Sequestro preventivo e confisca ex art. 12 sexies
La confisca “estesa” ha formato oggetto di una serie di riforme normative e interventi giurisprudenziali che hanno realizzato una sua progressiva assimilazione al sistema delle misure di prevenzione patrimoniali e ne valorizzano il ruolo di modello di riferimento a livello internazionale; occorre però una riforma organica dell’intera materia, accompagnata da una regolamentazione “multilivello” che assicuri la circolazione di tale tipologia di confisca nello spazio giuridico europeo.
La recente produzione normativa e giurisprudenziale ha inciso fortemente sulla disciplina della confisca “estesa” o “allargata”, già contenuta nell’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356, e adesso prevista dall’art. 240 bis c.p. L’ultimo intervento legislativo, compiuto dal d.lgs. 1.3.2018, n. 21, si riconnette all’introduzione del principio della “riserva di codice” nel sistema penale italiano: una riforma da tempo auspicata dalla dottrina1, che si muove nella prospettiva di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni da parte dei cittadini, così da perseguire l’obiettivo della piena attuazione del principio di legalità anche nei riflessi relativi alla funzione della pena2. Si tratta di un disegno sicuramente condivisibile, che si pone in coerenza con l’elaborazione compiuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in ordine alle dimensioni “qualitative” di accessibilità e prevedibilità insite nel principio di legalità. Esso, però, ha rivelato tutta la sua difficoltà di attuazione proprio in relazione al tema della confisca “estesa”, in quanto l’introduzione nel codice penale del nuovo art. 240 bis si è accompagnato ad una complessa serie di rinvii normativi e di nuove disposizioni inserite in una pluralità di testi legislativi, con la conseguenza che la disciplina dell’istituto appare oggi, sotto diversi profili, contrassegnata da una maggiore complessità di ricostruzione rispetto al recente passato. Anche in relazione a questa forma “moderna” di confisca, un ruolo-chiave nella definizione della disciplina è stato svolto dalla giurisprudenza, che di recente ha operato alcune precisazioni di natura sistemica, sia con riferimento all’ambito di operatività della misura patrimoniale, sia con riguardo ai suoi presupposti applicativi, in primis quello della sproporzione, che viene a configurarsi sempre più come un criterio di prova, invece che come un criterio di essenza.
Il d.lgs. n. 21/2018 si è riproposto di attuare il principio della “riserva di codice” in relazione ad una regolamentazione della confisca penale “estesa” che era già stata modificata in profondità, pochi mesi prima, dalla l. 17.10.2017, n. 161. La riforma del 2017, oltre a apportare molteplici cambiamenti al sistema delle misure di prevenzione disciplinato dal cd. codice antimafia, ha inciso in modo decisamente innovativo anche sul testo dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, modificando i presupposti della confisca allargata sotto tre principali profili:
a) l’ampliamento dell’ambito dei reati che danno luogo alla confisca “estesa” con l’inserimento di tutte le fattispecie previste dall’art. 51, co. 3-bis, c.p.p.;
b) la restrizione del possibile contenuto della prova liberatoria posta a carico dell’imputato, il quale non può più giustificare la legittima provenienza dei beni in sequestro sostenendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego di evasione fiscale;
c) la eliminazione del necessario collegamento della misura di sicurezza patrimoniale de qua con la pronuncia di una sentenza di condanna, rendendo possibile l’applicazione della confisca allargata “diretta” (ma non anche di quella “per equivalente”, avente natura di sanzione penale in senso stretto) all’esito del giudizio di appello o di cassazione, quando il reato venga dichiarato estinto per prescrizione o per amnistia dopo che sia stata pronunciata sentenza di condanna in uno dei precedenti gradi di giudizio; in tale ipotesi si attribuisce al giudice di appello o di legittimità il compito di decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato.
Si tratta di tre innovazioni di indubbia opportunità, che si inseriscono in un disegno unitario, volto a rimuovere alcuni dei fattori che rendevano la confisca penale “estesa” meno efficace della misura di prevenzione patrimoniale: precisamente, la ristrettezza del suo ambito oggettivo di applicazione (prima circoscritto ad un numerus clausus di delitti, senza tendere conto del pregnante significato dell’inserimento delle più svariate forme di attività illecite in un circuito di criminalità organizzata di tipo mafioso), la facoltà dell’imputato di paralizzarne il funzionamento mediante una prova liberatoria per sua natura estremamente opinabile e quasi sempre fondata su basi presuntive (essendo del tutto improbabile che il “nero” derivante dall’evasione fiscale venga minuziosamente documentato da scritture contabili aziendali), e la “spada di Damocle” rappresentata dalla prescrizione, anche se intervenuta nel corso di un giudizio nel quale era stata raggiunta la prova della responsabilità penale dell’imputato, tanto da consentire la pronuncia di una sentenza di condanna prima del sopraggiungere della causa estintiva del reato. Grazie alle modifiche introdotte dalla l. n. 161/2017, la confisca “allargata” può operare per tutti i reati rientranti nella competenza delle Direzioni Distrettuali Antimafia, senza consentire alcun “premio per l’evasione”, e senza che il prolungarsi del processo anche dopo una prima sentenza di condanna possa comportare non solo l’esenzione dalla responsabilità penale, ma persino la possibilità di tornare a beneficiare di accumulazioni patrimoniali prive di ogni spiegazione lecita.
È chiaro che si tratta di tre profili qualificanti della disciplina italiana, la quale per tale via viene a rappresentare un preciso modello nella costruzione, a livello internazionale, di forme “moderne” di confisca, contrassegnate dall’espansione dell’oggetto dei provvedimenti, dall’alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’accusa, dalla capacità di colpire la dimensione economica e collettiva dei più gravi fenomeni criminali mediante misure “mirate”, distinte dalla pena detentiva ma circondate da analoghe garanzie processuali. Per tale ragione, appare fortemente discutibile la scelta del d.lgs. n. 21/2018 di “spezzettare” la regolamentazione della confisca “estesa”, inserendo le prime due innovazioni (l’ampliamento del catalogo dei reati e la restrizione dell’oggetto della prova liberatoria) nel nuovo art. 240 bis c.p.3, e collocando invece la terza (che rende insensibile la misura patrimoniale agli effetti della prescrizione e dell’amnistia maturate dopo una prima sentenza di condanna) in una norma processuale, come il nuovo art. 578 bis c.p.p. Quest’ultima disposizione, peraltro, potrebbe suscitare complessi problemi interpretativi, in quanto sostituisce il presupposto della pronunzia di una “sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio” con il diverso requisito che sia stata «ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge», senza quindi considerare l’ipotesi di una condanna non accompagnata nel precedente grado di giudizio dalla applicazione della confisca, ordinata invece nel successivo grado a seguito di impugnazione del pubblico ministero. L’esigenza di una disciplina organica della confisca penale “estesa” è resa evidente anche dalla collocazione di un’altra previsione di particolare rilievo, come quella che consente – in conformità alle indicazioni espresse da parte della giurisprudenza di legittimità – che, in caso di morte del soggetto nei cui confronti sia stata disposta la confisca con sentenza di condanna passata in giudicato, il relativo procedimento di esecuzione inizi o prosegua nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. Tale disposizione, già inserita nell’art. 12 sexies cit. dalla l. n. 161/2017, è stata spostata dal d.lgs. n. 21/2018 nel nuovo art. 183 quater disp. att. c.p.p.
Il quadro normativo risultante dalle riforme degli anni 20172018 ha comunque colmato una lacuna derivante dalla mancanza di esaustività riscontrabile nella disciplina precedentemente prevista dal codice di rito a proposito della tutela dei terzi i cui diritti subiscano un pregiudizio dal provvedimento di sequestro. Di fronte al perdurante silenzio del legislatore, la soluzione è stata proposta da svariati interventi sostitutivi pretori che – fino alla recente sentenza delle Sezioni Unite nel caso Muscari4 – hanno tentato di ampliare i confini della disciplina codicistica in materia di tutela dei terzi, estendendola in ogni grado e stato del procedimento.
In questa cornice giurisprudenziale hanno fatto irruzione la l. n. 161/2017, come corretta dalla l. 4.12.2017, n. 172 (che ha convertito il d.l. 16.10.2017, n. 148), nonché il d.lgs. n. 21/2018, che, nel ridisciplinare la confisca “allargata”, hanno previsto il diritto dei terzi, titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni sequestrati, ad essere citati nel processo di cognizione; questi terzi dunque possono partecipare al giudizio, così evitando il cristallizzarsi nella fase di cognizione di situazioni potenzialmente pregiudizievoli nei loro confronti. A tale previsione, adesso contenuta nel comma 1quinquies dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p., viene ad aggiungersi il disposto del comma 1quater della medesima norma. Quest’ultimo rinvia espressamente alle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché a quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice antimafia, estendendone l’applicabilità non solo ai casi di sequestro e confisca penale “estesa”, ma anche a tutte le altre ipotesi di sequestro e confisca operanti nei procedimenti di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. La regolamentazione della amministrazione e destinazione dei beni, nonché della tutela dei terzi, dettata dal codice antimafia per le misure di prevenzione patrimoniali, diviene così un modello di riferimento di ampia portata, applicabile alle più significative tipologie di misure di sicurezza patrimoniali inserite nel processo penale. Seppur il tortuoso percorso diretto al riconoscimento di effettive garanzie procedimentali per i terzi sia stato inizialmente tracciato per mezzo di manipolazioni pretorie non sempre lineari, e nonostante vada registrato, anche in questa materia, il colpevole ritardo da parte del legislatore, ad oggi può dirsi che la tutela del terzo abbia finalmente fatto ingresso nel processo penale, anche se solo per specifiche ipotesi. Ulteriori disposizioni sull’amministrazione dei beni sequestrati (anche con riferimento alla specifica ipotesi in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende o società), nonché la disciplina degli aspetti più propriamente esecutivi dell’istituto, hanno trovato spazio all’interno degli artt. 104 bis e 183 quater disp. att. c.p.p.
Con la recente sentenza emessa nel caso Di Maro5, le Sezioni Unite si sono espresse in merito alla possibilità di applicare l’istituto della confisca “allargata” ai delitti tentati aggravati ai sensi dell’art. 7 d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. in l. 12.7.1991, n. 203 (oggi sostituito dall’art. 416 bis.1, co. 1, c.p., che prevede le circostanze aggravanti del metodo mafioso e dell’agevolazione delle attività di un’associazione mafiosa). Nella precedente giurisprudenza di legittimità si erano, infatti, venuti a creare due diversi orientamenti interpretativi: secondo un primo indirizzo, poiché l’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, prevede espressamente la confisca per il solo reato consumato e non per il tentativo, l’eventuale applicazione della confisca “allargata” per un qualsiasi delitto tentato comporterebbe un’estensione in malam partem della norma penale, vietata dai principi costituzionali6; un secondo orientamento ha ritenuto, invece, che la confisca “estesa” possa trovare applicazione anche in caso di delitto tentato7, così esaltando l’aspetto teleologico della disposizione, chiaramente finalizzata a sottrarre al condannato tutti i beni di cui lo stesso non sia in grado di giustificare la legittima provenienza. Le Sezioni Unite aderiscono, invece, ad un terzo filone interpretativo8, affermando che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, può essere disposto per uno dei reati-presupposto anche nella forma del tentativo, purché aggravato dall’art. 7 d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991. In particolare, la Corte propone una soluzione al quesito differenziata a seconda che venga in rilievo il primo comma dell’art. 12 sexies, nel quale viene dettata un’elencazione nominativa e specifica di singoli reati per i quali può applicarsi la confisca allargata e che per tale ragione copre le sole ipotesi tassativamente elencate di reato consumato, o il comma secondo, nel quale il riferimento ai delitti commessi risulta più generico e perciò può essere applicato anche in caso di tentativo, ove il delinquente abbia ottenuto da esso un illecito arricchimento. Tale interpretazione risulta pregevole sia da un punto di vista sistematico – mostrandosi coerente con il principio dell’autonomia del reato tentato rispetto a quello consumato, evitando l’estensione in malam partem della confisca allargata ed esaltando il principio di legalità – sia da una prospettiva di politica criminale: essa, infatti, giustifica l’applicazione della misura anche in caso di delitto tentato, ma soltanto ove esso risulti sintomatico di un illecito arricchimento per il suo collegamento con le dinamiche tipiche dell’associazione mafiosa9. Le modifiche legislative intervenute hanno mutato le norme di riferimento in materia di confisca allargata. Tuttavia, il testo dell’art. 240 bis c.p., che si pone in continuità con quello del precedente dell’art. 12 sexies, non contraddice in alcun modo l’impostazione interpretativa fornita dalle Sezioni Unite, la quale mantiene quindi tutta la sua attualità.
Alcune indicazioni ermeneutiche di particolare rilievo scaturiscono dalla sentenza 26.2.2018, n. 33 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, nella parte in cui annovera il delitto di ricettazione tra i reati per i quali è possibile l’applicazione della confisca “allargata”. La Corte ha preso posizione circa la legittimità del modello di confisca per sproporzione, evidenziando come la ricettazione sia un reato idoneo a determinare un’illecita accumulazione di ricchezza, al pari di altri gravi delitti contro il patrimonio, in quanto suscettibile di essere perpetrato anche in forma continuativa o “professionale”. Inoltre, la Consulta sottolinea come non sia la semplice condanna per il reato di ricettazione a far sorgere i presupposti per la confisca, bensì la sproporzione tra i beni che si ha intenzione di confiscare ed il reddito dichiarato o le attività economiche del condannato: tale sproporzione deve essere provata dall’organo inquirente e consiste nello squilibrio incongruo e significativo tra guadagni e possidenze; è solo la presenza di tale discrepanza che integra la condizione in presenza della quale scatta la presunzione (relativa) che il condannato ha facoltà di superare tramite la giustificazione di provenienza dei cespiti. Nel loro percorso argomentativo, i giudici di costituzionalità rammentano come, al fine di circoscrivere quanto più possibile tale presunzione relativa (che può essere vinta tramite una semplice allegazione di elementi che rendano credibile la provenienza lecita dei beni e non comporta, quindi, un’inversione dell’onere della prova), la stessa giurisprudenza abbia correttamente elaborato il concetto di “ragionevolezza temporale”, in ossequio del quale il momento di acquisizione del bene non dovrebbe essere eccessivamente lontano dal periodo di realizzazione del reato. Uno degli aspetti più innovativi della pronuncia in oggetto è l’osservazione della Corte in base alla quale al giudice andrebbe comunque garantita la possibilità di verificare in concreto se il reato commesso esuli in modo manifesto dal modello che vale a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ricchezza da parte del condannato, in particolar modo qualora il reato venga commesso in un breve arco temporale e non in forma associata. In sostanza, viene proposta dalla Consulta una lettura orientata della norma, la quale, di contro, viene tradizionalmente interpretata nel senso dell’obbligatorietà della confisca, non lasciando spazio alle verifiche in concreto e caso per caso da parte del giudice. L’art. 12 sexies, secondo tale innovativa interpretazione della Corte costituzionale, non andrebbe più letto come una disposizione che obbliga a confiscare tutti i beni di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività svolta, quanto piuttosto come una norma che obbliga a confiscare il denaro o i beni che costituiscono il profitto del reato. La sproporzione, dunque, non andrebbe interpretata quale presupposto oggettivo della confisca, quanto come un mero indizio sul quale deve reggersi l’accertamento presuntivo circa l’origine illecita dell’arricchimento, cioè un fatto noto da cui desumere il fatto ignoto rappresentato dall’origine del patrimonio, oppure, per utilizzare una terminologia cara al diritto della UE (art. 5, direttiva n. 42/2014), come uno degli “elementi di prova” di cui il giudice può disporre per convincersi che determinati beni provengano da determinate condotte criminose10. Ciò che la Corte evidenzia è che la concezione secondo la quale l’art.12 sexies identificherebbe nella sproporzione patrimoniale un presupposto oggettivo della confisca rischia di tramutare le originali finalità dell’istituto, fino a consentire l’ablazione di beni di origine lecita. La giurisprudenza costituzionale si dirige, quindi, verso il riconoscimento della valenza processuale del concetto di sproporzione e opera una profonda valorizzazione del carattere del reato-spia accertato giudizialmente, che oggi il giudice viene chiamato a vagliare in concreto.
Sullo sfondo delle innovazioni introdotte dal legislatore, è chiaramente percepibile la tendenza verso una progressiva assimilazione tra la confisca “estesa” e il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, disciplinato dal codice antimafia. Alla moltiplicazione delle forme “moderne” di confisca conosciute dal nostro ordinamento dovrebbero, però, accompagnarsi, da un lato, una revisione organica della loro disciplina in un’ottica sistematica, e, dall’altro, una regolamentazione multilivello, che assicuri la circolazione nello spazio giuridico europeo e internazionale delle diverse tipologie di non-conviction based confiscation, in modo da valorizzare le grandi potenzialità che questi strumenti presentano rispetto all’obiettivo di colpire efficacemente la dimensione economica che la criminalità organizzata transnazionale sta sempre più assumendo nell’attuale contesto della globalizzazione.
1 Cfr. per tutti Ferrajoli, L., Crisi della legalità penale e giurisdizione. Una proposta: la riserva di codice , in Legalità e giurisdizione. Le garanzie penali tra incertezze del presente ed ipotesi del futuro, Padova, 2001, 27 ss.; Grosso, C.F., Riserva di codice, diritto penale minimo, carcere come extrema ratio di tutela penale, in Diritto penale minimo, a cura di U. Curi e G. Palombarini, Roma, 2002, 99 ss.; sul tema v., di recente, Papa, M., Dal codice penale «scheumorfico» alle playlist. Considerazioni inattuali sul principio di riserva di codice, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 5.
2 In questo senso Orlando, A., Riserva di codice, un principio che guarda al futuro, in Il Manifesto, 23.7.2017.
3 Si noti, peraltro, che il testo nel nuovo art. 240 bis c.p. non fa più riferimento all’art. 73 d.P.R. 9.10.1990, n. 309, né all’art. 295, co. 2, d.P.R. 23.1.1973, n. 43: infatti il legislatore del 2018 ha preferito inserire un rinvio all’art. 240 bis c.p. direttamente all’interno dei due testi unici, introducendo un nuovo art. 85 bis nel t.u. stupefacenti del 1990 e un nuovo comma 5-bis nell’art. 301 del t.u. in materia doganale del 1973 (Bernardi, S., Il nuovo principio della ‘riserva di codice’ e le modifiche al codice penale: scheda illustrativa, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 4).
4 Cass. pen., S.U., 20.7.2017, n. 48126, in CED rv. n. 260738.
5 Cass. pen., S.U., 19.4.201824.9.2018, n. 40985, Pres. Carcano, est. De Amicis.
6 Cass. pen., 21.9.2017, n. 47062, in CED rv. 271048/271049.
7 Cass. pen., 28.5.2013, n. 27189, in CED rv. n. 255633.
8 Cass. pen., 12.2.2016, n. 45172, in CED rv. 272158.
9 Rapella, G., Le Sezioni Unite riconoscono l’applicabilità della confisca “allargata” in caso di delitto tentato aggravato ai sensi dell’art. 7 L. 203/91, in www.penalecontemporaneo.it, 16.10.2018.
10 Finocchiaro, S., La Corte Costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. Verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 2.