sera
D. utilizza il termine sia come semplice indicazione di tempo (" Lo sol sen va ", soggiunse, " e vien la sera... " di Pg XXVII 61; e cfr. anche XV 4, If XXXIV 105) o di più complesso mutamento cronoastronomico (Fatto avea di là mane e di qua sera, Pd I 43; nella perifrasi con la quale in Pd XXVII 138 D. indica il sole, quel ch'apporta mane e lascia sera; e ancora If XXXIV 118; Fiore CLXV 9), sia per sottolineare poeticamente il senso dell'oscurità incombente: al salir di prima sera / comincian per lo ciel nove parvenze (Pd XIV 70; If XV 18), e quindi, in senso traslato, dell'approssimarsi della morte: Questi non vide mai l'ultima sera (Pg I 58).
In altri esempi la contrapposizione a mane vale continuità di tempo; l'espressione sta dunque per " continuamente ", " sempre ": Il nome del bel fior ch'io sempre invoco / e mane e sera, Pd XXIII 89; XXVII 29; Rime CVI 82; Fiore CLII 6, CXCIV 12.
In un contesto dai nessi più ricercati, tende ad assumere un significato allegorico: E lo cielo di Venere si può comparare a la Reitorica per due proprietadi: l'una... l'altra si è la sua apparenza, or da mane or da sera. E queste due proprietadi sono ne la Rettorica ...e appare da mane, quando dinanzi al viso de l'uditore lo rettorico parla, appare da sera, cioè retro, quando da lettera, per la parte remota, si parla per lo rettorico (Cv II XIII 13-14).