Nobile macedone (n. 355 circa - m. 280 a. C.). Nella spedizione di Alessandro Magno in Asia (334-23) si segnalò specialmente in India; alla morte del sovrano fu nominato capo della cavalleria; prese parte alla congiura contro Perdicca (321), e nella nuova divisione dell'Impero ebbe la satrapia di Babilonia. Nella lotta tra Antigono ed Eumene parteggiò per il primo; tuttavia quando Antigono (316), battuto Eumene, avanzò su Babilonia, S. si ritirò in Egitto, dove per tre anni combatté per conto di Tolomeo. Dopo la vittoria di Gaza, questi gli diede un piccolo esercito col quale S. riuscì abilmente a riconquistare la Babilonia, i cui confini allargava poco dopo nella Susiana e nella Media; da questa riconquista (312) ha inizio l'èra regale seleucidica (nel 306 S. assunse, come gli altri diadochi, il titolo di re). S. fece quindi parte dell'ultima coalizione contro Antigono, e il suo esercito con quello di Lisimaco batté il nemico a Ipso (301); in compenso ottenne tutta l'Asia già di Antigono, meno la Frigia, assegnata a Lisimaco. Intanto però Tolomeo occupava la Celesiria, e S. si avvicinò a Demetrio; l'amicizia durò poco: infatti nel 294 S. occupò la Cilicia, e nel 288-86 batté definitivamente Demetrio facendolo prigioniero. L'ultima campagna di S. fu contro Lisimaco; nella battaglia di Curupedio (281) Lisimaco perse la vita, e S. si accinse allora a occupare la Macedonia mirando in certo modo a ricostruire l'impero di Alessandro. Ma, appena posto piede in Lisimachia, fu ucciso da Tolomeo Cerauno. S. fu tra i diadochi quello che, più e meglio degli altri, riuscì ad accattivarsi le simpatie degli indigeni posti al suo comando: attuò una vasta riforma politico-amministrativa, curò le finanze e l'esercito e non fu sordo alle esigenze dei sudditi; ne fu ripagato, lui e i suoi immediati successori, con una fedeltà comprovata.