colonne e la cortina muraria; tre di esse erano dedicate a Erode il Grande, Malīkat figlio di Aushu e Malīkat figlio di Mo῾ayeru; gli ultimi due, rispettivamente nonno e nipote (e non viceversa come erroneamente afferma il Butler sulla scorta di W. H. Waddington) sono ricordati come costruttori (cioè patroni) del tempio. Malīkat di Aushu è menzionato come costruttore anche da un'iscrizione nabatea e da un'iscrizione greca incise su frammenti di architrave; il testo nabateo dà la data della costruzione, che dall'anno 33-32 a. C. si protrasse per almeno venti anni. Di Malīkat di Mo῾ayeru, il cui nome parimenti ricorre in un iscrizione greca incisa su un frammento di architrave, la base votiva dice, con una bilingue, che costruì il tempio, ma ciò va probabilmente inteso nel senso di una sopraelevazione del medesimo, come suggeriscono sia l'espressione nabatea (byrt᾿ ῾lt' "tempio superiore") sia il verbo greco ὑπεροικοδομήσαντα. Poiché l'attività di Malīkat di Aushu giunse alle soglie dell'èra cristiana e il tempio fu completato da suo nipote, occorre abbassare di qualche decennio (circa due generazioni) la datazione della bilingue menzionante Malīkat di Mo῾ayeru (e quindi anche il completamento del tempio), attribuita dagli Americani ai primi anni del I sec. d. C. Del tempio restano, oltre la parte inferiore delle mura, molti frammenti di decorazione architettonica: il motivo più diffuso è il tralcio di vite, scolpito in varie tipologie. Tra le foglie di acanto dei capitelli sono busti umani; protomi leonine sporgenti da ortostati ed aquile a tutto tondo completano il quadro dei reperti.
Esternamente all'area sacra sono resti di una terma romana e tombe di varî tipi: a torre circolare, con diametri varianti da 6 a 9 m, contenente una camera quadrangolare al centro; a forma di piccoli templi di pianta rettangolare; vi è infine un unico esempio di tomba a podio, a forma di prisma triangolare, con tre sarcofagi sopra; questa tomba è databile al II sec. d. C.
Oltre ai numerosi frammenti architettonici, databili tra il 33-32 a. C. e il II sec. d. C. (alcuni possono appartenere a rifacimenti), provengono da S. molti pezzi di scultura, conservati nel museo di Suweida: varî altari (di cui uno riccamente decorato con un tralcio ad altorilievo e un busto maschile; un altro con due busti, forse di divinità, sovrapposti su ognuna delle quattro fiancate), diversi rilievi con soggetti del repertorio ellenistico più o meno trasformati (divinità con cornucopia, Nikai, maschere), statue di Nike e di Eracle, ecc. Di particolare interesse una testa radiata, raffigurante forse il dio Ba῾alshamīn, di buona fattura: i riccioli arcaizzanti sulla fronte rivelano la penetrazione, nella Siria interna del II sec. d. C., delle mode artistiche occidentali, anche se localinente questo apporto resta privo di conseguenze.
Bibl.: M. de Vogüé, Syrie centrale. Architecture civile et religieuse, Parigi 1865-1877, pp. 31-38; W. H. Waddington, Inscriptions grecques et latines de la Syrie, Parigi 1870, nn. 2364-70; R. Savignac, Inscriptions nabatéennes du Hauran, in Revue Biblique, 1904, pp. 581-82; H. C. Butler, The Temple of Dūshāra at Sie in the Ḥaurân, in Florilegium M. de Vogüé, Parigi 1909, pp. 79-96; E. Littmann, Nabatean Inscriptions (Publ. Princeton Univ. Arch. Exped. to Syria, IV, A), Leida 1914, pp. 76-87; H. C. Butler, E. Litmann, D. Magie, Sie (Seia) (ibid., A, 6), Leida 1916; J. Cantineau, Le nabatéen, II, Parigi 1932, pp. 11-16; M. Dunand, Le musée de Soueïda, Parigi 1934.