SERBO-CROATI
I Serbi e i Croati, popoli Slavi meridionali, facenti parte della Iugoslavia, hanno in comune, nei limiti che si dirà, la lingua letteraria che, in quanto tale, è detta di solito "serbo-croata". La comunanza della lingua letteraria ha agevolato l'estensione dello stesso termine alla letteratura dei due popoli.
Lingua.
Poiché tanto i Serbi quanto i Croati hanno elevato, nel sec. XIX, a dignità letteraria lo stesso dialetto štocavico, si può parlare di un'unica lingua serbo-croata. Con questa restrizione però: che i Croati sono ricorsi alla variante jecavica dello štocavico, mentre i Serbi hanno dato la preferenza a quella ecavica. Si hanno quindi le seguenti rispondenze: croato bio, bijela, serbo beo, bela, ecc. Oltre a questa differenza fonetica, ve ne sono alcune altre, ancora meno importanti, di ordine sintattico e lessicale. Va rilevato però che il termine "lingua serbo-croata" non è né l'unico, né il più usato. Infatti, quando non si voglia accentuare la comunanza linguistica dei due popoli, si suol parlare di "lingua serba" nei riguardi dei Serbi, di "lingua croata" nei riguardi dei Croati.
Al principio del sec. VI gli Slavi meridionali (odierni Bulgari, Serbo-Croati e Sloveni) dovettero avere un dialetto comune che da quello degli altri Slavi si differenziava per il trattamento dei gruppi di tipo tort, divenuto trat, la generalizzazione di e nel gen. sing. e nom. acc. plur. dei temi in -a, l'alterazione di gvězda in zvězda, la diffusa assimilazione di tl dl in l (questi ultimi due tratti comuni al russo). Nel sec. VII i più orientali di questi Slavi caddero sotto la dominazione dei Bulgari turco-tatari e si separarono così dagli altri Slavi balcanici più occidentali. La differenziazione fra Serbo-Croati e Sloveni cominciò colla loro stabilizzazione nei Balcani e sulle Alpi e dipese dalla mancanza di importanti centri nazionali e dalla soggezione a stati stranieri diversi.
1. Il serbo-croato è suddiviso in due o tre gruppi dialettali, detti convenzionalmente štocavico, čacavico cui si aggiunge da alcuni il kajcavico. Queste denominazioni traggono origine dalla parola che nei varî gruppi si usa per il pronome interrogativo neutro: Che cosa?, rispettivamente što?, ča?, e kaj? Lo štocavico si parla in tutta la Serbia, nella Croazia meridionale, nella Slavonia, nel Banato, nella Bosnia-Erzegovina, nel Montenegro e nella terraferma di Dalmazia. Il čacavico è parlato nelle campagne delle isole del Quarnaro, nelle isole dalmatine, al centro e all'est dell'Istria e lungo la costa croata, donde, all'altezza di Segna, si allarga fino a Karlovac sulla Culpa (Kupa).
Il kajcavico è ora un dialetto intermedio tra lo sloveno e il serbo-croato. I kajcavici cioè si trovavano in origine ad essere una parte dello sloveno o sotto un forte influsso di esso, e si sono appena allontanati da questo centro del loro sviluppo quando il loro territorio cadde sotto il dominio politico del regno di Croazia. Si parla nei distretti di Zagabria, Karlovac, Bjelovar, Križevac e nell'Oltremur.
Lo štocavico si suddivide poi in altri tre gruppi detti ecavico, jecavico ed icavico a seconda della pronunzia attuale con e, je, i dello slavo originario ě. L'ecavico si parla nella maggior parte della Serbia, nella Macedonia e nella Vojvodina (Bačka e Banato); lo jecavico, nel Montenegro, nella Dalmazia meridionale (Ragusa e Bocche di Cattaro; va rilevata però la bilinguità italo-slava della costa orientale dell'Adriatico), nell'Erzegovina e presso gli ortodossi di Croazia, Slavonia e dai musulmani e cattolici nella Bosnia orientale; l'icavico, nella Slavonia, nella Bosnia occidentale da musulmani e cattolici e presso i cattolici della Vojvodina. Ciascuno di questi dialetti conosce poi varietà minori.
2. Alterazioni fonetiche caratteristiche del serbo-croato rispetto allo slavo originario sono: 1. ï, é (vocali nasalizzate) s'alterano in u, e; a. y in i; 3. r vocale da rŭ, rĭ, ŭr, ĭr; 4. u (attraverso l vocale) da lŭ, lĭ, ŭl, ĭl; 5. l finale di sillaba e parzialmente l vocale iniziale in o; 6. dileguo di u, ĭ in posizione debole e loro alterazione in a in posizione forte; 7. dileguo della palatizzazione di š, ì, ô, r′; 8. t′, d′ in c′, ß. Fatti morfologici:1. il numero dei temi dei nomi nella declinazione si è molto ridotto; 2. s'è perduto il duale nei nomi (tranne dopo i numeri1-4) e nei verbi; 3. tre casi del plurale (dat., loc., istr.) hanno la stessa forma; 4. i numerali hanno perduto la flessione, tranne parzialmente fino al n. 4; 5. le forme dell'aggettivo indeterminato vanno sempre più in disuso; 6. del pari in disuso vanno l'imperfetto e l'aoristo nel verbo; 7. dei participî hanno conservato la declinazione aggettivale solo il part. passato passivo e parzialmente quello passato attivo; il partic. pres. passivo è perduto; il part. att. pres. e uno dei partic. att. del passato son conservati solo nella forma gerundiva.
3. Accento e quantità. - Particolare menzione merita l'accento. La lingua letteraria serbo-croata ha quattro specie di accenti: due discendenti, uno breve e uno lungo, e due ascendenti, uno breve e uno lungo. In scritti di carattere scientifico essi si indicano generalmente coi segni: discendente breve: es. bra???t (veramente, il segno usato è un doppio accento grave); ascendente breve: es. sèlo; discendente lungo: es. dâr, krîvda; ascendente lungo: es. rúka. E l'accento è di natura prevalentemente musicale, cioè la sillaba o l'atomo di sillaba accentato sono musicalmente di tono più elevato. Anche le sillabe disaccentate possono essere lunghe; nella lingua letteraria possono essere lunghe fra esse solo le postoniche.
Le condizioni d'accento del čacavico e dello štocavico sono notevolmente diverse: il čacavico, concordando in questo col russo, conserva per lo più l'accento al posto che esso aveva nell'antico slavo; lo štocavico ha invece ritirato sempre di una sillaba l'accento, quando esso non cadeva sulla prima sillaba: es., čac. rukā, russ. rukà, štoc. rúka.
Rispetto alle condizioni accentuative che comparativamente si possono stabilire per il periodo preslavo si osservi:1. l'accento serbo-croato discendente breve può continuare: a) un accento discendente preslavo su vocale breve, es. bőga (slov. bogâ, da bôga con vocale discendente secondariamente allungata); b) un accento preslavo ascendente su vocale preslava lunga, es. čűdo kra???va (russ. koróva); 2. l'accento discendente lungo può continuare: a) un accento discendente su vocale preslava lunga, es. glâvu; b) un accento ascendente su sillaba preslava lunga (štoc. pîšem); c) sostituisce l'accento discendente breve su vocale allungata secondariamente per la perdita di â û, es. bôg (da bőgû, gen. bőga), pêć; 3. gli accenti ascendenti dello štocavico sono tutti secondarî, e cioè dovuti a una recessione dell'accento di parola sulla sillaba precedente, es. sèlo, rúka (russ. seló, ruká); 4. il čacavico: a) non conosce queste recessioni di accento di parola; b) altera in accento ascendente il discendente preserbo-croato, quando la vocale si allunga secondariamente: es. sír, gen. sı???ra, coll'accento breve discendente; o anche ad es. žén gen. pl. (nom. sing. žena???); per analogia, è da ritenere, anche nei neutri plur. con vocale tematica lunga (vinő vína).
4. L'accentuazione delle proclitiche. -1. La proclitica rimane disaccentata se la sillaba iniziale della parola seguente era in origine disaccentata: es. štoc. iz gòre (da gorê); 2. assume un accento discendente, se l'iniziale della parola seguente era discendente, es. ű grad (russ. górod); 3. se la sillaba iniziale era in origine ascendente, solo nello štocavico si ha un accento recessivo ascendente sulla proclitica monosillaba o sull'ultima della bisillaba, es. ù bla???to, mimò blato (blato, russo bolóto, čac. u bla???to, mimo bla???to). Considerando questi fenomeni si può riconoscere.1. che l'accento recessivo dello štocavico è uno sviluppo di una tendenza alla recessione del preserbo-croato rappresentato dai tipi ű grad, nā goru; 2. che nel preserbo-croato si è avuta, per così dire, la recessione di una mora sola, come si vede da čac. őd grada, őd bra???ta (riflettendo che grāda e brāta erano un tempo quasi gráda, braáta; nelle formule bisillabe dovrebbe quindi trattarsi di estensione analogica di schemi sintattici); 3. che, con questa tendenza alla recessione, si deve porre in rapporto anche l'inversione dell'accento ascendente in discendente in čűdo, bra???t, kra???va (russ. koróva) e simili.
5. Per la semplicità e purezza del sistema fonetico (tutto il sistema vocalico antico, composto anche di vocali torbide nasali e palatizzate, si è ridotto alle cinque vocali a, e, i, o, u di timbro puro come in italiano e ad r vocale; la gran massa dei gruppi consonantici è ridotta a consonanti semplici, e pura (cioè senza palatizzazioni e labializzazioni): per la loquela pacata e (date le frequenti lunghe) distesa, per la varietà e musicalità degli accenti, il serbo-croato è un idioma molto dolce e armonioso.
6. Intermedio fra lo sloveno e il serbo-croato è il kajcavico. Il kajcavico è cioè per sua struttura un dialetto sloveno che ha assunto caratteri štocavici per influssi politici e culturali. Della sua originaria struttura ha perduto abbastanza, perché qua e là, e in particolar modo a sud, l'assimilazione agli štocavici è molto progredita, mentre a sud-ovest ha acquistato in territorio, assimilandosi una parte dei čacavici. Dei rapporti con lo sloveno del kajcavica sono testimonio questi fatti ad entrambi comuni: 1. o da ï nasale; 2. l'interrogativo kaj?; 3. rj da r′ davanti a vocale 4. la perifrasi con l'ausiliare bïdï nel futuro; -ov desinenza generale del maschile nel gen. plur. e qualche altro. Ancor più accentuata è la somiglianza tra i dialetti sloveni di Stiria e i vicini kajcavici del nord.
7. Alfabeti. - Il serbo-croato si scrive in due alfabeti; in alfabeto latino e in alfabeto cirillico: il primo è usato dai Croati cattolici e dai maomettani bosniaci, il secondo dai Serbi ortodossi. L'alfabeto cirilliano ora in uso è una delle riforme di Vuk Stefanović Karadžić che adattò la vecchia scrittura cirilliana alle condizioni fonetiche della lingua parlata, tanto che tale scrittura è foneticamente quasi perfetta; anche la scrittura latina seguì tale perfezionamento, assumendo alcuni segni dal moderno alfabeto cèco ed altri modificando o aggiungendo. Gli alfabeti così riformati constano di 30 segni corrispondenti ai trenta sumni della lingua: nell'alfabeto latino sono in uso i digrammi lj, nj, dž, per l′, ń e ǧ: l'uso è comodo per la scrittura né nuoce alla lettura.
Bibl.: Grammatiche pratiche italiane: G. Andrović, Grammatica della lingua croato-serba, Milano 1908; P. Budmani, Grammatica della lingua serbo-croata, Vienna 1867; A. Cronia, Gramm. della lingua serbo-croata, Zara 1922, 2ª ed. Milano 1931; tedesche: V. Petrović, Serbiske Konversationsgramm., Heidelberg 1913; M. Rešetar, Elementar-Grammatik der kroatischen (serbischen) Sprache, 2ª ed., Zagabria 1922 (indica le qualità d'accento; eccellente); T. Maretić, Gramatika i stilistika hrvatskaga ili srpskoga književnog jezika, Zagabria 1899, e 2ª ed. 1931.
Vocabolarî: Parčić, Vocabolario slavo-italiano (cioè serbo-croato italiano), Zara 1874, 3ª ed., 1901; Vuk Stefanović, Karadžić, Sprski rječnik (con la traduz. tedesca e latina, e con l'indicazione degli accenti, 3ª ed., Belgrado 1898); ottimo complemento al voc. di Vuk è Fr. Iveković-I. Broz, Rjećnik hrvatskoga jezika, I, II, Zagabria 1901, con trad. lat. e ted. Tuttora incompiuto il grande dizionario (Rječnik) dell'Accademia iugoslava di Zagabria.
Trattazioni scientifiche della lingua, oltre le grammatiche comparate generali: Leskien, Grammatik der serbo-kroatischen Sprache, parte 1ª, Lautelehre. Stammbildung, Formenlehre, Heidelberg 1914. Ulteriori indicazioni bibliografiche in Leskien, e nell'artic. Sprskohrvatski jezik di A. Belić nella Narodna Enciklopedija sprsko-hrvatsko-slovenacka, IV, p. 392 segg. Per l'Istria alloglotta si veda l'art. di C. Battisti nell'Italia dialettale, XI.
Letteratura.
Una letteratura "serbo-Croata", intesa come un insieme organico delle manifestazioni letterarie dei Serbi e dei Croati, non esiste. Ma, a rigore di termini, non esistono neanche, in luogo di una sola, due letterature, una croata e l'altra serba. Infatti, tanto alla cultura letteraria dei Croati, quanto a quella dei Serbi, manca, sino alla soglia del sec. XIX, quel minimo di tradizione ininterrotta che valga a costituirne delle unità effettive; così, per esempio, la letteratura serba medievale è senza legami con la letteratura serba moderna. A complicare ancora più le condizioni letterarie di questi due popoli sopraggiunge una serie di fatti di cui non può non tenere conto chiunque tenti di tracciarne le varie vicende, sia in senso unitario, sia da un punto di vista dualistico. Ne rileviamo i due principali; la letteratura popolare - e qui s'intende soprattutto quella epica, sia per il suo maggiore valore, sia per il fatto che essa ha maggiormente influito sui poeti serbi e croati - è patrimonio comune e di regola inscindibile, tanto dei Croati, quanto dei Serbi; la letteratura serbo-croata di Ragusa (il termine di letteratura ragusea sarebbe qui improprio, poiché numerosi scrittori di questa, come pure delle altre città adriatiche, sono italiani) è per alcuni studiosi, e sono la maggioranza, croata, per altri invece essa fa parte della letteratura serba; in realtà, più che serba o croata, essa è stata, nella coscienza dei suoi poeti, o limitatamente "ragusea" o genericamente "slava". Ne deriva che una separazione netta tra "serbo"e "croato" è, anche in questo, come in altri campi (p. es., linguistico, etnografico, ecc.), spesso impossibile, e che a trattare separatamente delle due letterature le difficoltà non solo non scompaiono, ma diventano anzi più gravi. Si è preferito quindi, seguendo del resto un uso presso che comune, svolgere l'argomento sotto un unico titolo, facendo per altro nettamente risaltare, nella suddivisione della materia, sia i divarî che, nel tempo e nello spazio, separano regioni e popoli del territorio serbo-croato, sia i vincoli che, com'è il caso della poesia popolare o della letteratura contemporanea, uniscono, dal punto di vista letterario, i Serbi e i Croati.
Medioevo serbo. - Sorta alla fine del sec. XII, e tramontata, anche se non definitivamente, verso la metà del sec. XV, l'antica letteratura serba è legata alle sorti dello stato serbo medievale ed ha soprattutto carattere monastico. Il suo centro principale è fuori della zona serba: nel monastero Chilandari sul Monte Athos. La lingua in cui scrivono gli scrittori serbi di questo periodo non è il "volgare", ma un avvicinamento parziale del paleoslavo al serbo (v. paleoslavo: Letteratura); l'alfabeto di cui si servono è, senza eccezioni, il cirillico, che, come nelle altre terre slavo-ortodosse, resterà l'unica scrittura, legata a tradizioni religiose e nazionali, dei Serbi. Ricca, se considerata dal punto di vista del numero dei manoscritti che si sono conservati, la letteratura medievale serba risulta povera, quando vi si vogliano applicare criterî di originalità o di valore letterario. Di poesia - versioni dal bizantino - non ci sono che pochi e insignificanti tentativi. Fra le opere in prosa prevalgono numericamente traduzioni dal bizantino - spesso adattamenti di quelle antiche bulgare - di opere liturgiche e teologiche, ma per la loro importanza vanno segnalati in prima linea gli scritti biografici. San Sava (1169-1235 o 1236) ne diede il primo esempio Con la breve descrizione della vita monastica di suo padre, Simeone (Život Sv. Simeuna), al secolo Stefano, fondatore della dinastia dei Nemanja. Lo seguirono nel sec. XIII: suo fratello, il re Stefano, che pure narrò (dopo il 1215), la vita di suo padre e predecessore, e i monaci Domenziano e Teodosio, che fra l'altro compilarono ciascuno una Vita di San Sava. Biografie panegiriche di re, santi e dignitarî ecclesiastici non mancano neanche nei secoli seguenti: ne sono autori l'arcivescovo Danilo (intorno al 1340) e i bulgari Gregorio Camblak e Costantino di Kostenec, detto il Filosofo, la cui Vita del despota Stefano Lazarević (scritta intorno al 1431) è tuttora apprezzata anche per il suo valore storico.
Nella letteratura profana vanno segnalati: il Codice di Stefano Dušan (Zakonik Cara Dušana, 1349) che s'ispira anche agli statuti latini delle città dalmate, e diversi rifacimenti di materia romanzesca giunta in Serbia probabilmente dall'Oriente vicino e lontano: così, p. es., le storie di Alessandro Magno e di Barlaam e Giosafat e la vita di Esopo. Verso l'Adriatico invece ci riportano alcuni rifacimenti di romanzi cavallereschi.
Medioevo croato. - Anche i documenti medievali croati hanno, come quelli serbi, per punto di partenza l'attività letteraria di Cirillo e Metodio, con questo di particolare che essi conservano il più antico dei due alfabeti paleoslavi, il glagolitico, e che, per l'adesione dei Croati a Roma anziché a Bisanzio, essi riflettono un più stretto contatto con l'Occidente. La concessione della liturgia slava ad una zona ristretta del territorio croato (soprattutto le sponde dell'Adriatico nord-orientale), il carattere alquanto ermetico dell'alfabeto usato e il predominio, in queste terre, del latino e dell'italiano hanno ostacolato lo sviluppo e la diffusione di questa letteratura glagolitico-croata. Infatti, oltre che essere strettamente regionale, tale letteratura appare limitata anche dal punto di vista dei generi letterarî che vi sono stati coltivati. Vi prevalgono naturalmente opere di carattere liturgico: Messale del principe Novak del 1368; Messale di Hrvoje Vukcić Hrvatinić, del principio del sec. XV, ll cosiddetto Vangelo di Reims. Il contatto con l'Italia vi ha però fatto sorgere anche pregevoli opere giuridiche (Statuto di Vinodol del 1288, Statuto di Verbenico di Veglia del 1388, ecc.) e una ricca messe di traduzioni e rifacimenti di "Visioni" (Visio Tundali), "Moralizzazioni", "Prediche", "Specchi di penitenza" e un Lucidario che però fu tradotto dal cèco a Praga, ove alcuni monaci croati erano stati invitati dall'imperatore Carlo IV.
Alcuni manoscritti glagolitici dei secoli XIV e XV contengono anche versi spirituali (vi ha persino qualche verso profano) composti in volgare, mentre le opere citate appartengono, dal punto di vista linguistico, più al paleoslavo che al croato. E sono appunto questi versi in volgare, una volta certamente più numerosi e più diffusi, che, assieme a qualche rifacimento di Laudarî e di Sacre Rappresentazioni, segnano il legame di questa letteratura con quella che in Dalmazia e a Ragusa sorge intorno alla fine del sec. XV.
Letteratura serbo-croata-dalmato-ragusea. - Le speciali condizioni etnografiche, geografiche e politiche in cui le città dalmate sono venute a trovarsi sul finire del Medioevo - popolazione autoctona di origine latina, con nuovi apporti dall'Italia, soprattutto da Venezia, e dal retroterra slavo; dipendenza politica da Venezia, ad eccezione del piccolo territorio raguseo; contatti pacifici ininterrotti con l'Italia, accanto ad una costante penetrazione commerciale nei Balcani da parte dei Ragusei, e frequenti lotte con i Turchi in difesa della Dalmazia veneziana - hanno creato in esse anche particolarissime condizioni culturali e letterarie.
Mentre sotto la dominazione turca è stata non soltanto preclusa ogni possibilità di sviluppo alla cultura balcanica, ma anzi le terre serbe, e in misura un po' minore quelle croate, sono state ricacciate, sotto molti aspetti, in uno stato premedievale, la Dalmazia costiera partecipa tutta, con tenacia e talento, al Rinascimento italiano. E vi partecipa, prescindendo dalle belle arti, non solo con numerose opere latine e italiane, ma anche creando una nuova letteratura in lingua serbo-croata. Al carattere presso che unitario della cultura dalmata dalla fine del sec. XV alla fine del sec. XVIII corrisponde quindi una letteratura trilingue. Questo trilinguismo non è però generale e riguarda solo la poesia e il dramma. Nelle opere di carattere storico (di storia politica e letteraria), filosofico e scientifico i Dalmati si sono sempre serviti o del latino o dell'italiano. La poesia in lingua serbo-croata - che in Dalmazia non è mai stata lingua ufficiale - vi ha infatti carattere esclusivamente dilettantistico, provinciale, coltivata da amici per amici, da una piccola cerchia per una cerchia non molto più grande. Il che non vuol dire che tale produzione, a parte il suo valore documentario (nei secoli XVI e XVII non vi sono, in lingue slave, che due letterature: la polacca e la serbo-croata di Dalmazia e Ragusa), sia del tutto priva di valore artistico. I poeti dalmati, pur seguendo pedissequamente la letteratura italiana del tempo, erano troppo addestrati alle raffinatezze dello stile poetico italiano del Cinquecento e Seicento, perché le loro versioni, parafrasi e imitazioni non dessero loro occasione di dar prova della propria cultura letteraria e del proprio gusto. Ne è risultata una letteratura di scarsa levatura e spontaneità di canto, ma interessante e istruttiva per la creazione che vi si compie di un nuovo linguaggio poetico, e per le felici trasposizioni in essa e gli industriosi adattamenti di formularî metrici e stilistici. E qua e là, anche in questi scrittori da serra, appare una più intima adesione alla propria vita spirituale, più consapevole anch'essa con l'arricchirsi dei mezzi espressivi, e capace di spaziare, con le sue aspirazioni patriottico-umanitarie (com'è avvenuto nel capolavoro di questa letteratura, l'Osman di Gondola) ben lontano dalla striscia costiera ove è sorta.
Gl'inizî di questa letteratura appartengono agli ultimi decennî del Quattrocento e sono pressoché simultanei nel centro della regione, a Spalato e Lesina, e a Ragusa. Questa città prenderà un deciso sopravvento sulle altre città dalmate solo nella seconda metà del sec. XVI, e anzi i suoi primi poeti serbo-croati dipendono in parte, per ciò che riguarda il loro linguaggio, da una produzione poetica anteriore in dialetto čacavico (v. serbo-croati: Lingua), originaria di una zona più settentrionale. Tra i due gruppi vi ha anche da principio una sensibile differenza quanto ai generi preferiti: mentre a Spalato l'autore di trattati latini Marco Marulo (1450-1524) compone in croato un poema religioso Judita (1501) e a Lesina i due compagni Annibale Lucio (morto nel 1553) e Pietro Hettoreo (1487-1572) si dilettano, il primo a raccontare in forma drammatica le vicende romanzesche di una schiava (Robinja) d'illustre prosapia, il secondo a imitare nel suo Ribanje (Pesca, 1555) l'egloga pescatoria; a Ragusa Sigismondo Menze (1457-1527) e Giorgio Darsa (1461-1501) sono esclusivamente poeti lirici, imitatori, più o meno felici e fedeli, della poesia petrarchesca (il loro modello principale è Serafino Aquilano) e, in misura molto minore, della poesia popolare, italiana e serbo-croata. Ma poi nei dominî veneziani la vena poetica andò rapidamente esaurendosi; nel Cinquecento il territorio zaratino ha ancora un paio di poeti croati (primeggia fra essi Pietro Albioni, detto anche De Albis, in croato Zoranić, nato nel 1508, autore di un'opera pastorale Planine "Montagne", ispirata all'Arcadia del Sannazzaro); la restante Dalmazia non ritroverà invece che a distanza di più di un secolo il gusto del poetare croato - ma sia Pietro Canavelli (1637-1719) curzolano e Girolamo Cavagnini (1640-1174) spalatino sia altri versificatori contemporanei, segnano, con la loro vuota prolissità, un regresso di fronte ai loro predecessori.
A Ragusa invece l'esempio di Darsa e Menze, un'innegabile predilezione per il poetare bilingue e un sempre vigile interessamento per i diversi generi letterarî della letteratura italiana, hanno prodotto nel '500 e '600 non solo una discreta fioritura poetica in lingua serbo-croata, ma anche un ampliamento degli orizzonti letterarî e un irrobustimento della tecnica. Nella sua briosa Jedupka (Zingara, 1527) l'orefice Andrea Čubranović (vissuto tra il 1480 e il 1530) segue con tocco felice i Canti carnascialeschi; il versatile, ma poco esperto, Mauro Vetrani tenta persino, sulle orme della Divina Commedia, un poema allegorico Piligrin (Pellegrino); Marino Darsa (1508-1567) eccelle soprattutto come autore di commedie alla maniera delle farse rusticali senesi, nelle quali piace ancora oggi l'uso spedito del parlare popolaresco e il senso realistico con cui porta sulle scene contadini dei dintorni della sua città natale. Nel campo lirico - la poesia lirica è però coltivata da tutti questi scrittori - i poeti della seconda metà del sec. XVI Domenico Ragnina (morto nel 1607) e Domenico Zlatarić (1558-1609) apportano uno spirito più severo, educato, fra l'altro, alla scuola del Bembo; dello Zlatarić va rilevata anche la traduzione dell'Aminta, pubblicata qualche mese prima dell'originale. L'Aminta servì inoltre da modello al dramma pastorale Dubravka di Gian-Francesco Gondola (1589-1638) che per il suo capolavoro, il poema Osman, s'ispirò alla Gerusalemme Liberata. Ma tanto nel dramma, quanto nel poema, il Gondola sa battere vie proprie: nella forma, nel contenuto e negli ideali cui tende. E non è privo di originalità uno dei migliori lirici ragusei, Giovanni Bona (1594-1658), anche se la grazia dei suoi versi deve non poco alla lirica del Chiabrera. Invece le numerose raffazzonature drammatiche di Giunio Palmotta (1606-1657) testimoniano il rapido declino della poesia serbocroata di Ragusa che neanche la perizia tecnica e la serietà d'intenti di Ignazio Giorgi (1675-1737) ha potuto riportare al livello antico.
La controriforma e la letteratura in Croazia e Slavonia nei secoli XVII e XVIII. - La Riforma che agì potentemente sulla civiltà degli Slavi occidentali e che pose le fondamenta della lingua e della cultura letteraria degli Sloveni, fortemente esposti all'influenza tedesca, non ebbe alcuna fortuna presso i Serbi e scarsa ne è stata la penetrazione in terre croate. I testi della propaganda protestante, stampati a Urach e Tubinga e destinati a tutti gli Slavi meridionali (qualche testo protestante fu stampato successivamente a Nedjeli?šće), ebbero, per breve tempo, buona accoglienza da una parte della nobiltà e del clero croato, ma furono poi sistematicamente perseguitati e distrutti dall'opera tenace della Controriforma e non influirono sul formarsi successivo della letteratura croata in dialetto kajcavico.
La Controriforma, invece, diretta dall'Italia (Collegi "illirici" di Bologna, Loreto e Roma; Congregazione de Propaganda Fide) e affidata a ordini religiosi, fra i quali furono particolarmente attivi i gesuiti e, in Bosnia e Slavonia, i francescani, pose non soltanto salde radici nei territorî croati, ma estese anche la sua attività religiosa e letteraria nelle zone slave dell'Impero Ottomano. Si ebbe, così, nel sec. XVII e nella prima metà del sec. XVIII, una piccola letteratura, senza alcuna pretesa artistica, tutta intenta a istruire e edificare in uno spirito rigidamente cattolico. Si tradussero e parafrasarono opere di S. Roberto Bellarmino, S. Ignazio, S. Pietro Canisio, A. Ledesma, Cristóbal de Vega, J. Polanco ed altri; si compilarono le prime grammatiche (Institutiones linguae illyricae, Roma 1654) e i primi vocabolarî "illirici" (da rilevare che essi sono dovuti a Italiani della Penisola, a J. Micalia, Thesaurus linguae illyricae, Loreto 1649, e a Ardelio Dellabella, Dizionario italiano-latino-illirico, Venezia 1728) e si ebbe persino una prima versione completa della Bibbia che però rimase inedita. Fra i disciplinati collaboratori a quest'opera di propaganda e educazione si distinsero: in Dalmazia B. Cassio (1575-1650), in Bosnia M. Divković (1563-1631), in Croazia J. Habdelić (1609-1678), in Slavonia P. Kanižlić (1700-1777). Per talento e ambizione superò tutti di gran lunga il croato J. Križanić (1618-1683), ma la sua attività farraginosa, di missionario e panslavista, male s'inquadra nella letteratura serbo-croata per la forma ibrida (un miscuglio croato-paleoslavo-russo con ortografia polacca) di cui si servì.
Tra il 1600 e il 1750 le direttive della Controriforma improntarono di sé quasi tutta la produzione letteraria degli Slavi meridionali cattolici. La stessa letteratura ragusea (a Ragusa fu istituita una scuola dei gesuiti nel 1658) ne risentì l'influenza. Soltanto un piccolo gruppo di scrittori croati del sec. XVII appartenenti alla nobiltà ne restò quasi completamente immune: il bano di Croazia Petar Zrinjski (1621-1671) che parafrasò in lingua croata il poema ungherese sull'assedio di Sziget del fratello Nicola (v. zrinyi), suo cognato Fr. K. Frankopan (1643-1671), poeta lirico alla maniera secentesca, e P. Ritter-Vitezović (1652-1713), autore di numerose opere storiche e araldiche in croato e in latino. Ma il loro esempio non ebbe imitatori. Trascurata in tutto il Settecento, la letteratura non si riebbe che verso la fine del secolo, quando cominciarono a penetrarvi il razionalismo e l'illuminismo. Ma, mentre queste nuove correnti non diedero a Zagabria e nei dintorni che frutti tardivi, quando vi si innestò il romanticismo, in Slavonia esse produssero l'interessante figura dello scrittore M. Reljković (1732-1798) che scrisse un'opera in versi Satir (Dresda 1762).
Il rinnovamento della letteratura serba. - Immigrate, verso la fine del sec. XVII, nell'Ungheria meridionale e nella Slavonia orientale, considerevoli masse di Serbi vennero a contatto con la civiltà dell'Occidente. Dapprincipio essi cercarono di conservare, anche nelle nuove terre, e anzi di rinforzare, i rapporti con la Russia, facendo venire di li maestri e sillabarî; ma poi sempre più invalse l'uso di ricorrere a tipografie di Venezia, Buda e Vienna. Anzi le due capitali dello stato asburgico divennero, sul finire del sec. XVIII, i centri principali dell'attività letteraria e culturale dei Serbi. Ciò era dovuto non solo al fatto che Vienna era contraria a qualsiasi legame tra Serbi e Russi, ma anche all'ascendente che su tutti i popoli della monarchia esercitava allora l'illuminismo giuseppino. A Vienna uscì nel 1791 il primo giornale serbo, Serbskija noviny, cui seguirono, un anno dopo, le Slavenoserbskija Vedomosti; e a Giuseppe II, considerato loro salvatore, i Serbi rivolgevano odi e panegirici. Oltre che nell'incremento dato alla produzione letteraria, l'influenza delle nuove correnti si fece sentire anche nella graduale emancipazione della cultura serba dal clero, e nella parallela, anche se più lenta e maggiormente ostacolata, nazionalizzazione della lingua letteraria che per lungo tempo ancora rimase infarcita di elementi slavo-ecclesiastici e, soprattutto, russi. Le tappe successive di questo progresso Culturale e linguistico sono segnate dai tre principali rappresentanti della letteratura serba del sec. XVIII: da J. Rajić (1726-1801), autore della Istoria raznych slavenskich narodov (Storia dei diversi popoli slavi, Vienna 1794-95); dal versatile Zaharija Orfelin (1726-1785) che stampò la maggior parte delle sue numerose opere a Venezia (fra l'altro il primo e unico fascicolo della prima rivista di tutti gli Slavi meridionali, lo Slavenoserbskij Magazin, 1768); infine da Dositeo Obradović (1742 o 1743-1811) che, nutrito delle più svariate letture e girando per il mondo alla ricerca del sapere, riassume e sintetizza i bisogni culturali di un popolo che, dopo secoli d'isolamento, si riaffaccia alla soglia della letteratura. Nel loro sforzo per risalire alla luce, questi modesti costruttori della rinnovata cultura serba ricorsero anche alla letteratura italiana: lo stesso Obradović adattò per i suoi connazionali l'Etica di F. Soave (Etika ili filosofija naravoučitelna po sistemi prof. Soavi, Venezia 1803) e un suo allievo E. Janković (1758-92) tradusse I Mercanti del Goldoni (Tergovci, Lipsia 1787), dando così ai Serbi il primo esempio di una commedia.
Letteratura popolare. - Quelle stesse condizioni politiche e sociali che per molti secoli avevano reso impossibile un ulteriore sviluppo dell'antica letteratura serba e che anche in buona parte del territorio croato avevano ostacolato ogni attività letteraria, furono straordinariamente favorevoli alla fioritura di una letteratura popolare che per la sua ricchezza trascende di molto l'interesse puramente folkloristico che tali letterature di solito presentano, e ci appare oggi come un monumento di assoluta singolarità e di rara potenza poetica. Questa letteratura popolare abbraccia generi diversi: proverbî, favole, racconti, poesie liriche, canti epici; e tutti appalesano un'immaginazione ricca, nutrita di una secolare esperienza di vita, che si esprime in uno stile ora posato e fluente ed ora robusto e incisivo. Ma di questi generi solo i canti epici meritano un rilievo speciale, gli altri invece non offrono, di fronte alle numerose letterature popolari d'Oriente e d'Occidente, nulla di particolarmente notevole.
Quando siano sorti tali canti epici e dove e sotto quale spinta, questo, ad onta di numerose ricerche, non lo sappiamo ancora e forse non lo sapremo mai. C'è ancora chi, per il loro carattere arcaico (ma in molte regioni balcaniche la civiltà ha conservato un'impronta arcaicissima sino al sec. XIX), per la presenza, in essi, anche di temi leggendarî (ma le leggende potevano giungere al popolo anche in epoche più recenti dai numerosi centri monastici), infine per la scoperta di alcune tracce di versi popolari in antichi documenti serbi (ma il verso popolare serbo-croato non ha caratteristiche così spiccate, perché queste tracce non possano essere illusorie), vorrebbe riportarli ben addentro al Medioevo; altri, basandosi soprattutto sulla grande massa di canti che trattano della battaglia di Kosovo e di Marko Kraljević, preferirebhero allacciarne l'origine alla grande catastrofe dello stato serbo e al suo successivo smembrarsi in piccoli stati vassalli che avrebbero favorito la genesi (nei territorî dell'antica Serbia) di una letteratura popolare su basi feudali; altri ancora, sottolineando il fatto che in questi canti sono penetrati anche elementi della poesia epico-cavalleresca d'occidente, pensano che il loro punto di partenza sia da cercarsi nell'Adriatico e che essi non possano, anche tenendo. conto del luogo ove sarebbero sorti, risalire molto oltre il sec. XVI. Comunque sia, certo è che prima del'500 non se ne hanno notizie sicure, ma che a partire da quest'epoca le prove dirette (il poeta Hettoreo inserisce nel suo Ribanje del 1555 due canti popolari) e indirette abbondano e si riferiscono non a una sola, ma a più regioni (del 1531 è una testimonianza sicura per la Bosnia e la Croazia): la poesia epica orale vi era quindi già in pieno sviluppo. Da allora in poi essa influì di tanto in tanto sulla letteratura scritta, finché nel 1756 il dalmata Andrea Kačić (Cacich) Miošić compilò, col titolo di Razgovor ugodni naroda Slovinskoga (Conversazione piacevole del popolo slavo), una specie di cronaca rimata dei Croati e Serbi, attenendosi così fedelmente allo spirito e alle forme dei canti popolari che il popolo, fra il quale egli ebbe la massima popolarità, riprese questi versi e li ricantò come proprî. E schiettamente popolari essi apparvero ad A. Fortis che nel suo Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Ossero (1771) ne tradusse il canto su Obilić e Vuk Branković. Lo stesso Fortis, tre anni dopo, aggiunse al suo Viaggio in Dalmazia la versione della ballata sulla "Moglie di Asanaga" che, tradotta poco dopo (1778) in francese e inserita nei Volkslieder del Herder (nella traduzione di Goethe), ebbe una accoglienza favorevolissima in quasi tutta Europa, generando un vivo interesse per i canti serbo-croati (fratelli Grimm, Johannes Müller, P. Mérimée, C. Nodier, A. Mickiewicz, ecc.).
Particolarmente fecondo fu l'interesse per questi canti da parte dei romantici tedeschi. Al loro impulso è dovuta, in primo luogo, la grande e sistematica raccolta dell'autodidatta erzegovinese Vuk St. Karadžić, iniziata nel 1814. Le seguirono parecchie altre (quella del Tommaseo che ne tradusse una parte nei suoi Canti Illirici; quella ricchissima della Matica Hrvatska, 1896 segg.), fra le quali anche alcune più antiche, ma sino allora rimaste inedite (le piccole raccolte settecentesche dei ragusei G. Betondi e G. Mattei). Il materiale enorme viene diviso di regola in "cicli", fra i quali i più importanti sono quelli di Kosovo (la battaglia del 1389 che segna la fine dell'indipendenza serba), di Marko Kraljević, degli Aiduchi e Uscocchi e delle lotte per la liberazione serba al principio del sec. XIX. Tale divisione ha soprattutto scopi pratici, ma, come lo dimostrano alcune ricerche recenti, essa può tornare utile per lo studio di alcuni importanti problemi di questa epica popolare (determinazione dei centri d'irradiazione, innesto di motivi vaganti su temi storici, ecc.). In quanto al verso i canti si dividono in due gruppi: quelli dal verso lungo (da 13 a 18 sillabe, ove il secondo emistichio ha costantemente otto sillabe) detti bugarštice (da bugariti, originariamente "cantare alla maniera bulgara"?) e quelli dal verso breve (decasillabo, con una cesura dopo la quarta sillaba). Nulla di preciso si sa dell'origine di questi due versi, dei quali soltanto il secondo è ancora vivo, mentre le bugarštice sono scomparse sin dalla fine del sec. XVIII. Ma l'interesse che presentano le poesie a verso lungo è grande, perché in esse si rispecchia (forse per la loro origine, e certamente per la loro localizzazione, limitata soprattutto alle regioni cattoliche) una civiltà meno patriarcale, balcanica e più occidentale. Esse pongono così il problema della distribuzione geografica (e quindi anche culturale) dell'epica serbo-croata (e qui bisognerebbe aggiungere quella bulgara e alcuni aspetti affini dell'epica romena e albanese): problema che finora è stato studiato soprattutto per rapporto al poetare recente (così, p. es., sono stati messi in rilievo i caratteri peculiari, dovuti alla struttura feudale della società in cui vengono cantati, dei canti bosniaci-maomettani, e ci si è soffermati su alcune caratteristiche dell'epica montenegrina, e di quella esaltante le lotte per il risorgimento serbo, ecc.), mentre ricerche più particolari permetteranno forse di trarre illazioni dallo stato attuale (o attuale ai tempi dei raccoglitori) allo stato passato. Negli ultimi decennî (studî di M. Murko e di G. Gesemann) è stata invece messa nel giusto rilievo la figura del cantore-poeta; è stato assodato, per es., che ogni ripetizione di un canto vecchio è, almeno parzialmente, una ricreazione di esso: nei canti nuovi si è constatata una suggestiva e immediata stilizzazione arcaica, per cui avvenimenti contemporanei al poeta e da lui vissuti, quale testimonio personale, vengono subito avvolti, con l'aiuto di provati schemi stilistici e di motivi noti in una suggestiva aura epico-eroica. I cantori ci appaiono, così, come veri aedi, fra i quali alcuni, come Tešan Podrugović e specialmente il cieco Filip Višnjć, vannv senz'altro annoverati fra i più grandi poeti serbi. E non solo nelle poesie create o ricreate da questi due e da alcuni altri i cui nomi ci sono noti, ma anche in numerosi canti rimasti anonimi, rielaborati forse da generazioni di recitatori o "guslari" (l'accompagnamento con le gusle non è elemento essenziale di questi canti: in alcune regioni vi si sostituiscono, p. es., le tambure, e spesso l'accompagnamento manca del tutto), si avverte spesso una grande accuratezza costruttiva, accanto a una singolare maestria nell'uso delle immagini e un'esperta arte rappresentativa e narrativa.
Letteratura croata dal principio del sec. XIX sino alla guerra mondiale. - Le riforme giuseppine, i timidi tentativi di reazione contro le tendenze snazionalizzatrici di Vienna e di Budapest, e l'aspirazione, nutrita dal romanticismo tedesco e cèco (Safarik, Kollár), verso una letteratura popolare e nazionale sono i prodromi principali del risveglio politico e letterario dei Croati nei primi decennî del sec. XIX. Lento e pressoché inavvertito da principio, esso si concretò, quasi improvvisamente, nel movimento "illirico" (v. illirismo) che ebbe nel conte J. Drašković (1770-1856) il suo primo ideatore e in Lj. Gaj (1809-1872) il suo energico e abile organizzatore e realizzatore. Il programma massimo del movimento - l'unione letteraria di tutti gli Slavi meridionali - fallì completamente: i Serbi lo avversarono, i Croati di Dalmazia ne diffidarono e degli Sloveni soltanto S. Vraz vi aderì attivamente; il programma più ristretto invece, che mirava all'emancipazione dei Croati dalla supremazia della borghesia tedeschizzante o magiarizzante e di conseguenza ad una loro autonomia culturale e letteraria, ebbe successi rapidi e concreti: nel 1835 fu fondato il giornale Horvatsko-Slavonsko-Dalmatinske Novine - dal 1836 Ilirske Novine - col supplemento letterario settimanale Danica; nel teatro civico tedesco di Zagabria s'inaugurarono rappresentazioni in lingua croata; nel 1842 fu costituita, sempre a Zagabria, la società editoriale Matica Ilirska e vi iniziò le sue pubblicazioni una nuova rivista letteraria Kolo; contemporaneamente fu riformata dal Gai l'ortografia, e, ciò che ebbe una portata ancora maggiore, il dialetto kaicavico di Croazia fu abbandonato per quello più diffuso štocavico, che la letteratura ragusea, l'opera letteraria della Controriforma e sopra tutto la raccolta dei canti popolari di Vuk avevano indicato quale fondamento più adatto per una lingua letteraria comune ai Serbi e ai Croati (grammatica štocavica di V. Babukić del 1836). Date le finalità del movimento è chiaro che la letteratura, per coloro che vi avevano aderito, dovesse avere un carattere fondamentalmente tendenzioso. Non solo, ma poiché a spingerli verso l'attività letteraria era, nella maggioranza dei casi, la volontà e non l'inclinazione, l'"illirismo" reca una visibile impronta di inesperienza e di artificio. In versi stentati, copiosamente composti in una lingua che non si conosceva a sufficienza, si cantarono l'amore (bisognava conquistare al nuovo ideale le donne) e la patria. Qualche talento tuttavia emerse e maturò: così il sensitivo e delicato S. Vraz (1810-1815); il pensoso P. Preradović (1818-1872) che ha tratti affini col poeta polacco S. Krasiński; il drammaturgo D. Demeter (1811-1872) autore della tragedia storico-patriottica Teuta (1844); così, infine, I. Mažuranić (1814-1890), che nel poemetto Smrt Smail Age Cengijića (La morte di S. A. e., 1846) seppe fondere, con maestria tecnica e spontaneità di canto, i varî modelli cui gli "Illirî" si erano ispirati: l'antica poesia dalmato-ragusea, i canti popolari e le letterature straniere. L'assolutismo di A. Bach stroncò in buona parte gli ardori di questa schiera di poeti-patrioti; alcuni tacquero del tutto, altri (lo storico I. Kukuljević, 1816-1889) trasferirono la loro attività in altri campi. Quelli che succedettero a questi fondatori della moderna letteratura croata erano bensì linguisticamente più esperti (sia per la loro origine, sia per il più forte influsso dei canti popolari: così i due romantici, il dalmata L. Botić, 1830-1863, e il francescano bosniaco G. Martić, 1822-1905) e avevano anche talvolta un concetto più esatto del carattere e delle funzioni della letteratura (così il narratore e drammaturgo M. Bogović, 1816-1893, e l'autore del riuscito romanzo umoristico Pavao Čuturić, J. Jurković, 1827-1889), ma non raggiungevano per talento i loro precursori. Intanto, l'orizzonte culturale rimaneva ristretto e il pubblico era pur sempre limitatissimo. Le condizioni cambiarono dopo il 1860, quando, soprattutto per la mirabile opera di mecenate svolta dal vescovo J. Strossmayer, Zagabria ottenne una serie di importanti istituti (Accademia Iugoslava 1867, Università 1874, Galleria di belle arti 1884) che ne fecero un operoso centro culturale, ove un'attività storico-scientifica (lo storico F. Rački, 1828-1894, lo slavista V. Jagić, 1838-1923) si affiancava alla produzione letteraria. Di questa nuova atmosfera culturale, nella quale il dilettantismo provinciale dei decennî precedenti si andava dileguando, risente molto l'opera epico-drammatica, dall'impronta fin troppo dottrinaria, di F. Marković (1845-1914). Ma essa si avverte anche, seppure molto affievolita, nei molti romanzi e racconti poetici del primo vero letterato croato A. Šenoa (1838-81) che, fra i molti meriti (ben noti i suoi romanzi, quali Diogenes e Zlatarovo zlato, Il tesoro dell'orefice) ha anche quello di avere guadagnato alle lettere croate un pubblico numeroso.
Fino al 1880 questa letteratura ha un'impronta prevalentemente romantica e vi è sensibile il predominio di influenze tedesche; nel penultimo decennio del secolo penetrano però anche fra i Croati correnti realistiche e naturalistiche non solo dalla Francia e dall'Italia (i romanzieri E. Kumičić, 1850-1904; V. Novak, 1859-1905), ma anche dalla Russia, sia pure di regola per il tramite tedesco (Ks. S. Gjalski, 1854, J. Kozarac, 1858-1906), agevolando, così, la trattazione in forma narrativa di problemi politici (il cosiddetto "partito del diritto" cioè del diritto nazionale croato, si fa promotore di una visione realistica della vita) e sociali. Il che non toglie che, sui soliti due motivi predominanti - della patria e dell'amore -, si continuino a sciorinare versi lirici, nei quali soltanto una certa spregiudicatezza nella scelta del frasario sta a indicare i tempi nuovi. Una profonda umanità, un intenso sentimento dell'arte liberarono invece presto da ogni impaccio di contenuto e forma le suggestive meditazioni liriche di S.S. Kraničević (1865-1908).
Verso la fine del secolo anche la Dalmazia, fino allora rimasta piuttosto appartata, cominciò a partecipare, con giovanile freschezza e alacrità, ma anche con una congenita esperienza d'arte, alla letteratura croata. Non solo, ma con i nuovi elementi di poesia che vi apportano - e sono, com'è naturale, elementi latini e italiani - con un più disciplinato senso della poesia (che aveva caratterizzato già prima i poeti Mažuranić e Kranjčević, ambedue oriundi dal litorale al sud di Fiume) e con la loro fantasia più ricca e più duttile, i Dalmati si mettono subito all'avanguardia della poesia croata e ne agevolano il passaggio da un realismo a tendenza, che non vi si era mai saldamente ancorato, ad una concezione d'arte più classica, più universale e più moderna. Il raguseo I. Vojnović (1857-1929) rinnovò il teatro croato con un'arte tutta sfumature e di una gamma ricchissima che va dal tocco più delicato al più sgargiante colorito, mentre i tre poeti A. Tresić-Pavičić (1867), V. Nazor (1876) e M. Nikolić (1878) ne arricchirono la lirica, risentendo, specie i due primi, l'influsso del Carducci e del D'Annunzio, con nuovi esperimenti metrici e con una inconsueta e di regola efficace sostenutezza di stile. Più genericamente "occidentale" è il versatile M. Begović (1876) le cui liriche smaliziate e i cui drammi sapientemente costruiti rivelano una sicura padronanza dei mezzi artistici. Un po' a parte, perché rimasti fuori dell'orbita della letteratura italiana, stanno D. Šimunović (1873), le cui novelle si distinguono per fine penetrazione psicologica, e J. Kosor (1878) nei cui drammi robusti si avverte l'eco dell'espressionismo tedesco.
Nello stesso tempo anche Zagabria, ma più sotto l'influenza dei Tedeschi e dei Francesi (il giornalista e letterato A. Matoš 1873-1917; il poeta immaginoso V. Vidrić, 1875-1909; l'autore drammatico M. Ogrizović, 1876), ingaggia la lotta per l'emancipazione della poesia dalle ingombranti tendenziosità delle generazioni precedenti.
Ma il culto della libertà d'espressione generò, tanto in alcuni di essi quanto in qualcuno dei loro compagni dalmati, una superficialità e vuotezza che fu sentita dai giovani, i quali, anche sotto la spinta delle guerre balcaniche, reclamarono una poesia più austera, che li ricondusse automaticamente al nazionalismo e persino a un regionalismo non più folkloristico, ma aderente alla nuova realtà. Su questo cammino essi ebbero per guida e maestro V. Nazor.
Letteratura serba dagli inizî del sec. XIX fino alla guerra mondiale. Anche per i Serbi il principio del sec. XIX fu l'alba di un intenso rinnovamento culturale. Fra essi, anzi, questo rinnovamento fu più rapido e radicale, perché più basso era stato il livello culturale dal quale esso si era iniziato. L'attività di Dositeo e dei suoi compagni era coincisa con i primi sforzi dei Serbi per liberarsi dal dominio turco, sicché i frutti di essa poterono estendersi anche alla Serbia: fra il 1815 e il 1830 sorsero scuole e istituzioni culturali di qua e di là del Danubio. Nel campo letterario il progresso si compì su due linee per lungo tempo indipendenti e spesso divergenti. La prima è rappresentata da numerosi scrittori oriundi, come Dositeo, dei territorî serbi soggetti alla monarchia austro-ungarica: nella loro attività predominano traduzioni, rifacimenti e imitazioni dal tedesco; nell'altra appare per alcuni decenni unicamente la grande figura di Vuk Karadžić: che non fu né traduttore (la sua versione della Bibbia ha carattere e scopo del tutto speciali) né creatore originale, ma raccoglitore, in tutte le sue manifestazioni, della letteratura del popolo, che egli illustrò e sorresse con grammatiche, dizionarî e con la riforma dell'ortografia cirillica. I primi continuarono le correnti illuministiche, con qualche predilezione per il genere sentimentale, romanzesco, e per un classicismo di sapore prettamente scolastico (frutto dello studio del latino e del greco, nonché di diligenti letture di Klopstock sono, per esempio, le odi del vescovo L. Mušicki, 1777-1837); Vuk invece seguì i precetti del romanticismo e alla lingua ibrida - arcaizzante e russizzante - dei suoi avversarî, oppose il parlare del popolo, in tutta la sua purezza. Nell'antagonismo, che durò a lungo, vinse Vuk: prima presso i giovani, fra i quali il filologo D. Daničić (1825-1882) propugnò strenuamente le sue idee dal punto di vista scientifico, mentre B. Radičević (1824-1853) ne dimostrò l'applicabilità nella poesia con la sua opera che, portata dall'onda leggiera della lingua e del verso popolare, è tutta brio e freschezza; poi, anche nelle sfere ufficiali, che nel 1868 furono costrette ad accettarne anche la riforma ortografica, contro la quale l'opposizione era stata accanitissima. La vittoria di Vuk ebbe un'importanza tanto maggiore, in quanto che il dialetto štocavico da lui promosso fu adottato anche dai Croati, agevolando così un avvicinamento fra le due letterature. Il significato che essa ebbe ancora ai suoi tempi presso i Serbi appare dal fatto che l'opera di J. St. Popović (1806-1856), fondatore del dramma serbo, osservatore acuto della realtà, fu per lungo tempo avversata dalla critica e dal pubblico, perché contraria, spiritualmente e formalmente, alle riforme di Vuk. Contrario al romanticismo fu anche S. Milutinović-Sarajlija (1791-1847), nel quale l'attaccamento al classicismo tedesco, mal conciliabile col suo temperamento e con la fonte principale cui attingeva - i canti popolari -, intorbidò i canti glorificanti le lotte per la liberazione serba. Allo spirito di questi canti rimase più vicino, pur battendo vie proprie, il suo allievo, il principe montenegrino P. Petrović Niegoš (1813-1851), che per profondità di pensiero e elementare forza di espressione ci appare oggi come la figura più interessante della letteratura dei Serbi e dei Croati, il più perfetto rappresentante di una civiltà eroico-patriarcale, le cui concezioni etiche e sociali trovano nel suo capolavoro, Gorski Vijenac (1847), una trasfigurazione poetica di singolare potenza. Accanto alla rude grandezza di Niegoš passano in seconda linea il dolce poetare romanticheggiante del fecondo Zmai Jovan Jovanović (1833-1904), lo scapigliato lirismo di D. Jakšić (1832-1878) e la torbida irrequietezza di L. Kostić (1841-1910) che ha speciali meriti come traduttore di Shakespeare. Tutti questi poeti provengono dal Banato o dalla Bačka, allora centro della cultura serba, tutti hanno come modelli principali poeti tedeschi (Heine) e ungheresi (Petőfi), e tutti sono più o meno legati al movimento democratico-nazionalista dell'Omladina (Gioventù, 1866-1872), che fra l'altro, diffondeva tra i Serbi il culto di Mazzini e di Garibaldi.
Contro il romanticismo insorse il battagliero S. Marković (1846-1875), allievo del russo Černyševskij, propugnatore del socialismo nella politica e del realismo nella letteratura. E, infatti, un po' sotto la sua influenza, ma più ancora per il fatto che la Serbia, ottenuta la propria indipendenza politica, poté rivolgere, prima della Croazia, il suo sguardo ai problemi sociali, il realismo vi attecchi già intorno al 1870 (romanzi di J. Ignjatović, 1824-1888), senza però giungere ad una visione totalitaria dei diversi problemi che poneva la vita serba e limitandosi a rappresentarne, per lo più in brevi racconti, singoli aspetti: ora con un interessamento prevalentemente folkloristico (Stj. Liubiša, 1824-1878; J. Veselinović, 1862-1905), ora con una più intima, e artisticamente più efficace, adesione agli argomenti trattati (il miglior novelliere serbo, L. Lazarević, 1853-1890; Sv. Čorović, 1875-1919) e ora infine anche con felici spunti umoristici o satirici (S. Matavulj, 1852-1908; St. Sremac, 1855-1906; P. Kočić, 1877-1916). Ma il temperamento di quasi tutti questi narratori, che risentono soprattutto l'influsso del racconto russo e francese ma talvolta anche (come è il caso dei Dalmati Ljubiša e Matavuli) di quello italiano, è soprattutto sentimentale, sicché il loro realismo è di regola incrinato di residui romantici. Gli unici che abbiano raggiunto nell'arte un' espressione immediata, senza diaframmi di tendenze e scuole, sono: B. Stanković (1876-1927), il cui romanzo Nečista krv (Sangue impuro, 1911), tutto fremiti di passione, rivela quel groviglio di razze e tradizioni che si è incrociato nella Serbia meridionale; e M. Uskoković (1884-1918), raccolto osservatore del tragico problema degli intellettuali del suo tempo.
Nella poesia il distacco tra quelli che erano maturati intorno al 1860 e quelli che emersero negli ultimi vent'anni del sec. XIX fu ancora minore. Anche in V. Ilić (1862-1894) e più ancora in A. Šantić (1868-1924) la poesia ebbe pur sempre quel carattere familiare e provinciale, così caro ai poeti della Omladina. Si perfezionò il verso, ci si emancipò parzialmente dal dominio un po' tirannico dei canti popolari, si ebbero anche momenti felici di suggestiva intimità lirica, ma i motivi poetici rimasero su per giù gli stessi e dietro ai versificatori serbi continuò a profilarsi la figura di Heine. Come liberazione e rivelazione furono perciò salutate le poesie di tipo parnassiano, tecnicamente impeccabili, ambiziosamente occidentali, e qua e là anche permeate di un insinuante sentimentalismo, di J. Dučić (1874), nonché quelle meno brillanti, ma pur sempre improntate a dignitosa modernità di pensiero e di espressione, di M. Rakić (1874). Piuttosto appartati e incompresi, perché meno appariscentemente moderni, rimasero, al principio della loro carriera poetica, S. Pandurović (1883), la cui poesia è in Serbia l'espressione più riuscita del disagio morale della generazione dell'anteguerra, e Sv. Stefanović (1877) col suo intimo senso di solidarietà umana. Tutt'e due, ma specialmente Stefanović, traduttore di Shakespeare e studioso di letteratura inglese, sono molto meno vicini alla letteratura francese di quanto non lo sia il gruppo Dučić-Rakić. Tuttavia, tra il 1900 e il 1914, la moda letteraria viene soprattutto dalla Francia. Alla Francia deve molto, pur preferendo trattare argomenti di vita belgradese, il fecondo e scaltrito commediografo Br. Nušić (1864), che è da quasi mezzo secolo l'incontrastato corifeo del teatro serbo; e alla Francia debbono il loro metodo i critici letterarî B. Popović (1864) e J. Skerlić (1877-1914).
Letteratura serbocroata del dopoguerra. - La separazione politica, la diversità delle tradizioni e la duplicità dell'alfabeto erano, fino alla guerra mondiale, altrettanti fattori che tenevano distanziate le due letterature, la serba e la croata. Non vi mancavano certo tendenze e forze che agivano in senso unitario, ma un'unione effettiva incontrava sempre ostacoli insuperabili; non solo nella coscienza degli scrittori stessi, ma anche nella scarsa conoscenza che il pubblico croato aveva della letteratura serba, e nella quasi completa ignoranza che il pubblico serbo aveva di quella croata. Un sensibile avvicinamento delle due letterature è avvenuto nel dopoguerra: a molte istituzioni culturali collaborano indistintamente Serbi e Croati; riviste a carattere esclusivo sono diventate rare e ve n'è qualcuna che accoglie articoli nei due alfabeti, la cui conoscenza è oramai diffusissima; parecchi scrittori croati vivono a Belgrado e qualche serbo a Zagabria, contribuendo così, anche inavvertitamente, alla fusione letteraria dei due popoli. Ma questa fusione è lungi dall'essere completa: parecchi scrittori (Nušić, Dučić, Begović, Nazor, Stefanović, Kosor, Pandurović, ecc.), che si erano affermati già nell'anteguerra, continuano a partecipare attivamente alla vita letteraria conservando, più o meno, le direttive fissate prima del 1914; più importante ancora è il fatto che la letteratura riflette l'avvicendarsi della maggiore o minore forza coesiva nel campo politico.
La grande varietà di nuove tendenze letterarie (futurismo, espressionismo, surrealismo, ecc.), che propagandosi dall'est e dall'ovest raggiungono rapidamente la Iugoslavia, e quel forte disorientamento spirituale che ha accompagnato l'unificazione politica dei Serbi e dei Croati, rendono difficile una sintetica caratterizzazione della letteratura contemporanea serbo-croata. Tuttavia, a darle una fisionomia propria, specie nei riguardi del passato, contribuiscono alcuni suoi caratteri più o meno comuni: l'assenza della nota patriottica che presso alcuni giunge sino ad affermazioni recisamente antipatriottiche (la poesia nazionalistica di M. Bojić, 1892-1917, aveva già durante la guerra un sapore anacronistico); un forte egocentrismo promosso da una più approfondita analisi del proprio io, e di questa a sua volta promotore; un caos formale che va da una esagerata e corrosiva ricercatezza di espressioni inconsuete sino alla negazione e dissoluzione di ogni forma; infine una sprovincializzazione che talvolta è tanto più radicale e profonda, quanto più autoctona è l'ispirazione artistica e più regionale è la materia che poeticamente si riplasma.
Il posto predominante in questa letteratura di incertezze e di ricerche è occupato dalla poesia lirica: da quella pensosa, densa, personalissima di T. Ujević (1891) e quella latinamente serena di S. Miličić (1886) - tutt'e due sono dalmati - agli accenti di un individualismo intimo di G. Krklec (1899) e di una fin troppo ostentata spregiudicatezza di M. Crnjanski (1893). Nel genere narrativo predomina di nuovo il breve racconto, ma in questo, tanto V. Petrović (1884), psicologo acuto e penetrante, quanto I. Andrić (1891) col suo stile incisivo e plastico e il suo sagace talento di osservatore, hanno compiuto, di fronte ai proprî precursori, un progresso sensibile. Da segnalare, nel romanzo, B. Mašić.
Nel dramma prevalgono tuttora gli anziani, fra i quali si potrebbe annoverare anche il dalmata B. Lovrić (1881) sperimentatore di vie nuove, ove naturalismo e simbolismo sembrano fondersi. La più forte e più complessa personalità del dopoguerra è però indubbiamente M. Krleža (1893) che in tutti i campi tentati - poesia lirica, dramma, racconto, critica politica, sociale e letteraria - ha lasciato l'impronta del suo genio turbolento, patetico, distruttivo.
Bibl.: S. Ljubić, Ogledalo književne povjeisti jugoslavjanske (Specchio della storia lett. iugoslava), voll. 2, Fiume 1864-69. - Opere di carattere generale: M. Murko, Geschichte der älteren südslavischen Litteraturen, Lipsia 1909; S. Surmin, Povijest knjižvenosti hrvatske i srpske (Storia della lett. croata e serba), Zagabria 1908; P. Popović, Pregled književnosti srpske (Rassegna della lett. serba), Belgrado 1909 (varie ediz.); A. Gavrilović, Istorija sprske hirvatske književnosti, voll. 2, ivi 1910; B. Vodnik, Povijest hrvatske književnosti, Zagabria 1913; D. Bogdanović, Pregled književnosti hrvatske i srpske, voll. 2, ivi 195-1916; D. Prohaska, Pregled savremene hrvatsko-sprske književnosti (Rassegna della lett. contemporanea croato-serba), ivi 1921; Fr. Wollman, Srbochorvatské drama (Il teatro serbocroato), Bratislava 1924; J. Matl, Die Hauptströmungen in der modernen südslavischen Literatur, in Jahrbücher für Geschichte und Kultur der Slaven, 1925; A. Cronia, Appunti di letteratura serbo-croata, in La cultura, Roma 1924-27; G. Gesemann, De serbo-kroatische Literatur, in Handbuch d. Literaturwissenschaft di O. Walzel, Potsdam 1930; P. Popović, La littérature yougoslave. Vue générale, in Le Monde Slave, VII (1930); A. Barac, Srpsko-hrvatska književnost, in Narodna enciklopedija sprsko-hrvatska-slovenačka.
Per i singoli capitoli: M. Medini, Povijest hrvatske književnosti u. Dalmaciji i Dubrovniku (Storia della lett. croata in Dalmazia e Ragusa), Zagabria 1902; J. Torbarina, Italian influence on the poets of the Ragusan republic, Londra 1931; A. Cronia, I principali apprezzamenti dell'antica letteratura slava di Ragusa, in L'Europa Orientale, XIII (1933), pp. 586-615; M. Deanović, Les influences italiennes sur l'ancienne litérature yougoslave du littoral adriatique, in Rev. litt. comparée, 1934; M. Murko, Die Bedeutung der Reformation und Gegenreformation für das geistige Leben der Südlsaven, Praga e Heidelberg 1927; J. Skerlić, Srpska književnost u XVIII veku (Lett. serba nel sec. XVIII), Belgrado 1909; T. Maretić, Naša narodna epika (La nostra poesia epica nazionale), Zagabria 1909; S. Gesemann, Studien zur südlsavischen Volksepik, Reichenberg 1926; M. Murko, La poésie populaire épique en Yougoslavie au début du XXe siècle, Parigi 1929; Dr. Subotić, Yugoslave Popular Ballads: Their origin and development, Cambridge 1932; A. Vaillant, Les chants épiques des Slaves du Sud, in Revue des Cours et Conférences, 1932; N. Kravcov, intr. a Serbskij Epos. Perevody, a cura di N. Berg, N. Gakovskij e N. Kravcov, Leningrado 1933; N. Banašević, Ciklus M. Kraljevića i odjeci francusko-taljianske viteške knjizevnosti (Il ciclo di M. Kr. e i riflessi della lett. cavalleresca franco-italiana), Skoplje 1935; H. Wendel, Aus dem südlsavischen Risorgimento, Gotha 1921; B. Unbegaun, Les débuts de la langue littéraire chez les Serbes, Parigi 1935; J. Skerlić, Omladina i njena književnost, 1848-1871 (L'"Omladina" e la sua letteratura), Belgrado 1925, 2ª ed.; id., Istorija nove srpske književnosti (Storia della mod. lett. serba), ivi 1914.
Antologie: M. Rešetar, Antologija dubrovačke lirike (Ant. della lir. ragusea), Belgrado 1894; B. Popović, Antologija novije sprske lirike (Ant. della lir. serba moderna), Zagabria 1911; A. Cronia, Antologia serbo-croata, Milano 1932 (testi originali con commentarî e con profili di scrittori); M. e J. Ibrovac, Anthologie des poètes yougoslaves, Parigi 1935.