Semiologia
(App. IV, iii, p. 301; v. semiotica, III, ii, p. 697)
Semiologia del testo letterario
La s. (o semiotica) negli ultimi decenni è stata spesso al centro di interrogativi riguardanti la sua identità e il suo statuto scientifico. La concezione che meglio ancora ne esprime i contorni disciplinari la considera come 'scienza integrata della comunicazione', che analizza ogni tipo di messaggio in quanto costituito da segni ordinati da codici definiti ed espressi in determinati contesti; definizione questa tracciata nel 1968 da R. Jakobson (1896-1982), il quale allora non soltanto si richiamò ai fondatori dell'attuale scienza dei segni, Ch.S. Peirce (1839-1914) e F. de Saussure (1857-1913), ma indicò che tale scienza può essere considerata nella posizione mediana di due cerchi concentrici: il primo, più ristretto, rappresentato dalla linguistica, che ha per oggetto l'analisi dei congegni comunicativi dei messaggi verbali (i quali sono soltanto una parte dei messaggi codificati); il secondo, più ampio, costituito dalle scienze sociali, e principalmente dall'antropologia e dalla sociologia (e dalla psicologia generale, secondo Saussure); infatti è noto - come sostenne il linguista E. Sapir (1921) - che "ogni struttura culturale e ogni singolo atto di comportamento sociale produce comunicazione".
Si presenta pertanto, da una parte, una varietà di codici semiotici espressivi e di comunicazione, ciascuno dei quali è organizzato come un linguaggio; d'altra parte, si considera che anche l'insieme di tali linguaggi ha proprietà strutturali e comunicative: è la cultura a essere intesa, sotto questa luce, come un complesso codificato, e i testi sono gli oggetti che la compongono e le danno vita. Più precisamente, i testi vengono intesi come complessi comunicativi definiti e coerenti, manifestati da un linguaggio e riconosciuti come tali da una collettività: sarà pertanto testo una fiaba, un mito, un romanzo, un affresco, un film, una sinfonia, ma anche una preghiera, un corteo, una canzone e perfino un prodotto di consumo a forte valore simbolico.
Il testo letterario (e analogamente ogni opera d'arte) verrà di conseguenza definito, sotto l'aspetto semiotico, come un insieme informativo delimitato, dotato di organizzazione interna ed espresso nella particolare 'lingua' della letteratura. Il collegamento fra cultura e s. è stato sostenuto a più riprese, soprattutto dagli studiosi russi Ju.M. Lotman, B.A. Uspenskij, V.V. Ivanov, N.V. Toporov, che hanno elaborato le Tesi per un'analisi semiotica delle culture (1973), in apertura delle quali si può leggere la seguente asserzione: "Nello studio della cultura un punto d'avvio è il presupposto che tutta l'attività dell'uomo, volta ad elaborare, scambiare e conservare informazione, possiede una certa unità"; la cultura può essere interpretata come "un congegno collettivo per conservare ed elaborare informazione", in altri termini come 'memoria collettiva' (cfr. La semiotica nei paesi slavi, 1979, p. 194 e p. 209).
Il rapporto cultura-semiologia, anticipato in Italia da alcuni studiosi e tendenze critiche (fra i primi, D'A.S. Avalle, A. Buttitta, U. Eco), ha indicato un preciso statuto della scienza dei segni, la quale si fonda proprio sull'analogia fra cultura e lingua. Avalle ha notato che, per la s., non si può dire che il linguaggio costituisca semplicemente un mezzo di trasmissione dell'esperienza e dei valori culturali; è vero piuttosto che "tutti i sistemi segnici della cultura si basano sopra l'esperienza del linguaggio, che risulta pertanto archetipico, come voleva già W. von Humboldt (1767-1835), e cioè primario, nei confronti di qualsiasi altra esperienza culturale, da definirsi quindi secondaria" (La cultura nella tradizione russa del xix e xx secolo, 1982, p. 6).
Nel Trattato di semiotica generale (1975), Eco, considerando i limiti della s., e in particolare la 'soglia superiore', che va riferita allo studio delle ideologie, arriva alla seguente formulazione: "l'intera cultura dovrebbe essere studiata come un fenomeno di comunicazione fondato su sistemi di significazione" (p. 36). Si verrebbero così a integrare una teoria della produzione segnica (o della comunicazione) e una teoria dei codici (o dei sistemi di significazione); per quel che attiene al testo letterario si tratterà pertanto di procedere induttivamente, mostrando - testo per testo - come vengono 'prodotti' i segnali dotati di significato, e di ricondurli successivamente ai principi generali, codificati e istituzionalizzati, dell'organizzazione linguistico-letteraria.
A questo riguardo, fondamentale è stato, sin dagli anni Sessanta, il contributo della scuola italiana, principalmente a opera di C. Segre, M. Corti, D'A.S. Avalle, riuniti nella direzione della rivista Strumenti critici, fondata nel 1966. D'altra parte, la tempestiva pubblicazione, dopo la raccolta storica della Théorie de la littérature (1965, a cura di T. Todorov), di scelte dei lavori delle scuole di Tartu e di Mosca, inediti nell'Europa occidentale - I sistemi di segni e lo strutturalismo sovietico (1969) e Ricerche semiotiche (1973), promosse da R. Faccani e U. Eco la prima, e da V. Strada la seconda - produsse notevole interesse e un'influenza a lungo termine, rafforzatasi per effetto della traduzione di altri testi: da Struktura chudožestvennogo teksta (1970) di Lotman, alle raccolte Semiotica e cultura e Tipologia della cultura (1975) di Lotman e Uspenskij e poi La semiotica nei paesi slavi (1979), a cura di C. Prevignano, in cui largo spazio veniva assegnato, oltre che ai problemi teorici, a specifiche analisi di opere letterarie.
Si presentava allora la suggestiva panoramica di un'attività che proseguiva la feconda stagione dei Circoli linguistici di Mosca e di Praga (fondati rispettivamente nel 1915 e nel 1926), in cui era stato sostenuto l'incontro di linguistica e letteratura, mostrando l'intima creatività della lingua e privilegiando i procedimenti e i rapporti linguistico-formali presenti nei testi (volutamente a discapito - dato il radicale, innovativo appello alla centralità della funzione linguistica - di qualsiasi considerazione del contenuto e del significato delle singole opere artistiche).
La visione semiologica della letteratura muove dal presupposto, già condiviso dal russo A.N. Veselovskij fin dagli anni Sessanta del secolo 19°, che la letteratura non può essere studiata indipendentemente dagli altri fatti della vita umana e dev'essere inquadrata nello studio della cultura, di cui forma "parte inscindibile" (M.M. Bachtin), in quanto "meccanismo vivo della coscienza collettiva" (Lotman).
Il primo dato che emerge a identificare il progetto di una s. del testo letterario è dunque l'unità di letteratura e produzione etnoletteraria che si trovano congiunte nella nozione di cultura. Da ciò consegue l'interdipendenza dei testi che formano una cultura, e precisamente il carattere della intertestualità: quest'ultima - come ha osservato Corti (1997) - può avere forma sincronica (e allora si tratterà delle fonti e dei modelli ai quali lo scrittore attinge più o meno consapevolmente) oppure diacronica (e in questo caso finirà per coincidere con l'idea stessa di tradizione).
Il secondo dato qualificante si riferisce all'analisi dei testi, la quale, volendo metterne in luce organicità e principio di economia, valorizza il concetto di funzione. Tale concetto mira a distinguere in ogni complesso testuale ciò che è costante e ciò che è variabile, richiamandosi al principio saussuriano dell'opposizione fra langue e parole: ciò che è costante lo è rispetto ad altri testi dello stesso genere ma anche nei confronti della cultura a cui il testo appartiene, ciò che invece è variabile lo è in quanto determinato dall'incontro di singole scelte linguistiche, stilistiche ecc., che individuano quel testo e non un altro.
La nozione di funzione è ricavata dall'opera di V.Ja. Propp Morfologija skazki (1928) - tradotta nel 1958 in inglese e in italiano nel 1966 - e poi dalla linguistica strutturale: l'identità dei soggetti e degli oggetti che contano nel testo fiabistico dipende non dalla variabilità del modo in cui si presentano ma da determinate grandezze costanti, dette funzioni (per es., allontanamento o divieto); esse esprimono la parte svolta dai soggetti e dagli oggetti nell'economia della fiaba, e dunque in rapporto al significato del racconto, il quale deriva dall'attuarsi di determinate relazioni.
È in gioco, come si è detto, l'eredità di un principio fondamentale per la scienza dei segni, che risale all'insegnamento di Saussure e che risulta fondamentale nello sviluppo della linguistica e della s.: ciò che importa, per il valore del segno, non sono i modi in cui viene prodotto ma le differenze che consentono di distinguere ogni segno da tutti gli altri dello stesso sistema. Ne deriva l'opposizione fra schema e realizzazioni concrete, vale a dire la possibilità di assegnare identità (invarianti) ai dati di tipo linguistico o semiotico che si presentano con variazioni fluttuanti così nei discorsi come nei testi.
Tale principio, approfondito in modo decisivo da L.T. Hjelmslev (tra il 1928 e il 1943), è stato correttamente ricondotto da L.J. Prieto (1926-1996) a quello di pertinenza, per come fu elaborato nelle Tesi del Circolo linguistico di Praga (1929); osserva Prieto che nei suoni prodotti quando si parla esistono caratteristiche che contano per l'identità che il soggetto parlante riconosce a questi suoni, e sono quindi 'pertinenti', e caratteristiche o tratti che non contano per questa identità e che di conseguenza risultano 'non pertinenti'. Il concetto di pertinenza si può estendere a tutti gli universi di discorso, assumendo come esempio, nel caso del testo poetico, la forma di 'principio del rendimento funzionale'; si vedano le analisi di Jakobson, fondate sui criteri di parallelismo e ripetizione e sulla funzione connotativa delle strutture grammaticali (su Dante, Baudelaire, Blake, Král', Pessoa e altri, 1962-70), quelle di Avalle (da L'ultimo viaggio di Ulisse, sul canto 26° dell'Inferno dantesco, a "Gli orecchini" di Montale, 1960-65) e dell'anglista M. Pagnini (su Foscolo, Dickinson, Stevens, Coleridge, Pound).
In ambito europeo, il diffondersi dell'interesse per la s., o quanto meno per i sistemi di segni in rapporto al linguaggio, si può far risalire, come si è detto, al 1960 circa, e, per quel che riguarda i paesi occidentali, dipende dalla traduzione inglese dell'opera di Propp citata. Tra le prime iniziative pubbliche va ricordato il Colloque sur le signe et les systèmes de signes (Royaumont, aprile 1962), promosso da un comitato di cui fecero parte lo storico F. Braudel, lo psicologo I. Meyerson, il glottologo É. Benveniste, gli antichisti J. Gernet e J.-P. Vernant, il linguista A. Martinet, il sociologo R. Passeron, ma anche esponenti degli studi medici e giuridici. Quanto ai paesi orientali, al settembre 1966 risale il Colloquio internazionale sulla semiologia svoltosi a Kazimierz (Polonia), di cui rese conto in Italia il filologo A. Rossi; del 1964 è il primo fascicolo della serie dei lavori della Scuola estiva di Tartu: le Lezioni di poetica strutturale di Lotman. Intorno alla fine degli anni Sessanta, nasce l'Associazione internazionale di semiotica, con R. Jakobson, É. Benveniste, J. Pelc, Th.A. Sebeok, R. Barthes, A.J. Greimas, J. Kristeva, C. Segre, U. Eco, fra gli altri.
In Italia assai significativa fu la fondazione del Centro internazionale di semiotica e linguistica di Urbino, per iniziativa di P. Paioni e P. Fabbri (1965), nel cui calendario di lavori figurano numerosi convegni e seminari sull'analisi del testo. Nel 1962 e nel 1964 uscirono rispettivamente Opera aperta e Apocalittici e integrati di Eco; il primo volume per gli orizzonti teorici, il secondo per l'impostazione proposta al rapporto fra comunicazioni di massa e livelli di cultura rappresentarono una vera e propria svolta, insieme, ma su un altro fronte, ai lavori di Barthes. Un questionario sullo strutturalismo, progettato fin dal 1962, fu da Segre sottoposto nel 1965 a vari critici e studiosi di differente estrazione: G.C. Argan, D'A.S. Avalle, R. Barthes, M. Bortolotto, M. Corti, H. Friedrich, W. Hofmann, C. Lévi-Strauss, S.R. Levin, E. Paci, A. Roncaglia, L. Rosiello, J. Starobinski, V. Strada; già allora si era affacciata quella s. sensibile ai rapporti fra testo e contesto che Segre stesso avrebbe contribuito in modo determinante a impostare e a percorrere, e che costituisce tuttora un patrimonio caratteristico degli studi italiani (e, con un'altra genesi, di quelli russi).
Quegli anni furono certamente decisivi per l'affermazione degli studi semiotici, anche per la concomitante uscita di numerosi volumi di linguistica e di scienze umane, principalmente l'edizione critica del Cours de linguistique générale di Saussure (1916), curata da De Mauro (1967), e le opere di Lévi-Strauss, il cui impulso decisivo continua a far sentire i suoi frutti a distanza di decenni, benché alcuni abbiano tentato di ridimensionare il peso dei principi e dei criteri linguistici nell'analisi dei testi letterari e artistici.
Nel 1970 era uscito il testo fondamentale di Greimas, Du sens, che avrebbe caratterizzato la formazione di una vera e propria scuola - detta École de Paris - che ha tuttora efficaci e critici continuatori non soltanto nel settore letterario (J. Geninasca) ma anche in quello della sociosemiotica. Nella s. di Greimas si privilegia il mondo della significazione su quello della comunicazione, mediante la costruzione di un 'linguaggio disciplinato' che si incarica di riconoscere e descrivere i fenomeni di generazione del senso, a partire dalla struttura discorsiva superficiale sino alla dimensione profonda. I segni linguistici (le parole, i lessemi), una volta messi in discorso, vengono ampliati nella loro significazione, dal momento che un programma narrativo è implicito in ogni discorso (anche soltanto come aspirazione o come appello). I segnali delineati dalla semiosi discorsiva superficiale vanno infatti a trasformarsi, con l'ausilio della struttura narrativa, nel programma di senso che il testo si è assunto ed esprime. In tal modo, in una s. testuale, la lettura potrà venire intesa come un processo non soltanto di esecuzione del testo bensì di costruzione del suo senso che si attua seguendo il programma messo in opera dal fare del soggetto-eroe nella sua marcia verso l'oggetto di valore con cui si vuole congiungere. Lo stesso Greimas ha poi riconosciuto che la preparazione filologica del testo è preliminare indispensabile di ogni analisi semiotica, e dunque non dovrà apparire isolata l'impostazione assegnata in Italia alla s. letteraria; quest'ultima risulta francamente impensabile al di fuori dell'eredità della stilistica e dell'impresa filologica, nei confronti delle quali sono stati determinanti, nelle fasi iniziali, B. Terracini e G. Contini.
La seconda metà degli anni Settanta è stata importante, e non solo in Italia, per le tappe più recenti della s. generale e del testo; uscirono allora il Trattato di semiotica generale (1975) di Eco, i Modelli semiologici nella Commedia di Dante (1975) di Avalle, i Principi della comunicazione letteraria (1976) di Corti, Struttura letteraria e metodo critico (1980) di Pagnini, preceduti da un testo ormai classico in cui erano riconsiderati i principi dell'analisi dei testi narrativi: Le strutture e il tempo (1974) di Segre. L'analisi puntuale di Sylvie di G. de Nerval, condotta dalla scuola di Eco (1976-77), avrebbe portato Eco a una vera e propria 'svolta testuale', presente in opere successive. In Francia, alcuni anni prima, l'importante, ma sostanzialmente solitaria, opera di Barthes (1915-1980) - pioniere con Le degré zéro de l'écriture (1953) degli interrogativi estetici e presemiotici sulla cultura letteraria di massa - si era messa alla prova (1970) con la novella Sarrasine di H. de Balzac, anch'essa foriera di una riconsiderazione teorica, ne Le plaisir du texte (1973), dove Barthes ripropone i rapporti fra soggetto, istituzioni, piacere della lettura. In Francia ancora con Tz. Todorov, G. Genette, L. Marin, C. Bremond, P. Zumthor, J. Courtés, F. Rastier; nei paesi anglosassoni con J. Culler e S. Chatman; in Germania con R. Posner, W. Nöth, S.J. Schmidt; nei Paesi Bassi e in Belgio con T.A. van Dijk, H. Parret, J.-M. Klinkenberg; in Danimarca con I. Almeida; in Spagna con M.A. Garrido Gallardo, J. Talens, M.A. Vázquez Medel, A. Sánchez Trigueros; in Italia con gli autori ricordati e con A. Serpieri, L. Terracini, A. Ruffinatto, E.Pellizer, S. Agosti, G.P. Caprettini, fra i molti altri, la s. del testo letterario di origine linguistico-filologica si estende alla s. della narratività, che fruendo di incontri-scontri con l'estetica della ricezione, la pragmatica del testo, i cultural studies, investe territori limitrofi alla letteratura, come il teatro, il folklore, i mass media, la sacra scrittura e altri campi artistici, come il cinema e le arti figurative, nei quali la narratività può rivestire un ruolo decisivo.
Nel riesaminare le principali tendenze critiche attinenti alla s. del testo letterario - e alle sue varie componenti, non di rado animatrici di vere e proprie controversie - è doveroso insistere sul contributo di Bachtin (1895-1975), che, espresso fin dagli anni Trenta, in una linea di pensiero che in Russia risale fino a A.N. Potebnja (1835-1891), è stato presentato in Italia da A. Ponzio e fatto conoscere principalmente nei suoi testi sul romanzo dove viene dichiarata l'intima dialogicità della parola. La ricerca di Bachtin - nota Ponzio - insiste sulla specificità, sulla peculiarità della parola letteraria, così come avevano indicato i formalisti russi: ma tale riflessione deve fuoriuscire dai limiti della linguistica. In quanto è pluridiscorsiva, infatti, la parola, secondo Bachtin, necessita di oltrepassare i suoi propri confini designativi per rendersi effettivamente dialogica, cioè per tener conto delle capacità dell'ascoltatore che intenda non soltanto comprendere ma entrare attivamente, con il suo atteggiamento e le sue conoscenze, nella replica.
Ritorna così il concetto di intertestualità che fu introdotto da Kristeva nella sua 'semanalisi' (1967) - e poi rettificato da Segre - come meccanismo in grado di scardinare la rigida strutturalità del testo letterario così da aprirlo ad altri testi e ad altri discorsi, in dipendenza dalle esigenze del soggetto e dalla varietà dei registri culturali.
La s. del testo letterario (e narrativo) si caratterizza: a) per prevalenti procedimenti induttivi - tranne nel caso eclatante di Greimas, dove ogni testo (celebre la sua analisi della novella Due amici di Maupassant, 1976) mostra l'aderenza o la lontananza da un modello a priori, organizzato su vari livelli - e b) per una propensione ad avvalersi di metodi di varia natura, prima strutturalistici, poi post-strutturalistici, improntati a tener conto della genesi del testo nel lavoro variantistico dell'autore e, una volta che il testo è formato, nel lavoro di comprensione e interpretazione da parte del lettore.
La s. del testo letterario non costituisce una s. applicata, nel senso riduttivo che le aveva imposto Eco (sino al 1984), ma è al contrario una prospettiva di interrogazione della struttura e del senso del discorso letterario come oggetto dinamico preso fra le prospettive di più soggetti, l'autore, il narratore e il lettore: soggetti sociali, come voleva Saussure, che condividono un patto comunicativo. Ma dal momento che l'opera è destinata a trasferirsi nella storia e a subire i processi di trasformazione interpretativa che l'autore e l'opera stessa non potevano ammettere o prevedere, sarà compito della s. rendere conto della legittimità di ogni interpretazione, non semplicemente perché intenzionata da ragioni autoriali o dai codici della sua epoca, ma perché fondata sui principi economici e funzionali che reggono un qualunque processo espressivo e comunicativo. La letterarietà è in effetti, come hanno osservato M. Pagnini e W. Nöth, uno 'speciale modo di referenza', in quanto l'universo della sua invenzione è fondato su modelli a più mondi, dotato di più logiche concorrenti o alternative. Analoghe considerazioni ha fatto L. Doležel, con il quale concorda Corti quando rivendica il fatto che ogni romanzo o racconto costruisce da sé quello che è il suo terreno di referenza, come deve fare ogni sistema di segni.
D'altra parte - lo ha insegnato la psicologia della percezione con la nozione di completamento - anche ogni testo narrativo e letterario non può 'dire tutto' del mondo che ha costruito; esso è in effetti una 'macchina pigra', costretta a chiedere al lettore "di collaborare colmando una serie di spazi vuoti" (Eco 1979). In conclusione può apparire giustificata l'affermazione di Barthes (Barthes 1978; trad. it. 1981, p. 29), secondo la quale quella parte della s. che s'è sviluppata meglio, e cioè l'analisi del testo narrativo, può rendere dei servizi alla storia, all'etnologia, alla critica dei testi, all'esegesi, all'iconologia (perché ogni immagine è, per certi aspetti, un racconto). E, aggiungiamo, anche alla psicologia sociale che costituiva, a parere di Saussure, l'ambito più ampio in cui ogni s. si sarebbe trovata immersa.
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