Del Bene, Sennuccio
, Poeta stilnovista (Firenze 1275 circa - 1349). S. di Benuccio di Senno del Bene fu di Parte bianca, amico del Petrarca e del Boccaccio, forse per qualche tempo compagno d'esilio di Dante. La fede politica lo portò nel 1312, al seguito dell'imperatore Enrico VII, sotto le mura della sua città, e gli procurò nel 1313 il bando da questa. Ma già egli doveva essere in esilio, e con tutta la sua famiglia, nel 1311: lo attesta l'elenco degli esclusi dalla riforma di Baldo d'Aguglione, mentre un altro documento ci rivela la sua presenza in Milano al principio del 1311, probabilmente per incontrarvi l'imperatore da poco giunto in Italia. Non ha invece solido fondamento la notizia, data per sicura in passato (ad es. dal Carducci Opere XX 204, e dal Ferrari, commento alle Rime del Petrarca, p. 399), di un primo bando nel 1302, che lo accomunerebbe subito a D. e al padre del Petrarca. Dopo il bando del 1313, e certamente dal 1316, risiedette in Avignone, entrando in casa Colonna e svolgendo alti uffici presso e per conto della curia papale, tra cui un'ambasceria in Germania. Grazie a tali servigi, e in seguito all'interessamento di papa Giovanni XXII e del cardinale legato in Toscana, alla fine del 1326 ottenne di rientrare in patria. Ma da Firenze ancora si mosse: nel 1342 fu ospite a Napoli di un illustre conoscente del Petrarca e del Boccaccio, Giovanni Barrili, nel 1345 tornò ad Avignone, forse ospite del cardinale Colonna.
A S. il Petrarca, che per anni si trovò con lui in quotidiani rapporti ad Avignone, rivolse diversi delicati sonetti e un'epistola scherzosa, e diede un posto nel corteo dei poeti del Trionfo d'Amore (né parve irragionevole a commentatori antichi e moderni riconoscere S. nell'" ombra " che si offre di guidare il poeta: " vero amico / ti son e teco nacqui in terra tosca "; ma questa opinione è stata autorevolmente discussa e respinta dal Calcaterra). Il sonetto Sennuccio mio, benché doglioso et solo segna lo sfumare della mestizia per la scomparsa dell'amico nel conforto di saperlo libero dal carcere del corpo e trascorrente pei cieli, e termina con la preghiera a lui di salutare, raggiunto il terzo cielo, Guittone d'Arezzo, Cino da Pistoia, D., Franceschino degli Albizzi e " tutta quella schiera " dei poeti d'amore. In tal modo, qui come nei Trionfi e altrove (nel sonetto Sennuccio, i' vo' che sapi in qual manera leggiamo: " Nocte et dì tiemmi il signor nostro Amore "), Si definisce la materia del poetare di S., e si associano al suo nome quelli di diversi altri poeti, i cui rapporti con S. potevano in qualche modo sconfinare dalla letteratura alla conoscenza personale e all'amicizia. Lo stesso discorso vale per il sonetto boccacciano Or sei salito, caro signor mio, in morte del Petrarca: " Or con Sennuccio e con Cino e con Dante / vivi, sicuro d'eterno riposo, / mirando cose da noi non intese ".
Il gracile e aggraziato canzoniere di S. riflette invero l'attardarsi della poesia stilnovista oltre il primo decennio del Trecento, a ogni passo riecheggiando concetti, situazioni, modi linguistico-stilistici dei due Guidi, di Lapo Gianni, di D., di Cino, e al contrario poco acquisendo dalla contemporanea e ormai dominante lezione petrarchesca. Ne restano quattordici poesie: sei sonetti, due sonetti caudati, tre canzoni, due ballate e una lauda.
La canzone Da poi ch'i' ho perduta ogni speranza, per la morte di Enrico VII, fu nel secolo scorso attribuita dal Witte (" L'Antologia ", 1826) a D., secondo le precarie indicazioni di tardivi codici e di una primo-cinquecentesca edizione di antiche rime; dal Trivulzio (opuscolo stampato a Milano, 1827) a Cino, con argomenti pure assai fragili, e questa volta solo contenutistici. In realtà ogni possibile ragione interna ed esterna riconduce il componimento a S., come provò già il Fraticelli. Tale componimento offre poi un particolare motivo d'interesse nei versi di congedo relativi al marchese Franceschino Malaspina, versi che, indicando la corte ghibellina di Lunigiana come facile luogo, per S., di sosta e quindi d'incontro e amicizia con altri esuli, ispirarono al giovane Carducci l'‛ idillio storico critico ' Poeti di parte bianca.
Ha suggerito una relazione fra S. e D. anche il sonetto Sennuccio, la tua poca personuzza, che ha il suono di una risposta d'Amore, tra derisoria e affettuosa, alla canzone di S. Amor, tu sai ch'io son col capo cano, e viene attribuito, nel solo e alquanto infido codice che lo contiene (Chigiano L IV 131), a D.: " Pure - ha osservato il Barbi (Le opere di D., ediz. della Società Dantesca, p. 140) - rivela un artista non mediocre e un sentimento di superiorità che non disdice a Dante; e... non è da escludere che Dante nell'esilio s'inducesse a scherzare così col suo compagno di sventura ". Si aggiunga che la canzone, nella quale S. esprime il disagio procuratogli da un suo innamoramento senile, contiene il verso " Tu quel che a nullo amato amar perdona ". Ancora il Barbi ne ha ragionato così: " potrebbe darsi che quel verso fosse già scritto da Dante e conosciuto da Sennuccio; o che, notato da Dante in quella canzone, gli rifiorisse nella memoria scrivendo il canto V dell'Inferno ". Per il Contini tuttavia quel verso " risalirà a
Inf. V 103, piuttosto che il contrario " (ad l.). D'altra parte il sonetto sennucciano Punsemi il fianco amor con nuovi sproni, che accompagna la canzone, par riprendere il v. 12 (Ben può con nuovi spron punger lo fianco) del sonetto dantesco Io sono stato con Amore insieme. E si è più volte rilevato (dal Parodi al Billanovich) che lo stesso sonetto sennucciano, in taluni versi, ricorda espressioni dell'epistola dantesca a Moroello Malaspina Ne lateant dominum vincula servi sui (Ep IV 1), saldata alla canzone Amor, da che convien pur ch'io mi doglia.
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