SENSISMO
Termine filosofico, che nell'uso italiano viene normalmente distinto da quelli di "sensazionismo "e di "sensualismo": infatti mentre quest'ultimo designa soprattutto la teoria morale che edonisticamente considera il piacere dei sensi come fine massimo di ogni azione, e "sensazionismo" (o "sensazionalismo" quella gnoseologico-metafisica che risolve in sensazioni la totalità del reale, per "sensismo" s'intende propriamente la dottrina gnoseologica che considera ogni contenuto di conoscenza, non esclusi quelli tradizionalmente fatti procedere da superiori facoltà conoscitive, come derivante, o direttamente o indirettamente, dall'esperienza sensibile. La distinzione terminologica manca invece nelle altre principali lingue filosofiche: così la francese e la tedesca usano, nel significato di "sensismo" soltanto sensualisme e rispettivamente Sensualismus, e l'inglese, sempre nello stesso più importante significato, tanto sensualism quanto sensationalism.
La concezione sensistica ha rappresentanti notevolissimi già nel pensiero greco, ma non sarebbe esatto farne coincidere la storia con la stessa storia della gnoseologia greca solo perché quest'ultima, già nel periodo presocratico, attribuisce spesso (p. es., con Empedocle) importanza fondamentale alla conoscenza sensibile. In questa età, infatti, la distinzione delle forme conoscitive è ancora rudimentale; e, quando vien fatta, si risolve sempre in una svalutazione della conoscenza sensibile a vantaggio di quella intellettuale (eleatismo, Socrate, Platone, e, in certo senso, Aristotele). La storia del sensismo può dirsi bensì che s'inizi quando, nell'età postaristotelica, nasce la reazione contro la precedente tendenza a svalutare la conoscenza dei sensi: così, sensisti sono tanto gli epicurei, che anche per tale rispetto approfondiscono le tendenze della scuola cirenaica, quanto gli stoici, analogamente proseguenti la tradizione già delineatasi in seno al cinismo, per lo meno nei limiti in cui esso (specialmente con Antistene) si occupò di problemi gnoseologici. E implicitamente sensistico è in fondo anche lo scetticismo, in quanto considera tutto l'edificio dell'umano sapere come già sostanzialmente infirmato da quell'inadeguatezza della conoscenza sensibile, che esso mira soprattutto a mettere in chiaro con le sue argomentazioni. Nell'età medievale la repressione del senso nel campo etico si traduce anche nel campo gnoseologico in una svalutazione della sua capacità conoscitiva: così il sensismo si può dire rinasca solo quando l'empirismo e terminismo occamistico del sec. XIV provoca e manifesta la crisi terminale della filosofia scolastica. Ma la vera fioritura del sensismo ha luogo quando la vecchia tradizione dell'empirismo inglese, già rappresentata da Ruggiero Bacone e da Occam e poi soprattutto da Francesco Bacone, assume, col Hobbes e meglio ancora col Locke, un carattere spiccatamente sensistico per l'esigenza di combattere ogni forma di innatismo e razionalismo (come quello cartesiano e occasionalistico) dimostrando come anche la cosiddetta conoscenza intellettuale provenga in ultima analisi da quella stessa conoscenza sensibile che essa dispregia come inadeguata. Arma principale del sensismo è quindi l'"associazionismo", cioè la teoria del modo in cui i dati del senso, mercé la riflessione che li semplifica ed associa, si trasformano in contenuti di conoscenza intellettuale: e suo massimo teorico è di conseguenza il Locke, che dell'associazionismo è propriamente il maestro. Dal Locke associazionismo e sensismo passano alla cultura francese, specialmente a quella cosiddetta degli "ideologi", dove trovano un acuto teorico nel Condillac: e di qui pervengono nella cultura italiana dell'ultimo Settecento e del primo Ottocento.
Nel secondo Ottocento e nel Novecento il sensismo caratterizza naturalmente in prima linea la gnoseologia del positivismo e del materialismo: così, p. es., in Italia esso è sviluppato minutamente dall'Ardigò. Ma, data l'evoluzione che già il sensismo ed empirismo del Locke aveva subito per opera del Berkeley e del Hume, l'empirismo più moderno (come, p. es., quello di John Stuart Mill, o il cosiddetto "empiriocriticismo" del Mach e dell'Avenarius), che ad esso storicamente si riconnette, non è più sensistico soltanto nel senso gnoseologico per cui ogni conoscenza si risolve nell'esperienza sensibile, ma anche in quello metafisico per cui tale esperienza non rappresenta soltanto la reazione della coscienza allo stimolo della realtà, ma addirittura la totale realtà, non conoscibile né accertabile al difuori di quella stessa esperienza: nel senso, cioè, che si è detto propriamente designato piuttosto dal termine di "sensazionismo" o "sensazionalismo" che da quello di "sensismo". Così intese, anche le verità scoperte e difese dal sensismo vengono quindi a confluire, e a trovare la loro giustificazione, nel generale idealismo gnoseologico dell'eta contemporanea.