SEMIPELAGIANISMO
. Eresia del sec. V, condannata nel II concilio d'Orange del 529. Il nome di semipelagianesimo fu usato dai teologi posteriori per caratterizzare la posizione dottrinale di questo moto eretico, il quale non nega la necessità della grazia e l'originale debolezza del libero arbitrio in ordine al bene, come fa il pelagianismo, ma ammette che l'uomo può cominciare senza la grazia l'opera della conversione e della salvezza, e che la volontà umana può corrispondere con le proprie forze all'appello della grazia. L'origine di questa eresia derivò da un moto reazionario contro la dottrina estremista di S. Agostino sulla predestinazione e l'assoluta gratuità della salvezza connessa con l'impotenza assoluta della natura umana in ordine alla grazia, principio primo di ogni bene meritorio. I monaci di S. Vittore nelle affermazioni agostiniane videro la negazione del merito e della libertà, e il loro abate Cassiano (350-432) nella conferenza XIII, De protectione Dei, scritta tra il 420 e il 426, traccia i lineamenti dottrinali di questo indirizzo chiamato poi semipelagianismo. Egli afferma che "per naturae bonum quod beneficio Creatoris indultum est, nonnunquam bonarum voluntatum prodire principia, et, nonnunquam etiam ab eo - arbitrio - quosdam conatus bonae voluntatis [gratia Dei] vel exigat vel expectet. Manet in homine semper liberum arbitrium quod gratiam Dei possit vel negligere, vel amare" (in Patrol. Lat., XLIX, coll. 918-20). Le lettere di Prospero di Aquitania e d'Ilario scritte a S. Agostino nel 429 per notificargli le nuove idee sorte nei monasteri di Provenza mostrano che quei monaci negavano la grazia preveniente. S. Agostino rispose alle lettere con i trattati De praedestinatione sanctorum e De dono perseverantiae, che resero la lotta più aspra tra semipelagiani e agostiniani. Con la morte di Agostino (430), i monaci di Provenza tentarono di dare credito alle loro idee mettendo in luce le conseguenze più estremiste della dottrina di Agostino sulla predestinazione e sulla grazia. Prospero d'Aquitania con varie opere difese la dottrina del maestro e ricorse al papa Celestino, il quale nella lettera inviata ai vescovi della Francia meridionale (431), pur esaltando la autorità di S. Agostino, lasciava insolute le questioni proposte. Agli attacchi ripetuti dei Provenzali, in risposta al libello di Vincenzo di Lérins (432) e per rovesciare l'autorità di Cassiano, appoggio principale degli avversarî, Prospero scrisse le Pro Augustino responsiones ad Capitula obiectionum Vincentianarum (in Patrol. Lat., XLV, col. 1843 segg.) e nel 433-34 il De Gratia Dei et libero arbitrio, Liber contra collatorem, in cui afferma contro i novatori che l'inizio della fede viene dallo Spirito Santo e che l'efficacia della grazia non viene dal libero arbitrio, ma "quoties enim bona agimus, Deus in nobis atque nobiscum ut operemur operatur" (in Patrol. Lat., XLV, 1861).
Nonostante gli sforzi di Prospero, i Provenzali non furono condannati solennemente; ma il documento del diacono Leone, poi papa, uscito nel 432-440 e aggiunto posteriormente alla lettera XXI di Celestino, fece noto ai Provenzali che la Chiesa romana ripudiava la loro dottrina, quantunque non si pronunziasse sulle questioni più profonde e più difficili trattate da coloro che resistettero agli eretici. Questa posizione di riserva presa da Roma verso il moto provenzale mitigò gli attacchi e le espressioni contro S. Agostino e per circa 40 anni vi fu una tregua fra i due partiti.
Nel 452, Fausto di Riez, già abate di Lérins, scrisse il trattato De gratia libri duo, in cui espose in modo sistematico la dottrina dei concilî d'Arles (473) e di Lione (474) sul predestinazionismo, riaffermandovi anche la dottrina di Cassiano e dei Provenzali sulla grazia. Il papa Ormisda nel 520, sollecitato dai monaci Sciti di Costantinopoli, dichiarò Fausto "non receptus", e rimandò a S. Agostino e ad "expressa capitula in scriniis ecclesiasticis contenta" per una dottrina certa sulla grazia e il libero arbitrio. S. Fulgenzio, in risposta ai medesimi monaci, scrisse l'Epistula XVII (in Patrol. Lat., LXV, col. 451 segg.), Ad Monimum (ibid., LXV, col. 153) e l'Epistula XV (ibid., LXV, col. 435) passata poi in diverse collezioni conciliari. In tutte queste opere è affermato senza reticenze l'agostinianesimo più stretto. Fu S. Cesario di Arles che portò la pace tra le due opposizioni ottenendo dal papa Felice IV i capitoli che, approvati dal concilio d'Orange (529), ottennero la conferma da Bonifacio II nel 531 e l'autorità dogmatica.
Queste divisioni portarono la calma negli animi e posero termine alle controversie tra semipelagiani e agostiniani; ma se condannarono le posizioni dei primi, non approvarono tutte le conclusioni dei secondi.
Bibl.: Per le decisioni conciliari, cfr. Patrol. Lat., XLV, coll. 1771-1792; J. Hefele, H. Leclercq, Histoire des Conciles, II, ii, Parigi 1908, p. 908 segg., 1085 segg. Per l'aspetto storico della controversia: P. Sublet, Le Sémipélagianisme, Namur 1897; F. Woerter, Beiträge zur Dogmengeschichte des Semipelagianismus, Paderborn 1898; P. Batiffol, Le Catholicisme de Saint-Augustin, 4ª ed., voll. 2, Parigi 1930; L. J. Tixeront, Histoire des Dogmes dans l'antiquité chrétienne, III, 7ª ed., Parigi 1928, p. 274 segg.