senhal
Termine provenzale che può avere diversi significati: " segnale ", " segno ", anche nel senso religioso di manifestazione per mezzo di miracoli; " indicazione ", " rimando " in manoscritti; " segno di riconoscimento " portato da un cavaliere in torneo o da armati di uno stesso gruppo; " insegna araldica "; " bandiera "; " parola d'ordine "; " sigillo notarile "; " autorizzazione scritta "; " segno, bersaglio, marchio d'infamia "; " impronta "; " pseudonimo ", " nome convenzionale " (cfr. E. Levy, Provenzalisches Supplement Wörterbuch, sub v.).
In quest'ultima accezione è usato nella versione in prosa delle Leys d'Amors: " son senhal cascus deu elegir.per si... no vuelha en sos dictatz metre et apropriar aquel senhal que saubra que us autres fa " (ediz. Gatien-Arnoult, Tolosa 1841-43, I 338). Né dal lemma del Levy, né dal brano delle Leys appare, però, il vero significato che il termine ha nella poesia trobadorica: si tratta, in realtà, di un nome convenzionale con il quale il poeta designa la donna amata, talvolta anche sé stesso, più raramente il destinatario di una poesia non d'amore; può essere un altro nome proprio come Linaure (Raimbaut d'Aurenga), un nome comune come Bon Vezi (Guglielmo IX) o Belhs cavaliers (Raimbaut de Vaqueiras), o un nome di cosa come Azimant, " calamita ", Conort, " consolazione ", " conforto " (Bernart de Ventadorn); anche di animale: Bel sembelis, " zibellino " (Peire Vidal).
L'uso di un nome convenzionale che nasconda l'identità reale dei personaggi nasce dapprima nell'ambito della poesia d'amore e risponde a un preciso precetto della dottrina d'amore dei trovatori, che si rifà per alcuni aspetti a Ovidio (cfr. Ars am. II 601-640), ma è anche una forma di rispettosa e necessaria discrezione nei riguardi della donna amata e cantata dai poeti provenzali, la quale è sempre donna maritata, sposa del signore feudale, comunque moglie di un altro.
D., come già prima di lui gl'imitatori, italiani e non, dei Provenzali, accoglie questa convenzione dell'amore nascosto, segreto, misterioso (basti pensare ai primi episodi della Vita Nuova, a Giovanna - Primavera); ma fa raramente uso di senhals. Senhals sono forse i nomi che compaiono nelle Rime: Fioretta (LVI 12), Violetta (LVIII 1 e 5), Lisetta (CXVII 3 e 12), e l'espressione quella ch'è sul numer de le trenta (LII 10); ma nella Vita Nuova non tanto di pseudonimi si tratta quanto di un modo d'indicare alcuni personaggi femminili, vago e allusivo, in armonia con il tono e l'atmosfera del libello: donna gentile, donna pietosa, donna dello schermo, pargoletta; del resto Beatrice vi è indicata apertamente con il suo nome e solo talvolta con l'equivalente dedotto dal significato del nome stesso: " beatitudine ". Nelle petrose, poi, la parola petra è così strettamente legata, pur nel discorso perennemente allusivo, al suo significato concreto, alle sue qualità e aspetti fisici, persino ai suoi usi pratici, materiali, che, quando essa viene assunta a indicare la donna, questa bella petra (Rime CIII 2) può ritenersi non un s., ma solo una metafora più diretta e più chiara.