Semiramide (Semiramìs)
Regina d'Assiria, sposa del mitico fondatore dell'impero assiro-babilonese, Nino, cui successe, regnando dal 1356 al 1314 a.C. Exemplum di lussuria, S. apre, nel canto V dell'Inferno (v. 58), la serie dei personaggi (oltre a S. troviamo infatti nell'ordine: Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano, Paolo e Francesca) il cui numero, nove, è certo simbolo antitrinitario nella " distinctio in malo ", sottolineato dalla triplice anafora incentrata su Amore, nei vv. 100-109 (e quindi clamorosa perché allusiva antitesi nella " distinctio in bono " della Beatrice-nove della Vita Nuova). Nel descrivere S. a D., Virgilio impiega allusivamente quella sequenza di termini e di perifrasi che ben convengono sia a lei sia agli altri personaggi ch'amor di nostra vita ‛ dipartì ' (v. 69).
Essa fu, invero, al tempo stesso imperadrice di molte favelle, v. 54 (con riferimento allusivamente plurimo, come suggerito dal Filalete, alla babelica " confusione delle lingue ", inglobata in tal modo Babilonia nell'impero assiro), e a vizio di lussuria... sì rotta da rendere il libito... licito in sua legge (vv. 55-56); sposa ed erede di Nino (vv. 58-59) tenne la terra che 'l Soldan corregge (con il verbo in posizione icastica derivato da Ps. 45, 10 " correxit orbem terrae ", e unificando, nella ‛ correzione ', le due Babilonie che il Medioevo conosceva, " Babylonia antiqua a Nembroth gygante fundata " e " Babylonia altera, id est Memfis super Nilum ").
La descrizione di S., che nella Cronica del Villani era definita " la più crudele e dissoluta femmina del mondo " (I 2), discende direttamente da Orosio: " Nino mortuo Semiramis uxor successit... haec libidine ardens, sanguinem sitiens, inter incessabilia et stupra et homicidia, cum omnes, quos regie arcessitos, meretrice habitos concubito oblectasset, occideret tandem filio flagitiose concepto, impie exposito, inceste cognito, privatam ignominiam publico scelere obtexit. Praecepit enim, ut inter parentes ac filios nulla delata reverentia naturae de coniugiis adpetendis ut cuique libitum esset liberum fieret " (I IV 4-8).
Infatti il verso libito fé licito in sua legge (che il Chaucer prenderà a prestito per dipingere Nerone: " His lustes were at lawe in his decree ", Monkes Tale, v. 3667) è traduzione esatta del testo orosiano: " ut cuique libitum esset liberum fieret "; così come il lapidario excursus storico-biografico (si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa, vv. 58-59) ripete la formula di Orosio: " Huic [Nino] mortuo Semiramis uxor successit ".
Infine, S. e Nino sono menzionati insieme in Mn II VIII 3-4, per il loro tentativo di arrivare all'Impero universale, con lata contaminatio sia da Orosio (II III 1) sia da Ovidio (Met. IV 58-88), e più precisamente dall'episodio di Piramo e Tisbe.