Senza pietà
(Italia 1948, bianco e nero, 95m); regia: Alberto Lattuada; produzione: Carlo Ponti per Lux; soggetto: Tullio Pinelli, Federico Fellini da un'idea di Ettore M. Margadonna; sceneggiatura: Federico Fellini, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli; fotografia: Aldo Tonti; montaggio: Mario Bonotti; scenografia e costumi: Piero Gherardi; musica: Nino Rota.
Nell'immediato secondo dopoguerra Angela, una ragazza sbandata, cerca di raggiungere in treno Livorno, dove ritiene abiti il fratello. Mentre viaggia su un treno merci, rimane coinvolta in una sparatoria tra i militari americani e alcuni malviventi, e assiste al ferimento di Jerry, un soldato di colore. Condotta in un istituto religioso dalla polizia, Angela stringe amicizia con la volitiva Marcella: le due ragazze evadono insieme. Livorno è in quel momento sede della principale base americana in Italia, luogo di perdizione e centro dei traffici più oscuri. Marcella conduce Angela dall'ambiguo Pierluigi, che gestisce un losco giro di contrabbando e prostituzione. Il fratello non è più in città, e Angela è costretta a non rifiutare le disoneste offerte di lavoro fatte da Pierluigi. Nel frattempo Jerry è guarito e, incontrata di nuovo Angela, se ne innamora; per aiutarla accetta di consegnare merce alla banda di Pierluigi. Scoperto, viene però arrestato. Per Angela inizia un periodo terribile di sfruttamento, oggetto com'è degli insani ricatti di Pierluigi. Jerry evade dal campo di reclusione e torna alla ricerca di Angela. Mentre Marcella corona il suo sogno di libertà e parte per gli Stati Uniti, Jerry e Angela tentano di sottrarre a Pierluigi una ingente somma di denaro destinata al pagamento di un carico di contrabbando. I malviventi li inseguono e, durante un drammatico conflitto a fuoco, Angela è colpita a morte. Jerry, disperato, carica il suo cadavere su un camion e si getta con l'amata defunta in una scarpata.
Nel novero dei vari modi con i quali il cinema italiano del primo dopoguerra si avvicina alla realtà postbellica, la sottolineatura della componente 'nera' è elemento di primo piano, soprattutto in quei registi che uniscono all'attenzione per i dati formali una cultura filmica che guarda agli Stati Uniti come alla Francia: su tutti, Giuseppe De Santis e Alberto Lattuada. Già in Il bandito (1946) Lattuada aveva posto l'accento sull'ineluttabilità del destino che attendeva i reduci, sconfitti dall'andamento degli eventi bellici e poi da una società che li respingeva, e costretti infine a scendere sul terreno della criminalità. Senza pietà, con la didascalia che lo apre a ricordarlo fin dal primo momento, sposta il discorso sui tanti indifesi rimasti vittime di un periodo di grande confusione materiale e morale, della solitudine, della povertà, della necessità di riscatto. Per questo Lattuada sceglie Tombolo, già immortalata come 'paradiso nero' da un'altra pellicola (Tombolo ‒ Paradiso nero, Giorgio Ferroni 1947), come simbolo della tentazione criminale, luogo di perdizione dove albergano i vizi e le depravazioni peggiori. Il racconto, che procede a ritmo serrato e incrocia le vicende delle ragazze a quelle di Jerry, soldato nero che ama una donna bianca, ritrae con cupo realismo i mille mali ancora da sanare che attraversano quell'Italia distrutta. La disperazione di fondo, il plumbeo grigiore sono un portato del cinema francese d'anteguerra, mentre la densità della messa in scena e l'avvolgente linearità di alcuni movimenti di macchina provengono direttamente dall'amore per i film hollywoodiani. La sequenza della balera, nella quale le ragazze danzano scatenate con i loro amanti e clienti, è una testimonianza di questo amore, come già avviene nell'opera di De Santis; il montaggio rapido fa salire la tensione insieme al ritmo della musica ed esalta la controllata ma sensuale esposizione dei corpi delle donne, fuori dalle sottovesti e dai vestiti a fiori.
La coppia Fellini-Pinelli, responsabile di tanti film importanti dell'epoca, costruisce una sceneggiatura solida e sostenuta dalla partecipazione di alcuni dei miglior caratteristi dell'epoca, dal grande Folco Lulli all'onnipresente John Kitzmiller (già in Paisà, in Tombolo ‒ Paradiso nero e in Vivere in pace di Luigi Zampa, 1947) che in virtù del suo status di ufficiale dell'esercito americano fece ottenere a Lattuada il permesso di girare a Livorno. Carla Del Poggio perde in Senza pietà l'aura rassicurante di ragazza della porta accanto che le avevano donato le sue partecipazioni cinematografiche d'anteguerra. Il film segna anche la definitiva consacrazione di Giulietta Masina che, al suo primo ruolo importante, fu premiata con un Nastro d'argento. Esaurita la contingenza del momento, ed evaporato il comune sentire dell'ispirazione neorealista, Lattuada lascerà prevalere l'ispirazione calligrafica e letteraria, a partire dal successivo Il mulino del Po (1949).
Interpreti e personaggi: Carla Del Poggio (Angela Borghi), John Kitzmiller (Jerry Jackson), Giulietta Masina (Marcella), Folco Lulli (Jack), Pierre Claudé (Pierluigi), Daniel Jones (Richard), Enza Giovine (suor Gertrude), Otello Fava (Sordo), Lando Muzio (capitano sudamericano), Romano Villi (bandito), Max Lancia [Cesare Lancia], Mario Perrone (banditi), Carlo Bianco (barone Hoffman), Joseph Falletta (americano), Patrizia Lari (ragazza nell'istituto correzionale).
G. Valori, Senza pietà, in "Cine illustrato", n. 48, 28 novembre 1948.
G. Turroni, Senza pietà, in "Hollywood", n. 168, 4 dicembre 1948.
G.C. Castello, Senza pietà, in "Bianco e nero", n. 10, dicembre 1948.
G. Sadoul, Réalisme ou verisme, in "Les Lettres françaises", juillet 1949.
R. Barkan, Presque une oeuvre magistrale, in "L'écran français", n. 213, 25 juillet 1949.
J.-Ch. Tacchella, Avec 'Sans pitié', un drame de notre époque, Lattuada réussit une tragédie classique, in "L'écran français", n. 211, 11 juillet 1949.
G. Turroni, Alberto Lattuada, Milano 1977.
C. Cosulich, I film di Alberto Lattuada, Roma 1985.