BENELLI, Sem
Nacque in località Filettole, a Prato, il 10 ag. 1877, da umile gente; contro la volontà del padre Raffaello e della madre Giovacchina Borri, volle intraprendere gli studi e frequentò la scuola dei padri scolopi di Firenze, dove ebbe per insegnante E. Pistelli, a cui rimase legato da amicizia per tutta la vita. Nel 1895, alla morte del padre, fu costretto a interrompere gli studi regolari e fece diversi mestieri: da impiegato in un mobilificio a commesso di libreria. Continuò tuttavia a studiare per proprio conto, e nel 1898 pubblicò a Firenze una versione dell'Edipore di Sofocle. Grazie al Pistelli entrò nella redazione del Marzocco, ed ebbe modo di seguire i corsi dell'Istituto di studi superiori di Firenze, senza però terminare gli studi.
Nel 1902 (aveva già scritto, a diciassette anni, una commedia in versi, Vocazione, poi distrutta) fece rappresentare - senza successo -all'Arena nazionale di Firenze Ferdinando Lassalle, un dramma sull'agitatore socialista tedesco dell'Ottocento: era un tentativo di idealizzare un personaggio vicino all'attualità dei dibattiti politici sul problema sociale. Passato alla redazione de La Rassegna internazionale, diretta da R. Quintieri, il B. visse fra Roma e Milano; è di questo periodo il poema, assai polemico e in parte autobiografico, Un figlio dei tempi (Torino-Roma 1905), in cui "l'interesse puramente estetico... resta assai dubbio, in confronto al suo interesse psicologico, documentario" (Cecchi, p. 130). Faceva intanto rappresentare a Milano altri due drammi, La terra (1903), che cadde clamorosamente, e Vita gaia (1904), che piacque al critico del Corriere della sera G. Pozza. Il B. allora scriveva come giornalista di sport (sul Verde Azzurro, giornale mondano diretto da U. Notari), di varietà e di diversi altri argomenti; poi dal 1905 diresse, insieme con F. T. Marinetti e V. Ponti, Poesie, rassegna internazionale multilingue, fino al 1907, ritirandosi infine per divergenze di vedute con Marinetti.
Il 10 febbr. 1908, al Teatro Paganini di Genova, andò in scena il lavoro da cui poi il B. volle far iniziare la propria attività drammatica, ripudiando i precedenti: Tignola, commedia in prosa in tre atti, il secondo dei quali fu riscritto tre volte (Milano, Treves, 1908; Mondadori, 1937 e 1950).
Presentata dalla compagnia Calabresi-Severi, ripresa poi da A. Giovannini, la commedia, rapida e incalzante, con un'acuta rappresentazione della sofferta vita piccolo borghese, offre, nella figura del protagonista, l'archetipo degli eroi del teatro intimista, pieni di ambizioni ma incapaci di osare, e in essa per la prima volta si profila il dramma dell'inconsistenza della personalità.
Nonostante il successo, il B. non proseguì sulla strada della commedia borghese in prosa, ma si volse al "teatro di poesia", al "poema drammatico" d'ispirazione dannunziana. Il 16 maggio dello stesso anno veniva rappresentata al Teatro Lirico dalla Compagnia stabile della città di Milano La maschera di Bruto, dramma in versi in quattro atti (Milano, Treves, 1909; Mondadori, 1932, 1934, 1950), opera più volte rimaneggiata; era un'originale interpretazione della vicenda di Lorenzino de' Medici, ed ebbe un enorme successo di pubblico. A undici mesi di distanza seguì La cena delle beffe, poema drammatico in quattro atti (Milano, Treves, 1909; Mondadori, 1934, 1936, 1942, 1950; in E. Possenti, Teatro italiano. V, Milano 1956). Era stato scritto dal B. in poco più di tre mesi, ed era andato in scena a Roma il 16 apr. 1909 ad opera della Compagnia stabile del Teatro Argentina, con A. Chiantoni nella parte di Neri Chiaromontesi, A. De Antoni in quella di Giannetto Malespini ed Edvige Reinach in quella di Ginevra.
Partendo da due novelle del Lasca, il B. compose una storia ambientata nella Firenze medicea: il debole Giannetto ha vagheggiato la cortigiana Ginevra, ma il forte e prepotente Neri gliela ha tolta e lo ha beffato sanguinosamente. Giannetto se ne vendica facendo imprigionare Neri, con la falsa voce che è impazzito, da giovani fiorentini. Egli così, indossate le vesti del rivale, passa la notte con la bella Ginevra. Per venir liberato, Neri si finge pazzo mansueto: cosicché lo stesso Giannetto non riesce più a distinguere se la sua follia sia simulata o reale. Nella notte, mentre in strada un ignoto canta melanconiche maggiolate, presso il letto di Ginevra Neri attende che venga Giannetto per vendicarsi. Ma l'uomo che, avvolto nella cappa rossa di Giannetto entra nella stanza della cortigiana, e viene ucciso, è Gabriello, fratello di Neri, spinto al convegno amoroso da Giannetto. Neri scopre la verità e impazzisce davvero, sotto gli occhi di Giannetto.
Il trionfo di pubblico e di critica fu incondizionato: V. Cardarelli, in loggione, dava il via agli applausi; in platea D. Oliva, il critico de Il Giornale d'Italia, lo stroncatore di D'Annunzio, dava il tono alla critica. "Questa del B. è poesia drammatica, poesia negl'intendimenti, poesia nell'esplicazione, poesia irrompente e primaverile, poesia nell'argomento, poesia nelle figure, nel quadro, poesia nel verso elegante e musicale, ma sopra tutto agile, svelto, nervoso; qui fioriscono l'espressioni più pure, più pittoresche della lingua toscana" (Oliva, pp. 171 s.). Parve che l'Italia avesse infine trovato il suo Shakespeare. Più semplicemente aveva trovato l'uomo da opporre ai miti e ai giochi troppo aristocratici di D'Annunzio; al verso "voluto" di questo si contrappose la "poesia di vita" (E. Cozzani) del B., l'endecasillabo "che ha trama d'acciaio" (C. Oliva), in cui gli accenti logici coincidono con gli accenti metrici. In realtà la caratteristica fondamentale consisteva nei valori scenici, nei continui "effettismi" che lampeggiano e stordiscono, nell'incalzare rapido degli avvenimenti, nella costruzione sagacissima, nella spettacolarità del suo verso. Il clamoroso successo de La cena si ripeté anche all'estero: Sarah Bernhardt la presentò in Francia nella riduzione di Jean Richepin; Ida Roland in Germania; John, Lionel ed Ethel Barrymore in America, replicandola diverse centinaia di sere.
Lo straordinario successo, insieme con la definizione antagonistica della poesia del B. nei confronti di D'Annunzio, ebbe ceme conseguenza di inchiodare il B. alla formula de La cena e alla moda delle rievocazioni storiche e mitiche, e la sua sincerità fu come conculcata dalla responsabilità che sentiva pesare su di sé. Si aprivano così "le cateratte dell'archeologia" (Pellizzi, p. 112), che tanta parte ebbero nel costume teatrale italiano fino agli anni trenta. Seguirono altri drammi in versi, che non ripeterono però l'equilibrio fortunato de La cena. L'amore dei tre re, poema epico in tre atti (Milano, Treves, 1910; Mondadori., 1932, 1950), rappresentato a Roma, al Teatro Argentina, dalla Compagnia stabile il 16 apr. 1910; Il Mantellaccio, poema drammatico in quattro atti (Milano, Treves, 1911; Mondadori, 1932, 1934), rappresentato contemporaneamente il 31 marzo 1911 a Roma al Teatro Argentina e a Torino al Teatro Regio (in questa occasione E. Cozzani pubblicò su Il Giornale d'Italia un saggio sull'endecasillabo benelliano come "verso sofferto", sviluppando un'idea di L. Federzoni); Rosmunda, tragedia in quattro atti (Milano, Treves, 1912 e 1913; Mondadori, 1950), andata in scena il 20 dic. 1911 al Teatro Lirico di Milano a cura della Compagnia stabile romana n. 2, la famosa "Benelliana", con I. Gramatica, G. Tumiati, G. Tempesti e U. Mozzato. Seguirono ancora La Gorgona, dramma epico in quattro atti (Milano, Treves, 1913 e 1916; Mondadori, 1943 e 1950), in cui il B. volle rivaleggiare con D'Annunzio nel glorificare il destino marinaro d'Italia, rappresentata al Politeama Rossetti di Trieste il 14 marzo 1913 dalla Compagnia dei grandi spettacoli; Le nozze dei Centauri, poema drammatico in quattro atti (Milano, Treves, 1915 e 1918), allestita al Teatro Carignano di Torino il 17 apr. 1915 dalla compagnia "Fert" diretta da Ermete Novelli, con Lyda Borelli, Leo Orlandini e Romano Calò.
Il B. ritornò alle scene il 14 marzo 1921 - dopo lungo silenzio dovuto alla sua partecipazione alla prima guerra mondiale e alle vicende politiche del primo dopoguerra - con Ali. dramma in quattro atti (Milano, Treves, 1921), rappresentato dalla compagnia Borelli-Carminati.
Quest'opera segna una svolta profonda nell'attività del B. che - rientrato dal fronte, ritenendo non adeguatamente apprezzati dalla nazione vittoriosa i propri meriti - volle fare del proprio teatro uno strumento di concezioni misticheggianti sociali ed etiche, ispirate al principio dialettico del contrasto fra bene e male, che egli vedeva bizzarramente perpetuarsi in tutta la letteratura italiana da Dante - in cui si incarna lo spirito del bene - a Petrarca fino a D'Annunzio, entrambi riportati allo spirito del male (Borgese, p. 421). "È il dramma dell'umanità caduta ed anelante invano alla sua redenzione che B. vuoi farci sentire nel dramma dei suoi tristi eroi", ma il suo limite teatrale è che tutto "è virtualmente esaurito nel monologo - confessione - commento - descrizione - recìta, con cui l'angelo caduto e diventato demonio ci si presenta e descrive" (Tilgher, p. 112). Questo contrasto di bene e male prende ora totalmente il sopravvento sulla individuazione umana dei singoli personaggi, i quali divengono complicati strumenti per esprimere idee universali, in intrecci di una verità traslata e surrealistica.
Un improvviso, complicato ritorno ai modi de La cena segnava L'arzigogolo, dramma in quattro atti (Milano, Treves, 1922; Mondadori, 1937), rappresentato il 17 ott. 1922 al Teatro Costanzi di Roma dalla compagnia di A. Romanelli, opera variamente giudicata, che, sul cliché del Giannetto de La cena, innerva un'azione ricchissima d'effetti teatrali. Ma, all'unità stringata del suo primo teatro, il B. presentava poi una diluizione dell'azione in mille particolari, in atteggiamenti panflettistici e astiosi contro persone e cose non sempre facilmente individuabili. Tali furono La Santa Primavera, sagra in tre parti (Milano, Treves, 1923), rappresentata il 21 luglio 1923 al Parco del Valentino di Torino, da T. Carminati. U. Mozzato, T. Franchini e A. Amari; L'amorosa tragedia, poema drammatico in tre atti (Milano, Treves, 1925; Mondadori, 1937), rappresentata il 14 apr. 1925 al Teatro Valle di Roma con la compagnia di L. Almirante; Ilvezzo di perle, commedia in prosa in quattro atti (Milano, Treves, 1926; Mondadori, 1937), rappresentata il 6 marzo 1926 al Teatro Olimpia di Milano con la compagnia di Alda Borelli, che richiama il clima di Tignola. E ancora Con le stelle, mistero in tre parti e un preludio (Milano, Treves, 1927); Orfeo e Proserpina, dramma lirico in quattro atti e sei quadri (Milano, Treves, 1929; Mondadori, 1938); Fiorenza, poema drammatico in tre atti (Milano, Mondadori, 1930); Caterina Sforza, rappresentazione storica in tre parti e otto quadri (Milano, Mondadori, 1932): ricostruzioni d'ambiente rinascimentale sulla linea de La maschera di Bruto. E ancora Eroi, dramma di guerra in un atto (Milano, Mondadori, 1931); Madre Regina, dramma rivoluzionario in un atto (Milano, Mondadori, 1931, nello stesso volume di Eroi); Adamo ed Eva, commedia fantastica in tre atti (Milano, Mondadori, 1932).
Gli ultimi drammi in prosa (da Ilragno a Paura)sono dominati da cupo pessimismo, da un'asprezza di contenuto polemico e da acerbi sfoghi verbali, e il B. tende contraddittoriamente a materiarli di attualità e di spirito universale atemporale. Probabilmente egli era sospinto a ciò "dal desiderio di gareggiare in modernità con quelle espressioni dell'arte scenica. dai grotteschi di Antonelli e di Chiarelli alla dialettica esplosiva e filosofica di Pirandello, che avevano completamente mutato il volto del teatro italiano, respingendo tra le mode del passato la moda dei dramma neo-romantico ch'egli aveva così autorevolmente contribuito a imporre" (Damerini, p. 32). Le sue memorie sono raccolte in tre volumi: Io in Affrica (Milano, Mondadori, 1936 e 1937), dove narra la sua partecipazione alla guerra d'Etiopia; La mia leggenda (Milano, Mondadori, 1939), dove ai ricordi si alternano poemetti in versi e in prosa, che sono fra le sue cose più vive, e Schiavitù (Milano, Mondadori 1945), violentemente polemico nei confronti di persone e cose del regime fascista.
Dopo aver tentato ancora una volta di costituire una compagnia benelliana., triste e disamorato, si ritirò a Zoagli (Genova), dove morì il 18 dic. 1949.
In un giudizio sul B. bisogna distinguere le opere in cui prevalgono i valori poetici e scenici da quelle utili solo per una valutazione storico-critica dei costume teatrale e della drammaturgia italiana dei primi trenta anni dei secolo. Al primo gruppo appartengono senza dubbio Tignola e La cena delle beffe, cui alcuni critici aggiungono La maschera di Bruto e L'arzigogolo. Le radici crepuscolari della drammaturgia benelliana furono indicate acutamente da E. Cecchi (p. 152) fin dal 1912: l'amore è la corda unica e fondamentale, ma è l'amore concepito da un represso, da un individuo escluso. Nel protagonista dei suoi drammi molti critici hanno creduto di vedere l'oggettivazione dell'autore: il motivo chiave benelliano è l'uomo sconfitto a priori, "una figura torbidamente aspra; e umiliata, e vendicativa", (Palmieri), prenda nome Tignola, o Giannetto ne La cena, o Lorenzino ne La maschera di Bruto, o Fabrizio ne Ilragno, oAndrea in Paura. Nell'ispirazione del B. c'è qualcosa di "ambiguo, folle, stridulo, inumano, ma pur vivo"; nelle scene più appassionanti del suo teatro si sente "un tremare di desiderio rovente e insieme un distruggere la forza dei desi" derio analizzandolo, ponendolo al cospetto di non si sa quale tristezza fatale ed oscura, che il poeta non riesce a dirci, ma verso la quale, la sua poesia, dalla mossa sempre schiettamente sensuale, tenta il volo" (Cecchi, pp. 152 s.). La tecnica scenica ad effetto, che ripete spesso con variazioni la costruzione de La cena, a un'attenta analisi rivela gli ingredienti di cui è composta: "buffone, finto spregiator della vita e dell'amore, in realtà poeta redento dall'amore; donna perfida, ambigua, ecc.; amatore costante; padre nobile; confidente; cena con lieta brigata; canzone del buffone; notte di primavera, con maggiolata; una beffa; assassinio con urlo soffocato nell'altra stanza" (D'Amico, pp. 349 s.). Il verso e il suo valore sono stati oggetto di molte polemiche: dalle lodi di E. Cozzani e M. Ferrigni alle demolitorie pagine di S. D'Amico, che conclude definendo il verso del B. "prosa dove si va a capo ogni undici sillabe" (D'Amico, p. 347).
In realtà la scrittura del B. è affrettata, inelegante, ha modi desunti, è approssimativa, è un linguaggio scenico sonoro e incalzante, adatto ad essere declamato dagli ultimi eredi dei "mattatori" ottocenteschi.
Opere: nel 1932 l'editore A. Mondadori iniziava la pubblicazione, in volumi singoli, di Tutte le opere di S. B.; la raccolta è rimasta incompiuta.
Oltre i testi teatrali ricordati, si aggiungano: La Morale di Casanova (in collab. con Giulio De Frenzi), s.l. 1906; Il Ragno, commedia in tre atti, Milano, Mondadori, 1935, 1937, 1943; L'Elefante, commedia in tre atti, Mondadori, 1937, 1946; L'orchidea, commedia in tre atti, Mondadori, 1938, 1946; La Festa, commedia in tre atti, Mondadori, 1940; Paura, dramma in tre atti con una divagazione, Mondadori, 1947. Oro vergine, del 1949, è inedita e non rappresentata.
Si aggiungano ancora, per la saggistica e la poesia: Ricordo di Giovanni Pascoli, Ancona 1913; L'altare, carme, Milano 1916; Parole di battaglia, discorsi, ibid. 1918; La Passione d'Italia, versi scelti nel suo teatro, prefazione e note di P. Arcari, Treves, 1918; Notte sul golfo dei poeti, introduzione di E. Cozzani, Milano 1919. Il B. ridusse a libretti d'opera le seguenti sue opere: L'amore dei tre re, musica di I. Montemezzi, Milano, Ricordi e C., 1913; La cena delle beffe, musica di U. Giordano, ibid., Sonzogno, 1926, 1934; Rosmunda, musica di E. Trentinaglia, Sonzogno, 1926. Ha scritto appositamente come libretto d'opera Incantesimo, musica di I. Montemezzi, Sonzogno, 1932.
Interessanti sono le posizioni politiche del B., non solo in rapporto alle sue vicende letterarie, ma anche in quanto riflettono la rapida usura di atteggiamenti politici propri di quegli anni. Egli fu volontario durante la prima guerra mondiale, e guadagnò due medaglie d'argento e due croci al valore. Nell'immediato dopoguerra ebbe vasta eco un suo comizio, alle associazioni patriottiche milanesi, di protesta contro la debolezza dei governo nelle trattative parigine di pace: fu approvato un ordine del giorno che una delegazione, composta da E. Ferrari, M. Rocca e dal B., avrebbe dovuto recare a Parigi ai delegati italiani. Quando nel giugno dei '19 l'associazione "Trento e Trieste" e il Consiglio nazionale flumano vollero organizzare un esercito per e difendere Fiume, il B. - allora ufficìale a Pola, a capo dell'ufficio politico alle dipendenze dello Stato Maggiore dell'amm. Cagni - fu incaricato di organizzarlo. Pochi giorni dopo, però, il 26 giugno, egli rassegnava le dimissioni, motivate dalla freddezza dimostratagli da un gruppo di volontari. Avvenuta la marcia di Ronchi, il B. fu inizialmente critico verso l'impresa dannunziana; poi il suo atteggiamento negativo si attenuò, intorno al novembre, quando sembrò disposto a collaborare con i Fiumani in Italia. È di questi mesi infatti il suo allontanamento dal gruppo di ex combattenti di "Rinnovamento", cui aderiva Salvemini (cfr. la lettera di dimissioni in L'Idea nazionale, 17 dic. 1919). Già eletto al Parlamento dal collegio di Firenze nella lista liberale per la XXV legislatura (1919-21), il 27 dic. 1922 rilasciò un'intervista al Popolo d'Italia, in cui si proclamava "precursore" del fascismo. Su invìto di Mussolini entrò, per la XXVII legislatura (1924-29), nella lista nazionale, e fu eletto nel collegio della Toscana, ma nel novembre del '24 si dimetteva. Nell'autunno dello stesso anno aveva organizzato l'associazione "Lega Italica", che però ben presto sì sciolse perché D'Annunzio, sulla cui adesione contava, la sconfessò. Dopo il delitto Matteotti passò all'opposizione antìfascista, e fu per questo violentemente attaccato, con R. Bracco, dai fascisti. Nel 1925 firmava il contromanifesto Croce in risposta agli intellettuali fascisti. Alla guerra contro l'Etiopia partecipò come volontario (e a tale esperienza si riferisce il volume Io in Affrica), riavvicinandosi al fascismo, sia pure con riserve; ma in seguito ruppe definitivamente, e durante la seconda guerra mondiale si rifugiò in Svizzera.
Bibl.: La prima definizione antagonistica dei B. nei confronti di D'Annunzio si deve agli articoli di D. Oliva, apparsi sul Giornale d'Italia e poi raccolti nel volume Il Teatro in Italia nel 1909, Milano 1911, pp. IX, X, 79-84 (La Maschera di Bruto), 162-172 (La cena delle beffe), e al saggio di M. Ferrigni, L'arte poetica di S. B., apparso sul Nuovo Giornale di Firenze e poi ristampato in appendice alla Cena delle beffe (Milano 1909). Riducendo a più stretti limiti l'arte del B., E. Cecchi, in tre saggi pubblicati nelle sue Cronache di letteraturae ristampati in Studi critici, Ancona 1912, pp. 129-137 (Melpomene livida), 139-147 (L'amore dei tre re), 149-156 (Il Mantellaccio), ne individuava il carattere intimista della ispirazione; insieme G. A. Borgese, in uno studio su Il Mantellaccìo, apparso in Tirso e ristampato in La vita e il libro, Terza serie, Torino 1913, pp. 409-426, ne sosteneva la derivazione tecnica dannunziana e l'inettitudine espressiva nei drammi successivi a Tignola. In S. B., Studio biografico-critico. Ancona 1913, F. Palazzi vedeva nel suo teatro la fusione del teatro di vita" e del "teatro di poesia".
Si ricordi ancora: G. Antonini, Il teatro contemporaneo in Italia, Milano 1927, pp. 81-94; C. Lari, S. B., il suo teatro, la sua compagnia, Milano 1928; A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, Roma 1928, pp. 109, 111-113; M. Gastaldi, Scrittori del tormento, Bologna 1929, pp. 57-85; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929. pp. 87. 100, 110, 112-114, 229, 313, 342; S. D'Amico, Il Teatro italiano, Milano 1937, pp. 23, 54, 70-85, 170, 302, 306; A. Fiocco B., Poeta romantico, in Riv. ital. del dramma, V, 2 (1941), pp. 272-290 (che riprende e sviluppa la definizione dei B. preintimista già Proposta da Cecchi, Borgese e D'Amico); E. F. Palmieri, Il teatro di S. B., in Sipario, V, 45 (1950), p. 16; G. Damerini, Il teatro di S. B. in relazione al suo tempo, in IlDramma, 15genn. 1950, pp. 29-32; J. Tregella Monaro, S. B., l'uomo e il Poeta, Milano 1953; D. Spoleti, S. B. e il suo teatro, Reggio Calabria 1956.
Fra le maggiori critiche teatrali dedicate al B. si vedano: M. Praga, Cronache teatrali: 1921, Milano 1922, pp. 64-73 (Ali); 1922, ibid. 1923, pp. 173-178 (L'Amore dei tre re); pp. 226-38 (L'Arzigogolo);1923, ibid. 1924, pp. 154-61 (La Santa Primavera);1925, ibid. 1926, pp. 126-140 (L'Amorosa tragedia);1926, ibid. 1927, pp. 80-93 (Il Vezzo di perle);1927, ibid. 1928, pp. 74-86 (Con le stelle);1928, ibid. 1929, pp. 249-258 (Orfeo e Proserpina); R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, I, Torino 1951, pp. 181-187 (Le Nozze dei Centauri), pp. 447-449 (Ali), pp. 599-601 (L'Arzigogolo), pp. 700-702 (La Santa Primavera); II, ibid. 1954, pp. 268-271 (L'Amorosa tragedia), pp. 308-310 (Il vezzo di perle); III, ibid. 1955, pp. 27-29 (Con le stelle), p. 162 (La Gorgona), p. 178 (Orfeo e Proserpina), pp. 319 s. (Fiorenza). pp. 404-406 (Eroi e Madre regina), pp. 493 s. (Adamo ed Eva); IV, ibid. 1958, pp. 109-112 (Caterina Sforza), pp. 213-215 (Il ragno), pp. 372 s. (La maschera di Bruto), pp. 400 s. Worchidea), pp. 499 s. (La festa); S. D'Amico, Cronache del Teatro, I (1914-1928), Bari 1963, pp. 345-350 (L'Arzigogolo).
Per le vicende politiche del B., si veda: G. Gatti, Vita di G. D'Annunzio, Firenze 1956, p. 411; C. Rossi, Trentatrè vicende mussoliniane, Milano 1958, pp. 239 ss.; P. Alatri, Nitti, D'Annunzio e la questione adriatica (1919-20), Milano 1959, p. 190; U. Oietti, Lettere alla moglie 1915-1919. Firenze 1965, p. 664; R. De Felice, Mussolini. I. Il rivoluzionario, 1883-1920, Torino 1965, p. 530.