SEMPREBENE da Bologna
SEMPREBENE da Bologna. – Dalle brevi indicazioni che accompagnano il nome del poeta nelle rubriche di due tra i più antichi e prestigiosi manoscritti della letteratura italiana delle origini si ricavano minime e incerte informazioni biografiche («Semprebonus not.» nel ms. Banco Rari 217; «Messere Semprebene da Bologna» nel ms. Chigiano L.VIII.305): nacque e visse presumibilmente a Bologna nel XIII secolo e svolse l’attività di notaio; nulla si sa di preciso della famiglia di origine.
Nonostante negli anni siano state avanzate almeno tre ipotesi di identificazione del poeta con altrettanti notai attivi a Bologna durante il XIII secolo, ancora oggi la questione non può definirsi del tutto risolta.
Non ebbe fortuna né trovò riscontro documentario nelle ricerche successive l’ipotesi di Sarti, secondo la quale il poeta poteva essere identificato col dottore in legge Semprebene presente in alcuni documenti pubblici del Comune di Bologna del 1226 (Sarti-Fattorini, 1769, I, pp. 116 s.; 1772, II, pp. 71 s.); questa data fu infatti ritenuta dalla critica successiva cronologicamente troppo alta rispetto agli anni in cui probabilmente si affermò a Bologna la poesia dei Siciliani, il cui sviluppo è stimato intorno alla metà del secolo e più precisamente durante gli anni di prigionia all’interno delle mura cittadine (1249-73) di re Enzo, personaggio che insieme a Percivalle Doria (morto nel 1264) fu legato, come vedremo, alla sfuggente figura di Semprebene.
Rigettando la proposta di Sarti, Torraca ipotizzò l’identificazione con Semprebene del Nero («Semprebene de Nigro not.»), attivo a Bologna in veste di notaio dei Memoriali nel 1269 e, stando a quanto affermava Zaccagnini, attestato in altri documenti precedenti a quella data («Di Semprebene Del Nero, che qualche volta è anche ricordato semplicemente così: ‘dom. Semprebene notarius’, ho veduto qualche atto per circa un quinquennio, dal 1265 in poi; ma dopo il 1270 non ho più trovato alcun ricordo di lui»: Zaccagnini, 1913, p. 51). Lo stesso Zaccagnini respinse tuttavia l’identificazione proposta da Torraca, ritenendo Semprebene del Nero già troppo anziano nel 1270 e quindi ancora «troppo antico per essere stato l’autore» dei testi a lui attribuiti dalla tradizione manoscritta (Ibid.).
La proposta di Zaccagnini – tuttora accolta dalla critica, ma sempre tacitamente o in forma dubitativa – ricadde dunque su Semprebene di Ugolino di Niccolò della Braina, notaio anch’egli, vissuto a Bologna tra gli anni Quaranta del XIII secolo e i primi anni del Trecento.
Le informazioni recuperate da Zaccagnini presso l’Archivio di Stato di Bologna andarono ad aggiungersi alla sola testimonianza, relativa al 1292, riguardante Semprebene della Braina (e suo fratello Niccolò, medico); segnalata da Fantuzzi verso la fine del Settecento (1789, p. 389), questa fu scartata da Torraca perché a suo parere cronologicamente troppo tarda. Numerosi atti – riconducibili a Semprebene della Braina e ai suoi familiari e riguardanti «la vendita e la compra di case, i contratti di lavoro che fanno» – furono rintracciati da Zaccagnini, a dimostrazione «che i Della Braina erano danarosi e dediti ai traffici» più di quanto poteva esserlo Semprebene del Nero, «la cui attività anche come notaro fu assai scarsa» (Zaccagnini, 1913, p. 54; a questo lavoro si rimanda per il recupero delle specifiche indicazioni archivistiche). Il documento più antico rinvenuto da Zaccagnini riguarda un atto rogato il 6 maggio 1266 da Semprebene della Braina trascritto poi nel registro dei Memoriali redatto da Jacopino di Aldevrandino; il 15 dicembre del 1268 «Sembrebene Ugolini» fu nominato curatore dei beni dei quattro figli di Guglielmo Panzoni («Opiçus, Iacobus, Albertus, Verlianus»). Egli fu sposato in prime nozze con Ostegiana di Ubaldino Mussolini, dalla quale ebbe un figlio, Ugolino, emancipato dal padre già nel 1288 (ibid., p. 52). La morte di Ostegiana dovette avvenire prima del 1272, anno in cui Semprebene e suo padre Ugolino, in data 10 febbraio, ricevettero la dote dalla famiglia della nuova moglie («Gisila quondam domini Marescotti»). Zaccagnini aggiunse che «in un documento del 21 novembre 1292 figura per la prima volta ricordato un altro suo figlio, Segurino» (Ibid.; il critico tuttavia non fornì gli estremi archivistici per il recupero di tale informazione). Dalla trascrizione riportata da Zaccagnini dell’atto di emancipazione di Segurino da suo padre (registrato in data 27 novembre 1294) scopriamo che Semprebene della Braina all’epoca risiedeva a Bologna in «capella Sancti Donati». Nello stesso anno, le liti sorte tra Semprebene, il fratello Niccolò e Primerano, figlio di quest’ultimo, per il possesso dei beni lasciati in eredità dal padre Ugolino furono rimesse all’arbitrato di Artemisio Garisendi e Riccardino Bonzaghi.
Di Semprebene della Braina non sono noti il luogo e la data di morte. Le sue tracce si perdono nel 1302, quando venne nominato insieme a sua cognata Iacobina esecutore testamentario del fratello Niccolò, nonché tutore dei figli di quest’ultimo (ibid., p. 54, nota 1).
Alla complessa questione identificativa si affianca quella altrettanto problematica che riguarda la sua produzione poetica. Per quanto concerne la critica letteraria, il caso di Semprebene è sicuramente uno dei più controversi della lirica italiana del Duecento; la tradizione manoscritta – seppure incerta – gli attribuisce la paternità di due canzoni: S’eo trovasse pietanza e Kome lo giorno quand’è dal maitino (come vedremo, «I due casi si appoggiano l’un l’altro, e ne emerge la figura di un Semprebene rimaneggiatore»: Contini, 1960, p. 161).
Composta di cinque stanze singulars di quattordici versi, la canzone S’eo trovasse Pietanza è sicuramente «tra i casi più intricati, e intriganti, dell’intera tradizione siciliana» (I poeti della scuola siciliana, 2008, p. 729). Per quanto riguarda i rapporti di parentela rintracciabili tra i manoscritti che la trasmettono, in un ramo della tradizione troviamo la doppia attribuzione a «Rex Hentius, Semprebonus not.» della rubrica del ms. Banco Rari 217 della Biblioteca nazionale di Firenze (da ora P); il ms. Laurenziano Redi 9 (L) che assegna la potestà della canzone al solo «Re Enso» e il Vaticano latino 3214 (V2) che invece la conferisce a «Re Enzo e messere Guido Guiniçelli»; nell’altro ramo della tradizione («non altrettanto stretta, o inequivocabile, la parentela»; Ibid., p. 729) abbiamo il Chigiano L.VIII.305 (Ch) che la assegna a «Messere Semprebene da Bologna» e il Vat. lat. 3793 (V) che la attribuisce a «Ser Nascimbene da Bologna» («che sarà errore singolare per la formula precedente»; Brambilla Ageno, 1984, p. 299). Benché il nome di re Enzo sia minoritario nelle rubriche attributive – perché presente in un solo ramo della tradizione rispetto a quello di Semprebene/«Nascimbene» (in entrambi i rami) – i recenti editori, più propensi all’applicazione della lectio difficilior, privilegiano la doppia attribuzione riportata da P e da V2. La lezione di L si spiegherebbe come semplificazione della rubrica estesa di P, mentre V2 con la sostituzione del nome di Semprebene con il più illustre poeta bolognese Guido Guinizzelli.
Una trascrizione in veste siciliana delle ultime due stanze di S’eo trovasse Pietanza fu rinvenuta dal filologo cinquecentesco Barbieri, che la trasse da un antico ‘Libro Siciliano’ oggi irreperibile. La scoperta di Barbieri permise di ipotizzare per la canzone una stesura originaria proprio in siciliano (in una fase sicuramente successiva alla morte di Federico II e «da autore (autori), fisicamente» e «biograficamente estranei all’isola»; sull’argomento si veda I poeti della scuola siciliana, p. 730; Coluccia, 2003). Tra le soluzioni proposte nel tentativo di risolvere la questione attributiva si citano le più autorevoli: quella di Monaci, il quale leggeva nella rubrica i nomi del mittente e del destinatario della canzone (rispettivamente re Enzo e Semprebene); quella di Santangelo, secondo cui si trattava di una tenzone tra il re, Semprebene e Guinizzelli (a dimostrazione del trapianto della maniera siciliana a Bologna); infine la soluzione proposta da Contini, il quale sostiene che «la canzone sia dovuta, nel suo stato attuale, a una collaborazione con il notaio bolognese […], per esempio nel senso che Semprebene avrebbe ampliato di due stanze il testo primitivo di Enzo» (Contini, 1960, p. 156). Quest’ultima proposta, pur non avendo sciolto completamente i dubbi, «appare a tutt’oggi quella più solidamente argomentata» (Giunta, 1998, p. 163) – nonché la più accolta dai nuovi editori. Per avvalorare la tesi di un Semprebene collaboratore, o meglio rimaneggiatore di versi altrui, Contini si avvalse di un secondo testo, Kome lo giorno quand’è dal maitino, attribuito da V a Percivalle Doria. Una redazione differente di questa canzone - di quattro stanze, anziché tre, e con le prime due in comune - trasmessa da L (cc. 81v-82r) con attribuzione a Semprebene, secondo le ipotesi di Contini, potrebbe essere il frutto, ancora una volta, di un rimaneggiamento da parte del notaio bolognese (Contini, 1960, pp. 161, 164).
Fonti e Bibl.: M. Sarti-M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, I-II, Bononiae 1769-1772, I, pp. 116 s., 192, 164, 199; II, pp. 71 s., 102; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 389 s.; S. Muzzi, I primi bolognesi che scrissero versi italiani. Memorie storico-letterarie e saggi poetici, Torino 1863, pp. 7, 39-42; T. Casini, Le rime dei poeti bolognesi del secolo XIII, Bologna 1881, pp. 133-138, 374-382; E. Monaci, Sulle divergenze dei canzonieri nell’attribuzione di alcune poesie, in Atti della Reale Accademia dei Lincei. Rendiconti, s. 4, I (1885), pp. 657-662; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 177-179, 232; L. Frati, La prigionia del re Enzo a Bologna, Bologna 1902, pp. 29, 145-148; G. Zaccagnini, Per la storia letteraria del Duecento. Notizie biografiche ed appunti dagli archivi bolognesi, Milano 1913, pp. 49-54; M. de Szombathely, Re Enzo nella storia e nella leggenda, Bologna 1912, pp. 93 s.; S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle origini, Genève 1928, pp. 23 s.; A. Caboni, Antiche rime italiane tratte dai memoriali bolognesi, Modena 1941, pp. 43 s.; B. Panvini, La canzone “S’eo trovasse Pietanza” del re Enzo, in Siculorum Gymnasium, n.s., VI (1953) pp. 99-119; A. Monteverdi, Per una canzone di re Enzo, in Id., Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano-Napoli 1954, pp. 59-100; G. Contini, Ancora sulla canzone “S’eo trovasse pietanza”, in Siculorum Gymnasium, n.s., VIII (1955), pp. 122-138; Id., Poeti del Duecento, I, Milano-Napoli, 1960, pp. 155-164; A.E. Quaglio, I poeti della “Magna Curia” siciliana, in Letteratura Italiana. Storia e testi, I, Il Duecento dalle origini a Dante, a cura di E. Pasquini - A.E. Quaglio, Bari 1970, pp. 223-231; D’A.S. Avalle, Principi di critica testuale, Padova 1972, pp. 61 s.; F. Brambilla Ageno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova 1984, pp. 222 s., 299-301; S. Orlando, La poesia dei Siciliani e la lezione dei memoriali bolognesi, in Dai siciliani ai siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone. Atti del Convegno (Lecce, 21-23 aprile 1998), a cura di R. Coluccia - R. Gualdo, Galatina 1998, pp. 29-38; C. Giunta, La poesia italiana nell’età di Dante. La linea Bonagiunta-Guinizzelli, Bologna 1998, pp. 163-171; G. Brunetti, Il frammento inedito “Resplendiente stella de albur” di Giacomino Pugliese e la poesia italiana delle origini, Tübingen 2000, p. 65; C. Giunta, Versi a un destinatario. Saggio sulla poesia italiana del Medioevo, Bologna 2002, p. 155; R. Coluccia, La tradizione della lirica italiana nei primi secoli, in Intorno al testo. Tipologia del corredo esegetico e soluzioni editoriali. Atti del Convegno (Urbino, 1-3 ottobre 2001), Roma 2003, pp. 128-132; G. Cura Curà, Le canzoni di Percivalle Doria. Edizione e Commento, in Filologia italiana, 2004, I, pp. 49-59; I poeti della scuola siciliana. Poeti della corte di Federico II, edizione critica con commento a cura di C. Di Girolamo, Milano 2008, pp. CXI, 729-744, 753-763.