Vedi SEPINO dell'anno: 1966 - 1997
SEPINO (v. vol. VII, p. 201)
Municipio della IV Regio ascritto alla tribù Voltinia, S. è stata oggetto di scavi sistematici ed estensivi negli anni immediatamente seguenti il secondo conflitto mondiale. In quell'occasione si è provveduto a una sistematica opera di rilievo, restauro e ricostruzione che ha coinvolto anche ampi tratti della cinta muraria, le porte, settori del teatro e, da ultimo, all'esterno della cinta, due monumenti funerarî.
I molti interventi successivi hanno prevalentemente esplorato il sito in profondità nei tratti già in luce o hanno indagato le aree sepolcrali o, ancora, si sono concentrati nello scavo del complesso teatrale. Tutto ciò, in primo luogo, e un'attenta rilettura e interpretazione delle situazioni di scavo pregresse e della generalità degli stessi materiali rinvenuti, sino a ora negletti, hanno consentito, in questi ultimi anni, di ricomporre una storia assai più articolata e complessa del centro e del territorio a esso pertinente. A questo scopo, attraverso una più corretta definizione delle forme d'insediamento e di frequentazione di più alta e di più bassa cronologia, hanno anche contribuito i risultati di scavi recenti eseguiti a Terravecchia, le campagne di scavo, tuttora in corso, del santuario italico in località San Pietro di Cantoni e la stessa sistematica ricognizione di superficie del territorio municipale, conclusasi da qualche anno.
Situata su un'altura isolata e dominante la valle del Tammaro, a quota m 953, Terravecchia è racchiusa da un ampio recinto trapezoidale costruito in grandi blocchi poligonali . È questa certamente la S. assediata ed espugnata dal console Papirio Cursore nel 293 a.C. Gran parte dei materiali che lo scavo del santuario italico di San Pietro di Cantoni ha sino a ora restituito si colloca fra la seconda metà del IV e gli inizî del III sec. a.C. Essi segnalano il radicarsi di un culto, forse già costituitosi in forme monumentali, su uno dei terrazzi situati immediatamente a Ν e a valle di Terravecchia, compresi fra quest'ultima e l'area che sarà poi occupata dal municipio sepinate.
Perfettamente coerente con la distribuzione nel territorio del pagus del centro fortificato (Terravecchia) e del santuario (San Pietro di Cantoni) è il disegno contemporaneo dell'insediamento rurale, sparso e disposto con qualche ordine (ben documentato soprattutto sull'opposto versante del Tammaro: Cercemaggiore, Cercepiccola), spesso su medesime curve di livello, a distanze regolari, e capace anche di replicarsi a quote differenziate mantenendo identiche esposizioni.
L'occupazione stabile del fondovalle, e in particolare dell'area che sarà poi della città romana (attuale frazione di Altilia), è documentata, a partire almeno dalla prima metà del II sec. a.C., da una fullonica . È però evidente che la specializzazione strutturale e produttiva dell'edificio suggerisce precedenti fasi di occupazione e fenomeni di frequentazione e di transito, ormai da tempo consolidatisi in forme di vere e proprie percorrenze tratturali condizionate dagli spostamenti stagionali delle greggi. Sulle rovine della fullonica e per largo tratto intorno, in quella che sarà poi l'area forense della città romana, gli scavi di questi ultimi anni hanno rivelato, e stanno sempre più evidenziando, una notevole e via via più estesa concentrazione edilizia di fine II sec. a.C., per la quale è documentato il ricorso alla produzione della locale figlina quanto a quella della stessa touto contraddistinta dal bollo eponimo del meddix L(ùvkis) Klì(ppiis) L(ùvkeis).
L'elezione municipale sembra rispettare, se non altro, almeno gli orientamenti tradizionali della viabilità e, verosimilmente, la stessa collocazione dell'area pubblica vicana, ribadita in forme e dimensioni forse solo dilatate e regolarizzate nel disegno rigidamente trapezoidale del foro. Ma il fervore di cantieri e di opere ridisegna, secondo una formula progettuale preliminarmente ben definita, ancorché messa in atto in tempi non brevissimi, l'assetto del centro riconducendolo sui binari di un'aggiornata e ordinata, seppure mimeticamente normalizzante, definizione urbanistica e architettonica. L'intervento diretto della casa imperiale, in particolare di Tiberio e di Druso, è evidenziato dal testo dell'iscrizione (CIL, IX, 2443) ripetuta sulla fronte delle porte cittadine (oggi convenzionalmente denominate dalle località raggiunte dalle rispettive strade d'uscita), ma è la stessa concezione strutturale e la stessa definizione architettonica delle fronti, intese come veri e propri archi trionfali, a suggerire l'impiego di proventi da bottino di guerra (ex manubiis) nell'edificazione delle mura. Queste ultime costituiscono un'attenta e aggiornata opera di ingegneria militare dotata di porte con cavedio, fiancheggiate da torri circolari e dischiuse in prossimità degli spigoli, con l'eccezione di Porta Terravecchia.
La cortina è realizzata in opera quasi reticolata; le torri, che ricorrono cadenzate lungo il giro delle mura, nei tratti più esposti, comunque stondati e disegnati in arretramento, sono poligonali in ottemperanza anche alla contemporanea trattatistica tecnica vitruviana. All'incrocio della viabilità principale è il foro, lastricato da C. Papiu⁅s M. f. Sc⁆aber (?), fratello forse del console suffetto del 9 d.C., nel secondo decennio del I sec. d.C. se dal foro, come sembra, proviene, tra le altre, una dedica al divo Augusto. Al centro del lato lungo settentrionale, avanzato rispetto all'allineamento dei contermini edifici pubblici (identificati, non senza incertezze, in due casi, con il comitium e la curia), è il Capitolium. Il lato breve sud-orientale è occupato da una fontana lavatoio e da una serrata serie di vani contigui aperti sulla piazza porticata e destinati al culto, a sedi di corporazioni, a uffici municipali. Il lato lungo meridionale presenta, invece, un'obliterante sistemazione edilizia concepita e realizzata fra I e II sec. d.C. dalla gens Neratia, di gran lunga la più importante, conosciuta e facoltosa gens di rango senatorio di S. dall'età flavia in poi: il lato è per lungo tratto occupato dalla muratura continua di un edificio, esplorato solo in minima parte, preceduto dall'imponente mole di un arco destinato a spezzare la continuità del portico che si affaccia sull'area forense e raccordato alla crepidine della piazza da una rampa monumentale di scale.
Analogamente affacciata sulla piazza, ma ricavata sull'opposto lato del cardo, è la basilica con annesso tribunal columnatum, il cui impianto originario può farsi risalire, con molteplici validi argomenti (anche CIL, IX, 6368) alla munifica iniziativa di L. Naevius Pansa, non oltre il 6 d.C. Un primo intervento di ripristino, forse solo un intervento di abbellimento decorativo, sembra documentabile per l'età flavia e assegnabile a M. Hirrius Fronto Neratius Pansa. Numerosi interventi successivi, risalenti al IV sec. d.C., ma non necessariamente conseguenti agli esiti disastrosi del terremoto del 346, sono analogamente documentati da iscrizioni che assegnano agli stessi rectores provinciae, Fabius Maximus e Flavius Uranus, l'iniziativa della quale resta traccia in alcuni capitelli sostituiti o rilavorati. A età imperiale avanzata e tarda si possono far risalire, verosimilmente, gli stessi interventi di graduale trasformazione del tratto orientale del lato lungo settentrionale del foro. In particolare, è sufficientemente certa la definizione di un impianto termale segnalato da una grande esedra affacciata sulla piazza.
Meno convincente, però, e forse erronea, pare la sua identificazione con il complesso delle Thermae Silvani, la cui esistenza è testimoniata epigraficamente, da ubicarsi invece, con maggior sicurezza documentaria, in un tratto di terreno scavato alla metà del secolo scorso e interposto fra decumano e teatro. Agli angoli opposti della piazza sono due fontane, una delle quali ricostruita (fontana del Grifo), ascrivibili, probabilmente assieme ad altre, alla munificenza di C. Ennius Marsus e di suo figlio L. Ennius Gallus. In particolare il primo è personaggio di spicco che sembra gestire, in qualità dapprima di magistrato e quindi di patrono, l'operosa fase di riassetto e di trasformazione urbanistica del municipio in età augustea . E in questa logica sembra tutt'altro che casuale il riscontro archeologicamente documentato di una produzione laterizia probabilmente intestata allo stesso C. Ennius Marsus, fatto questo che sembra registrarsi anche per L. Naevius Pansa. A C. Ennius Marsus è pertinente inoltre uno dei meglio conservati e significativi monumenti funerari sepinati, a tamburo su plinto di base parallelepipedo, ubicato subito fuori Porta Benevento, ricostruito pressoché nella sua interezza a partire dagli anni Trenta di questo secolo.
L'acquedotto e un ordinato sistema fognario, quest'ultimo attualmente in corso di esplorazione per un suo recupero funzionale, sono infrastrutture che precedono gli stessi interventi evergetistici dei due Ennii, e in particolare il primo rende ben presto anacronistici i numerosi impluvia rinvenuti lungo il decumano (e verosimilmente, almeno in gran parte, pertinenti a una fase edilizia che precede la definizione della forma urbana di età augustea), determinandone un'immediata riqualificazione e contribuendo a ridisegnare, in molti casi, lo stesso schema planimetrico delle vecchie quanto delle nuove strutture abitative urbane.
Lungo il decumano, a ridosso dell'area pubblica, ma in posizione arretrata rispetto al foro e alla basilica, è il macellum caratterizzato, nella forma restituita dallo scavo, da una pianta trapezoidale, condizionata da preesistenze, con ambiente centrale di disegno esagonale su cui prospettano, in perfetta simmetria distributiva, tre coppie di tabernae. Una serie di edifici industriali si affianca alla domus conosciuta come «Casa dell' impluvium sannitico», al vertice opposto del foro, lungo il tratto di decumano orientato su Porta Benevento; la loro cronologia non è stata ancora accertata, ma spesso, anche di recente, viene connessa all'età augustea. In particolare è documentata la presenza di un mulino azionato da una ruota idraulica e di una conceria.
Il centro non conobbe alcuna espansione extramuranea in età medio-tardo imperiale, ma gli spazi intramuranei sono significativamente occupati da un complesso termale già nel II sec. d.C., fra Porta Boiano e il teatro. Quest'ultimo presenta perfettamente conservata l'orchestra, l’ima e parte della media cavea e i tetrapili che assolvono al contempo alla funzione di snodo d'incrocio fra pàrodoi e ambulacro perimetrale e di raccordo strutturale fra cavea e edificio scenico. Il pulpitum è stato ricomposto, mentre è solo in parte conservata la scaenae frons, inglobata all'interno di una masseria destinata dal recente restauro a sede museale. Identica destinazione è prevista per una serie continua e avvolgente di masserie, datate le più antiche al XVIII sec., impostate sulle strutture residue perimetrali della media e summa cavea. Il disegno originale della cortina in ricorsi di blocchetti e l'apertura, alle spalle della cavea, di una postierla di collegamento fra campagna e teatro, hanno da sempre suggerito per quest'ultimo una datazione più tarda (età giulio-claudia) rispetto a quella solitamente assegnata alle mura (2 a.C. - 4 d.C.). Gli scavi più recenti hanno riportato almeno parzialmente in luce, ma per largo tratto, porzioni residue delle strutture del post scaenam che un'iscrizione ricorda organicamente articolate in una porticus, in un campus e in una piscina.
Come la città anche il territorio sembra organizzato in funzione soprattutto delle direttrici tratturali. Dalla prima alla media età imperiale si registra una considerevole contrazione degli insediamenti rustici, già nettamente selezionati e ridotti nel numero rispetto alla situazione di età repubblicana. Né tutto ciò sembra potersi spiegare soddisfacentemente con il temporaneo consolidarsi del fenomeno del latifondo a conduzione schiavile.
La continuità di vita fra tarda antichità e Alto Medioevo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, appare documentata nell'ambito dell'area della città quasi esclusivamente da materiale archeologico minuto, raccolto spesso fuori contesto e non altrimenti associato a strutture con sicurezza coerenti. Fanno eccezione due distinti sepolcreti, l'uno rinvenuto nelle immediate adiacenze del teatro e ricavato nell'interro formatosi sul crollo di una delle torri della cinta muraria, l'altro lungo il lato breve meridionale dell'area forense, palesemente abbandonata e già in rovina.
Entrambi attestano il definitivo decadere del centro (tuttavia ancora negli anni 501 e 502 un vescovo di S. Proculeiano, partecipa al concilio convocato da papa Simmaco), ma convalidano almeno l'ipotesi di una continuità di occupazione del sito, seppure parziale e settoriale, fra VII e IX sec., in sintonia con le scarne e peraltro decisamente generiche notizie offerte dalle fonti contemporanee . È però probabilmente in questo periodo che si innalza al di sopra del podio del tempio italico di San Pietro di Cantoni un grande edificio ecclesiale. Del resto le stesse fonti segnalano la presenza stanziale, ancorché non prolungata, nell'882 di bande saracene accampate nell'area della città antica.
Una ripresa di vitalità del sito sepinate a partire almeno dal XIII sec., insospettata per assoluta mancanza di precedenti indizi probatori, si è invece manifestata nel corso dello scavo della necropoli romana fuori Porta Benevento che ha posto in luce un modesto abitato definito a ridosso della linea tratturale; gli alzati per le parti messe allo scoperto risultano spesso dal recupero e dal reimpiego mirato di strutture e di elementi di spoglio della necropoli.
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