SEIDENFELD, Gabriella, Debora
(Barbara), Serena
– Non sono certi luogo e data di nascita delle tre sorelle, coinvolte fin da giovanissime in esperienze di militanza politica che le indussero a fornire e produrre ripetutamente false generalità. Molto probabilmente nacquero a Mako (Ungheria), la prima nel 1896 e le altre due nei primissimi anni del nuovo secolo.
I genitori, Morioz e Giuseppina Friedmann, erano tra gli ebrei ungheresi che nel primo decennio del Novecento si insediarono nel fiorente centro commerciale e portuale di Fiume, rispondendo alle politiche del governo di Budapest interessato a intensificare la presenza magiara nella città.
Cresciute sotto l’attenta guida della madre che si divideva tra lavoro e cura delle figlie, del padre ricordarono soprattutto l’assidua frequentazione della Sinagoga, luogo di pratica religiosa, ma anche di socialità e di riconoscimento in una comunità di simili negli anni dell’emigrazione.
Frequentarono dalle elementari scuole ungheresi e proseguirono gli studi, Gabriella e Serena frequentando istituti commerciali e Barbara il ginnasio. È in questo periodo, a ridosso della prima guerra mondiale e in un clima di crescente politicizzazione della popolazione operaia e studentesca fiumana, che si avvicinarono e poi iscrissero al Partito socialista.
Il vuoto lasciato dalla morte della madre, avvenuta il 16 ottobre 1917, nonché le notizie della rivoluzione russa, della quale colsero e apprezzarono la funzione emancipatrice svolta nei confronti delle donne, contribuirono a dare nuovo impeto al loro impegno politico, che di lì a breve si misurò anche con i fermenti ungheresi e l’esperienza della Repubblica dei consigli. Decisiva, in questo senso, fu un’amicizia destinata a segnare la loro biografia, quella con le sei sorelle Bluch, anche loro appartenenti a una famiglia di origine ungherese ed ebraica. Se a Fiume Margherita Bluch e Barbara Seidenfeld erano nello stesso ginnasio e annodarono i rapporti tra le due famiglie, a Budapest Giulia, Elisabetta ed Elena Bluch, che lì frequentavano la facoltà di Medicina, si coinvolsero attivamente nel governo comunista di Béla Kun e, dopo la sua caduta, in una fitta trama di rapporti politici internazionali nella quale si inserirono ben presto anche le sorelle Seidenfeld. Ormai note alla Pubblica sicurezza italiana, nell’autunno 1920 Barbara, intenzionata inizialmente a portare avanti gli studi in medicina, e Serena, in cerca di occupazione, si trasferirono a Roma, dove già si trovavano alcune delle sorelle Bluch. Nel 1921 scelsero di aderire al neonato Partito comunista d’Italia (PCd’I), seguite da Gabriella che, rimasta a vivere a Fiume dove lavorava in una banca, pochi mesi dopo partecipò alla costituzione del Partito comunista dello Stato libero di Fiume. Proprio nel congresso fondativo del novembre 1920 Gabriella incontrò il delegato della Federazione giovanile italiana Secondino Tranquilli, con il quale si legò sentimentalmente e politicamente per buona parte della sua vita. Preoccupata per le continue visite della polizia, che non risparmiavano né suo padre né il posto di lavoro, al principio del 1922 anche Gabriella decise di lasciare Fiume e recarsi a Roma. Da qui tutte e tre le sorelle presero la via dell’emigrazione politica, secondo direzioni che si incrociarono più volte nel corso degli anni successivi.
Gabriella si recò prima a Berlino, per svolgere un incarico presso la sede centrale dell’Internazionale comunista giovanile e poi a Trieste, accanto a Tranquilli che qui era tra gli animatori de Il Lavoratore, organo locale del PCd’I, particolarmente vessato dai fascisti e dalla polizia. Da lì, a partire dal dicembre 1922, si spostarono prima in Renania, poi a Berlino e in Spagna (dove Tranquilli assunse lo pseudonimo di Ignazio Silone), muovendosi in funzione dei compiti, via via più rilevanti, che l’uomo svolse negli anni della costruzione dell’apparato clandestino del partito e dell’emigrazione all’estero di gran parte della sua dirigenza e dei quadri, durante i quali la conoscenza di più lingue di Gabriella risultò fondamentale. Impegnati in una febbrile attività politica, i due vennero arrestati all’indomani del colpo di Stato di Primo de Rivera e dopo qualche mese di carcere si recarono a Parigi e, nell’estate del 1925, in Italia. A Roma Gabriella fu impegnata come corriere e nella sezione Agitazione e propaganda, guidata da Silone: divenuta oramai a tutti gli effetti una funzionaria di partito, iniziò a percepire uno stipendio fisso nell’anno, il 1926, della promulgazione delle leggi speciali, dell’arresto di Antonio Gramsci e del poderoso sforzo, guidato da Camilla Ravera e in cui pure Gabriella fu coinvolta, di mantenere un centro organizzativo del partito in Italia (il Centro interno), mentre gran parte della dirigenza si era ormai stabilita all’estero. Di lì a poco anche Gabriella lasciò il Paese per iniziare una nuova stagione di vita e militanza in Svizzera, durata fino alla fine della seconda guerra mondiale. Stabilitasi inizialmente a Basilea, dove si occupò di mantenere i contatti tra importanti dirigenti, tra cui Palmiro Togliatti e Silone, che si trovava in quel frangente a Parigi per conto dell’Ufficio politico, intorno al 1930 si spostò a Zurigo con il compagno. Nel frattempo molte cose erano repentinamente cambiate, in gran parte in relazione a passaggi compiuti da Silone. Studi recenti hanno rivelato che l’uomo fu a un tempo un importante dirigente del PCd’I e un informatore della Pubblica sicurezza italiana. Tra il 1928 e il 1930 diversi avvenimenti (tra cui l’arresto e le torture subite dal fratello minore Romolo, l’egemonia delle posizioni staliniane, i conflitti interni al partito che portarono all’espulsione di Angelo Tasca e poi del ‘gruppo dei tre’ – Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e Paolo Ravazzoli), suscitarono una profonda crisi esistenziale in Silone che si risolse nella decisione di abbandonare simultaneamente le sue due vite e rinascere come scrittore. Mentre si affermava velocemente come intellettuale, grazie anche all’immediato successo di Fontamara (Zürich 1933), e intrecciava nuove relazioni sentimentali, Gabriella attraversò al contrario momenti di profonda desolazione.
Allontanata anche lei dal partito, perse in breve tempo ogni copertura e il mondo di relazioni in cui fino ad allora era stata immersa in modo totalizzante. Trovò una risorsa importante negli ambienti dell’emigrazione intellettuale e antifascista mitteleuropea, grazie a cui riuscì anche a regolarizzare la sua posizione nel giugno 1933 con un matrimonio combinato con l’anziano Eduard Maier. Non più clandestina, Gabriella si recò per qualche mese a Parigi dove si trovava la sorella Barbara e, al ritorno, si immerse più decisamente nel mondo dell’emigrazione italiana e delle sue forme associative, come la Cooperativa socialista, con le quali riconobbe la dimensione della partecipazione politica. Sul finire del decennio, mentre aveva trovato impiego in una casa cinematografica, si avvicinò al Partito socialista.
Con lo scoppio della guerra si mobilitò per il soccorso ai profughi che massicciamente affluivano in Svizzera, paese neutrale, e nel 1944 divenne un’attiva esponente del Soccorso operaio svizzero. A ottobre, insieme a Margherita Zöebeli, venne incaricata di organizzare il piano di aiuto ai civili della Val d’Ossola e ai partigiani in ritirata dopo l’offensiva lanciata dai tedeschi contro la Repubblica partigiana che lì si era costituita da un mese. L’esperienza rappresentò una tappa importante per la donna, tornata alla politica attiva dopo molto tempo e nel segno dell’autonomia dalla figura di Silone. A guerra finita decise di rientrare in Italia, prima a Milano e poi a Roma, impegnandosi nell’assistenza alle vittime della guerra, soprattutto bambini, e gravitando nell’area del Partito socialista.
Morì a Roma il 12 luglio 1977.
Come Gabriella, anche Barbara (‘Ghita’) dopo la parentesi romana intraprese la strada dell’emigrazione comunista e, come la sorella maggiore, anche lei legò la sua vita a una figura di spicco del partito e dell’antifascismo italiano: Pietro Tresso (‘Blasco’). Lasciò la capitale nel 1923, diretta a Berlino, per svolgere un importante ruolo, anche esecutivo, nell’organizzazione e assistenza degli emigrati comunisti in Germania. A novembre, alla vigilia della partenza per Mosca, dove frequentò una scuola di partito di sei mesi, incontrò per la prima volta Tresso. In Russia Barbara rimase profondamente colpita dalla povertà che dilagava e dal contrasto con i beni a disposizione dei funzionari di partito, mostrando in nuce quella sensibilità critica che caratterizzò la sua biografia politica. Al rientro in Italia, dopo un passaggio a Berlino, si stabilì a Milano, dove già viveva Tresso incaricato di riorganizzare il lavoro politico del partito in città. Lei si impiegò nella sede del Comitato sindacale nazionale comunista e svolse diverse missioni di collegamento fuori città e fu assegnata a compiti di vigilanza politica nei confronti degli altri compagni di partito. Anche per lei il 1926 fu un anno spartiacque: fatte perdere le sue tracce alle porte di Milano, entrò definitivamente in clandestinità. Si recò prima a Roma, dove Tresso era stato mandato a dirigere l’Ufficio tecnico organizzativo del partito, indispensabile per mantenere i collegamenti tra interno ed esterno del Paese, poi si spostò a Marino e, ancora, nei pressi di Genova, località scelte da Camilla Ravera per impiantare il Centro interno del Partito. Con l’acuirsi della repressione in Italia, tra retate e arresti ripetuti, a febbraio si decideva la costituzione dell’Ufficio estero del PCd’I, con sede a Parigi e sotto la direzione di Togliatti, Tasca, Ruggero Grieco e Luigi Longo, mentre il Centro interno veniva trasferito prima a Lugano e poi a Basilea. In questo frangente, mentre gran parte della dirigenza comunista era all’estero e in Italia rimanevano solo Tresso e Silone, il ruolo delle sorelle Seidenfeld, in particolare di Barbara e Serena, emerge nitidamente. Tra il 1927 e il 1928, infatti, è a loro che si deve un intenso lavoro di collegamento, trasporto materiali e documenti, di logistica per gli espatri clandestini, che risultò indispensabile per il mantenimento di una rete interna e di collegamenti con l’estero in un periodo reso ancora più difficile dai colpi assestati all’organizzazione da infiltrati e collaboratori. Barbara, d’altra parte, pur espatriando lei stessa poco dopo, stabilendosi prima a Zurigo e poi a Parigi, continuò a compiere missioni esplorative e di collegamento, estremamente delicate, in Italia. In assenza ormai di un Centro interno sul suolo italiano, nel 1929 ‘Ghita’ fu incaricata di recarsi a Roma e a Napoli per missioni conoscitive circa le condizioni del movimento operaio e verificare la riorganizzazione dell’apparato illegale. I suoi rapporti, nei quali esprimeva la consapevolezza che in Italia non ci fossero le condizioni per impiantare un nuovo Centro interno, far rientrare quadri e dirigenti e cavalcare una presunta imminente insurrezione popolare e operaia, probabilmente pesarono nel rafforzamento delle posizioni dei dirigenti a lei più vicini, Tresso, Leonetti, Ravazzoli. I tre, non allineandosi alla maggioranza, coagulata intorno al ‘progetto Gallo’ di ritorno in Italia, si ritrovarono al centro di un’accesa lotta interna alla direzione e al comitato centrale, nella quale vennero coinvolti tutti i membri del comitato, compreso Silone, allora ricoverato in Svizzera, che inclinò verso le posizioni del cognato Tresso. La vicenda si concluse con l’espulsione dal Partito dei tre e di altri dirigenti e funzionari a loro vicini, accusati di aver operato ai danni dell’organizzazione ed essersi avvicinati al trotzkismo. Fu in questo frangente che Silone, come si è visto, cavalcò il conflitto interno per porre fine alla sua doppia vita di dirigente e informatore. Barbara scelse di lasciare il partito ed entrare a far parte con il compagno dell’Opposizione di sinistra, dopo che nei mesi precedenti era stata lei, con la sorella Gabriella, a rendere possibili gli scambi e le comunicazioni tra molti dei soggetti coinvolti.
Come per la sorella maggiore, anche per ‘Ghita’ il venir meno della protezione del partito, a cui si era data in modo assoluto nei dieci anni precedenti, segnò l’inizio di una fase di grandi difficoltà: a Parigi la coppia si ritrovò all’improvviso fuori dalle vecchie relazioni, senza sostegno economico e documenti regolari, costretta a impegnarsi in lavori umili e a vivere in una sola stanza. Pur sostenuti dalla rete che negli ambienti dell’emigrazione politica che si era creata tra i reietti del partito, i bordighisti e trotzkisti, la situazione per i due, come per tutti i trotzkisti, si complicò fino a diventare pericolosa man mano che il decennio avanzava. Dopo l’assassinio a Parigi di Rudolf Klement nell’estate 1938, la coppia sembrò eclissarsi, fino a guerra scoppiata.
Nel 1940 Barbara era ancora a Parigi, dove era occupata in una fabbrica di pneumatici mobilitata per la produzione bellica e ormai cittadina regolare grazie al matrimonio d’occasione celebrato nel 1937 con il militante Élioz Stratiesky. Quando la Germania invase il paese, Tresso intensificò l’impegno nell’organizzazione trotzkista clandestina, diventando presto noto anche alla Gestapo. A metà del 1941 si spostò quindi a Marsiglia, mentre Barbara rimaneva a Parigi, dove veniva raggiunta anche dalla notizia della morte del padre. Sottoposta a diverse perquisizioni e interrogatori perché rivelasse l’indirizzo del compagno, al principio del 1942 era ormai in pericolo, tanto più che durante una di queste ‘visite’ la Gestapo aveva scoperto le sue origini ebraiche. Decise quindi di raggiungere Tresso a Marsiglia, dove ad aprile rividero per qualche giorno anche Gabriella, che da Zurigo si era recata a far loro visita e, attiva nel soccorso ai rifugiati, continuò a inviare loro denaro e cibo.
A giugno, tuttavia, vennero arrestati entrambi, accusati di essere coinvolti in attività di propaganda contro il governo di Pétain e Tresso venne torturato davanti agli occhi di Barbara. Deferiti al Tribunale militare e processati, dopo alcuni mesi di carcere lei fu assolta, mentre ‘Blasco’ fu condannato a dieci anni di lavori forzati. Tornata a Marsiglia, Barbara si prodigò nei mesi successivi per alleviare la prigionia del compagno, rifiutandosi di lasciare il Paese nonostante i rischi a cui era costantemente esposta, anche in quanto ebrea. Il 2 ottobre 1943, infine, tutti i detenuti politici presenti nel carcere di Le Puy, dove si trovava Tresso, vennero liberati da un commando di partigiani comunisti, sostenuti dai servizi britannici che avevano acconsentito a partecipare a condizione che non venissero fatte distinzioni tra i prigionieri da liberare. Nei giorni seguenti lo sparuto gruppo di trotzkisti, tra cui Tresso, era di fatto libero ma sotto controllo nel campo maquis di Rafy. A metà mese i quattro ‘dissidenti’ venivano condotti in un bosco e fucilati, i loro corpi mai più trovati. Iniziò così per Barbara il periodo più duro e tormentato della sua vita. Angosciata dalla mancanza di notizie da parte del compagno, vide scorrere davanti a sé la liberazione di Marsiglia e dell’intero paese, il ripristino delle comunicazioni e dei collegamenti, senza che nulla riuscisse a scoprire della sorte di ‘Blasco’. Con il passare dei mesi si rassegnò all’idea di non rivedere più il suo compagno, ma non smise di cercare di scoprirne il destino, interrogando persone coinvolte, esponenti delle forze alleate, recandosi persino in Alta Loira per indagare sul campo.
Nel 1946, rimasta ormai sola a Parigi e senza mezzi, rientrò in Italia. Negli anni seguenti non rinunciò a tentare di far luce su quanto accaduto a Tresso e lavorò anche alla costruzione di un ‘archivio’ a lui dedicato, poi versato alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Probabilmente instradata da Gabriella, che non mancò mai di starle vicina, si impegnò anche lei per il Soccorso operaio svizzero. Determinante fu l’incontro con Margherita Zöebeli, anche questo avvenuto tramite la sorella, con la quale fondò il Centro pedagogico di Rimini, nel quale lavorò per oltre dieci anni, fin quando non fu invalidata da una grave disfunzione cardiaca.
Morì a Rimini il 3 novembre 1978.
Se le storie di Gabriella e Barbara rimasero intrecciate fino alla fine, tenute insieme dall’affetto, da un sentimento non dogmatico verso la militanza politica e, anche, dal legame che intercorreva tra i loro, celebri, compagni, quella di Serena (‘Nuvola’) ha seguito una strada per certi aspetti più lontana, non solo geograficamente.
Come le sorelle, durante i primi anni del fascismo intraprese la via dell’emigrazione politica, con molta probabilità recandosi dal primo momento a Parigi. Non sembra si sia legata sentimentalmente a figure di spicco della galassia comunista e mostrò, a ogni modo, un profilo politico autonomo. Nella capitale francese si impegnò nell’Ufficio manodopera straniera della Confederazione generale del lavoro unitario e vi rimase cinque anni, prendendo pienamente parte alla trama di comunicazioni e relazioni internazionali di cui visse il PCd’I durante il ventennio fascista. Richiamata dal partito nella penisola per coadiuvare Camilla Ravera nell’organizzazione del Centro interno, occasione nella quale ritrovò le sorelle, coinvolte anche loro nell’impresa, nel 1927-28 lavorò nell’Ufficio stampa e propaganda, incaricata di tenere i collegamenti con alcune città del Nord. Trasferita la sede del Centro interno in Svizzera, ‘Nuvola’ nei primi mesi del 1928 si ritrovò probabilmente a Basilea con Gabriella, per poi intraprendere la strada dell’emigrazione in Unione sovietica, dove rimase per quasi vent’anni. Nella patria del comunismo rivestì ruoli significativi, facendo parte dell’Ufficio informazioni del Comintern e venendo incaricata di importanti e delicate missioni all’estero, come quelle in Germania o in Uzbekistan a metà anni Trenta. Svolse una vita comune a quella dei funzionari di partito, scandita dal lavoro per l’apparato, la frequentazione degli altri ‘compagni’, in particolare di quelli come lei stranieri, di soggiorni nel sanatorio di Soči. Nelle lettere inviate in Italia parlò poco della sua vita in URSS, ma traspare una decisa volontà di preservare le sue convinzioni e la sua identità politica, al punto di interrompere definitivamente i rapporti con la sorella Barbara quando questa nel 1930 venne espulsa dal Partito e si legò al trotzkismo. Più duraturi e solidi, ma sempre nel perimetro di quanto permesso dalle direttive staliniste, i contatti con Gabriella, che si intensificarono significativamente tra il 1934 e il 1936, in coincidenza con la politica di riavvicinamento ai partiti socialisti e dei fronti unitari intrapresa dall’Internazionale comunista. Altrettanto indicativo è che all’indomani dei processi celebrati nel 1936 in URSS contro i ‘nemici interni’ e l’avvio della stagione della ‘vigilanza di massa’ e della politica del sospetto, Serena interrompesse la corrispondenza ufficiale anche con Gabriella, probabilmente per paura che potesse essere per lei compromettente. Da quell’anno le tracce di Serena si fecero rare fino al dopoguerra e degli anni del conflitto si sa solo che fece da interprete per l’esercito russo ed era a Leningrado durante i 28 mesi dell’assedio nazista.
A guerra finita chiese e ottenne l’autorizzazione a rientrare in Italia, stabilendosi a Milano dove trovò posto nella redazione de L’Unità.
Morì a Milano il 2 dicembre 1961.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, cat. J5, 1936, b. 308, f. Seidenfeld Gabriella e cat. J5, 1935, b. 308, f. Sei[de]feld Barbara; Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Tresso; Sesto San Giovanni (Milano), Fondazione Istituto per la Storia dell’età contemporanea, Fondo biografie, b. 30, f. 13, Biografia di militante redatta da Serena Seidenfeld, 1949.
Per ricostruire la biografia delle sorelle Seidenfeld il riferimento d’obbligo è all’accurato lavoro di S. Galli, Le tre sorelle Seidenfeld. Donne nell’emigrazione politica antifascista, Firenze 2005; nel testo sono riportati anche ampi stralci del dattiloscritto inedito Le tre sorelle, opera di Gabriella Seidenfeld (s.d., ma redatto nel secondo dopoguerra), nonché riferimenti bibliografici e archivistici completi. Si vedano inoltre P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, II, Gli anni della clandestinità, Torino 1969, pp. 69, 238, 259; C. Ravera, Diario di trent'anni. 1913-1943, Roma 1973, pp. 265-266, 357, 437-439, 471. Per alcune utili riflessioni sulle biografie politiche femminili e le politiche della memoria cfr. P. Gabrielli, Biografie femminili e storia politica delle donne, in Italia contemporanea, XXII (1995), pp. 493-509. Per un approfondimento del ruolo di informatore di Silone cfr. D. Biocca - M. Canali, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, Milano-Trento 2000.
(Barbara),
Serena