SEMPLICE da Verona, fra
SEMPLICE da Verona, fra. – Nacque con ogni probabilità a Verona, in una data che padre Davide da Portogruaro ha situato nel 1589 (1936, p. 84).
Come già lamentava Diego Zannandreis, che per primo si occupò del pittore, non si conoscono il nome e la condizione da laico (1831-1834, 1891, p. 255). Ne consegue che, al momento, non esiste un’indagine documentaria sui primi anni di vita, né sulla formazione che, secondo le fonti antiche, sarebbe avvenuta nella bottega di Felice Brusasorci (Melchiori, 1720, 1964, p. 91). In ogni caso, la sua educazione artistica si concluse verosimilmente prima di accedere al noviziato, il 25 agosto 1613. L’anno dopo professò i voti nel convento dei Cappuccini a Verona, perfezionando il percorso spirituale a Valdobbiadene, nel trevigiano (Manzatto, 1973, p. 25).
Il primo documento che lo riguarda è una lettera del 25 agosto 1617 con cui Cesare d’Este, duca di Modena, chiedeva al provinciale dei cappuccini di inviare il frate a Milano per sciogliere un voto espresso durante una malattia (pp. 25 s.). S’ignorano, tuttavia, i rapporti che lo legavano alla corte estense e la durata della sua permanenza a Modena, che dovette essere breve. Il 7 dicembre 1617 il duca di Parma Ranuccio I Farnese presentò infatti un’istanza al generale dei cappuccini affinché facesse «venire a stare qua il padre fra Semplice da Verona pittore per dipingere alcune cose» (p. 29). Il suo arrivo a Parma, tra la fine del 1617 e l’inizio del 1618, coincise con la partenza di un altro celebre pittore cappuccino, Paolo Piazza, a ulteriore conferma del favore che il Farnese nutriva per quest’ordine religioso.
Le prime opere superstiti di Semplice si datano al 1621 e sono il Riposo nella fuga in Egitto (Parma, convento dei Cappuccini) e l’Annunciazione (distrutta nel 1975 da un incendio), eseguite entrambe per la chiesa cappuccina di Fontevivo (Parma), alla cui decorazione provvide lo stesso Ranuccio. In quella circostanza consegnò anche la pala, restituitagli da Daniele Benati (1994, pp. 424 s.), che raffigura la Vestizione di s. Chiara (ora al Musée des beaux-arts di Grenoble) e la Stigmatizzazione di s. Francesco, custodita al palazzo vescovile di Parma (Cecchinelli, 2000, pp. 191 s.). Come è stato osservato, in questi lavori si rintracciano desunzioni dalla cultura figurativa emiliana, aggiornata sulla lezione realista dei veronesi Pasquale Ottino, Alessandro Turchi e Marcantonio Bassetti (Benati, 1994, p. 421). Sulla base di un inventario farnesiano del 1680, gli è stato attribuito anche il Riposo nella fuga in Egitto, attualmente nel Museo nazionale di Capodimonte a Napoli (Brogi, 1994, pp. 216 s.).
Il 23 luglio 1621, ricevuta la dispensa dal generale dell’ordine e il nullaosta del Farnese, il pittore si trasferì a Mantova alla corte di Ferdinando I Gonzaga. A questa data risalgono la Deposizione di Cristo, donata da Ferdinando alla duchessa Caterina de’ Medici (ora agli Uffizi), e il S. Francesco che riceve il Bambino dalla Madonna, che si trova in palazzo d’Arco a Mantova. Si tratta di due opere che denunciano un debito nei confronti di Domenico Fetti, artista che in quegli anni aveva lasciato una forte impronta nel ducato mantovano (Manzatto, 1973, p. 40).
Su incarico dello stesso Ferdinando, Semplice partecipò probabilmente alla decorazione della villa Favorita, presso Mantova, da cui è stata ipotizzata la provenienza della Parabola del banchetto di nozze (La cacciata del convitato indegno), l’opera più ambiziosa di questa fase (Askew, 1978, pp. 293 s.).
Passata in Inghilterra nel 1627 con la vendita delle collezioni d’arte dei Gonzaga a re Carlo I, la tela fu poi ceduta al duca di Hamilton, per rientrare di recente a Mantova, nella collezione Lubiam. Nessuna notizia, viceversa, dei «quadroni di David» che, in una lettera al duca del 9 settembre 1622, egli affermò di non poter terminare per mancanza di colori (Manzatto, 1973, p. 40).
Vittima ben presto di calunnie e intrighi di corte, scaturiti forse da una sua relazione con una donna di nome Bianca, Semplice chiese al duca di andarsene a Roma. Ottenuta licenza, il 18 ottobre 1622 si mosse prima in direzione di Genova, con l’intenzione di «vedere delle opere del Cangiasi et qualche altre pitture», per recarsi subito dopo a Roma, beneficiando della protezione che il cardinale Alessandro Peretti di Montalto gli offrì su interessamento del duca di Mantova (p. 53).
Il pittore si fermò a Roma almeno fino alla fine del 1625, operando in esclusiva per l’Ordine dei cappuccini. Tra gli impegni assunti in questo periodo si ricorda soprattutto la tela con l’Apparizione della Madonna al beato Felice da Cantalice, consegnata entro il 1° ottobre 1625 alla chiesa romana di S. Bonaventura al Palatino, in occasione della festa per la beatificazione di frate Felice.
Da quel momento i documenti sul pittore si riducono drasticamente, ma è certo che egli fece ritorno nei domini della Serenissima, come testimoniano le opere licenziate in quel periodo. Nel 1631 dipinse infatti a Castelfranco un S. Francesco e un S. Antonio, e a Vicenza due tele con lo stesso soggetto. Su commissione dei cappuccini di Badia Polesine (Rovigo) realizzò una Cena in Emmaus (datata 1631). L’anno seguente fu attivo nel territorio padovano, prima a Este, dove condusse a termine il Cristo morto sostenuto da un angelo ora al Museo civico di Vicenza, e poi a Padova, dove tuttora si trova una sua tela con il Beato Felice che riceve il Bambino dalla Madonna.
Nel 1636 fu richiamato a Parma dai cappuccini di Fontevivo per completare la decorazione della loro chiesa. Per l’occasione consegnò una Madonna che porge il Bambino al beato Felice da Cantalice e due tele, rintracciate al Museo Poldi Pezzoli di Milano da Benati (1995), che servivano da serrande per il tramezzo del coro (Cecchinelli, 2000, pp. 193-197). Esse raffigurano, su un lato, l’Orazione nell’orto e la Salita al Calvario, e, sull’altro, S. Rocco e S. Sebastiano.
Al 1640 si data, invece, il Beato Felice da Cantalice che dalle collezioni dei Gonzaga è passato alla famiglia d’Arco di Mantova, città da cui proviene forse un altro dipinto di uguale soggetto (datato 1641) oggi presso il convento cappuccino di Mestre. I rapporti con i Gonzaga in quel periodo si rivelano del resto molto intensi: nel 1642 fu incaricato da Maria Gonzaga di dipingere l’Elevazione di Cristo in croce, oggi nella chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo a Marmirolo (Mantova). Nella stessa congiuntura, che fu assai prolifica, continuò a lavorare per altri conventi cappuccini, come a Lonigo (Vicenza), dove dipinse il Viatico di s. Bonaventura, la S. Colomba e la S. Agata, poi trasferiti nella parrocchiale di Pojana Maggiore (Vicenza). Per i frati di Verona eseguì, inoltre, l’Assunzione della Vergine, attualmente custodita nei depositi del museo di Castelvecchio.
Nel 1644 attese alla decorazione della cappella dei conti Da Prato a Domegliara (Verona), di cui resta solo una pala d’altare raffigurante l’Annunciazione con i ss. Francesco e Antonio abate trasferita poi a Conegliano (Treviso; Manzatto, 1973, pp. 76 s.). A stretto giro realizzò anche una notevole Pietà, identificata nella chiesa dei Cappuccini di Trento, ma in origine nel convento trentino di Ala (Chini, 1981).
Il 10 giugno 1646 Semplice ricevette un’obbedienza di trasferimento nel convento dei Cappuccini di Caltagirone (Catania), con l’incarico di decorarvi la cappella delle reliquie. Trasferitosi in Sicilia, il pittore contribuì all’impresa con tre grandi dipinti, tutti ancora in loco: un Cristo deposto (datato 1647), una Gloria di vergini e una Gloria di martiri e confessori.
Nella sua tarda attività Semplice ripiegò su soluzioni più convenzionali e ripetitive, ma efficaci sul piano comunicativo, come nella Trinità con i ss. Bartolomeo e Bernardo di Chiaravalle ai Cappuccini di Lugano e nei due quadri con S. Paolo Eremita e S. Bonaventura per la chiesa di S. Francesco a Mendrisio, eseguiti intorno al 1650 (Karpowicz, 1995). Secondo le fonti, l’artista inviò anche tre pitture ai frati di S. Michele all’Aquila, giudicate perdute (Manzatto, 1973, pp. 85 s.).
Padre Antonio da Udine ritiene che Semplice morisse a Verona nel febbraio del 1654, ma, più credibilmente, il suo decesso occorse a Roma l’11 dicembre dello stesso anno, com’è registrato nel necrologio della provincia romana dei cappuccini (p. 87).
Nel corso del tempo l’interesse per Semplice è andato crescendo: dopo gli interventi iniziali di padre Redento d’Alano, un contributo significativo è derivato dalla puntuale monografia di Luigi Manzatto (1973), cui sono seguite altre notevoli segnalazioni che ne hanno messo a fuoco la fisionomia. Se la formazione rimane ancora un punto da chiarire, l’artista prese comunque le mosse dal tardo manierismo veronese, arricchito delle diverse suggestioni che sortirono dai suoi numerosi viaggi (Benati, 1994).
Da segnalare, infine, l’ipotesi di Sergio Marinelli (1991, p. 55) di identificare Semplice nel cosiddetto Bassanello – un anonimo che Roberto Longhi battezzò così dal nome della località in cui si trova la sua tela più famosa, la Pietà con le ss. Chiara e Scolastica nella chiesa di S. Maria del Bassanello, alle porte di Padova. Questa proposta non ha, tuttavia, trovato concorde la critica: Benati (1995), ad esempio, nel breve catalogo del Bassanello enumera una serie di cifre stilistiche ritenute «estranee a fra Semplice in qualunque momento della sua carriera» (p. 35, nota 15).
Fonti e Bibl.: N. Melchiori, Notizie di pittori e altri scritti (1720), ed. a cura di G. Bordignon Favero, Venezia-Roma 1964, pp. 24, 91; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi (1831-1834), a cura di G. Biadego, Verona 1891, pp. 255-257; A. Avena, Frate S. da V. pittore alle corti dei duchi di Parma e Mantova, in Madonna Verona, VI (1912), pp. 109-119; D. da Portogruaro, Paolo Piazza, ossia P. Cosmo da Castelfranco pittore cappuccino, Venezia 1936, pp. 84-87; R. d’Alano, Due quadri inediti di fra S. da V., Roma 1968; Id., Fra’ S. da V.: un pittore tutto da scoprire, Padova 1970; L. Manzatto, Fra S. da V., pittore del Seicento, Padova 1973; R. d’Alano, Altre pitture inedite di Fra’ S. da V., Padova 1974; P.L. Fantelli, Fra’ S., in Maestri della pittura veronese, a cura di P. Brugnoli, Verona 1974, pp. 321-328; L. Magagnato, Fra’ S., in Cinquant’anni di pittura veronese, 1580-1630 (catal.), a cura di L. Magagnato, Verona 1974, pp. 203-205; P. Askew, Ferdinando Gonzaga’s patronage of the pictorial arts: the Villa Favorita, in The Art Bulletin, LX (1978), pp. 274-296, E. Chini, Nuove opere di Martino Teofilo Polacco, Fra S. da V., Pietro Ricchi e Domenico Zeni, in Studi trentini di scienze storiche, II (1981), pp. 257-261; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Venezia 1981, pp. 130 s.; T. Mullaly, A drawing by Fra S. da V., in Arte documento, II (1988), pp. 124 s.; S. Marinelli, Ritorno al Seicento, in Verona illustrata, IV (1991), pp. 55-68; D. Lachenmann, Two preparatory studies by Fra S. da V., in Master drawings, XXX (1992), pp. 210-215; D. Benati, Quadri e disegni di Fra S. da V. cappuccino, in Arte Cristiana, n.s., LXXXII (1994), pp. 421-432; A. Brogi, Fra S. da V. e l’eredità carraccesca, in Studi di storia dell’arte in onore di Mina Gregori, a cura di M. Boskovits, Cinisello Balsamo 1994, pp. 215-218; S. Marinelli, Marascalchi, Flacco, Fra S., in Pietro de Marascalchi. Restauri, studi e proposte per il Cinquecento feltrino (catal., Feltre), a cura di G. Ericani, Venezia 1994, pp. 217-230; D. Benati, Fra S. da V., dritto e rovescio, in Fra S. da V.: dritto e rovescio, a cura di A. Zanni, Milano 1995, pp. 23-35; M. Karpowicz, Quadri nella chiesa dei Cappuccini di Lugano: Ortensio Crespi, Fra S. da V. e Carlo Innocenzo Carloni, in Arte lombarda, n.s., CXIII-CXV (1995), 2-4, pp. 109-111; C. Cecchinelli, L’opera parmense di fra S. da V. pittore cappuccino, in Aurea Parma, LXXXIV (2000), pp. 177-202; E. Rama, Fra S. da V., in La pittura nel Veneto. Il Seicento, II, Milano 2001, p. 829; A. Mazza, Fra S. da V. tra le corti padane, da Cesare d’Este a Ranuccio Farnese a Ferdinando Gonzaga, in Gonzaga. La Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo, a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 151-161; M. Di Giampaolo, Precisazioni su alcuni disegni della Fondazione Giorgio Cini, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXVII (2003), pp. 265-284; Id., Fra S. da V.: ancora un disegno per la pala del Redentore, in Arte veneta, LXII (2005), pp. 118 s.; R. Contini, Berlino per Fra S., ibid., LXIII (2006), pp. 208-216; S. Morét, Alcuni disegni sconosciuti di Fra S. da V. a Würzburg, ibid., pp. 216-222; S. L’Occaso, Per Paolo Piazza e fra S. da V., a Mantova, e un’apertura su Andrea Motta, in Verona Illustrata, XXIII (2010), pp. 64-66.