sensato
Aggettivo neutro sostantivato che indica il " sentito ", cioè " ciò che è percepito dai sensi ". Il termine è volgarizzazione del latino sensatum che traduceva il corrispondente greco αἰσθητόν del linguaggio aristotelico (cfr. An. III 8, 431b 20-23, dov'è in opposto al νοητόν - intellectum, che è proprio della facoltà intellettuale). Per Aristotele il s. designa il contenuto sensibile della sensazione, dal quale solo l'intelletto può trarre le forme della conoscenza, cioè i phantasma (cfr. An. III 8, 432a 7 ss., e Sensu et sens. 6, 445b 6). Di qui l'enunciazione di D. in Pd IV 41 Così parlar conviensi al vostro ingegno, / però che solo da sensato apprende / ciò che fa poscia d'intelletto degno, " quia omnis nostra cognitio intellectiva dependet a sensitiva aliquo modo " (Benvenuto).
Il concetto aristotelico è ripetuto da D. in Cv II IV 17 dal quale [senso] comincia la nostra conoscenza, e III II 13 questa sensitiva potenza è fondamento de la intellettiva, cioè de la ragione: e però ne le cose animate mortali la ragionativa potenza sanza la sensitiva non si truova.
Il termine compare nel titolo volgarizzato dell'omonima opera di Aristotele (che suonava nella traduzione latina come De Sensu et sensato), in Cv III IX 6 è da sapere che, propriamente, è visibile lo colore e la luce, sì come Aristotile vuole nel secondo de l'Anima, e nel libro del Senso e Sensato; ugualmente al § 10.