SERENO
– Nacque in data imprecisata, nella seconda metà del VII secolo; nulla ci consta della famiglia da cui proveniva.
Sappiamo infatti da Paolo Diacono che, morto il patriarca Pietro (intorno al 715), prese il governo della chiesa di Aquileia Sereno, «vir simplicitae praeditus et ad Christi servitium pronus» («uomo pieno di semplicità e tutto intento al servizio di Cristo»: Pauli Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, 1878, VI 33). L’elogio, piuttosto generico e comune, lascia intendere che Paolo Diacono non abbia avuto sotto mano alcun documento sulla biografia di Sereno. Tuttavia l’inizio del suo governo al 715 resta confermato dal fatto che a inviargli il pallio metropolitico fu Gregorio II, eletto papa il 1° maggio di quell’anno, come apprendiamo da una lettera che lo stesso papa gli inviò il 1° dicembre 723 (Epistolae Longobardicae collectae, a cura di W. Gundlach, 1892, p. 699), dalla quale si ricavano per lo più i dati – non numerosi – sulla sua figura.
Nella lettera il pontefice gli comunicava l’invio del pallio «pallium tibi direximus interdicentes et inter cetera prohibentes ne unquam aliena iura invaderes, aut temeritatis ausu usurpares iurisdictionem cuiusquam, sed his esses contentus, quae usque hactenus possedisti» («vietandoti, fra l’altro, di invadere in alcun modo i diritti altrui e di usurpare temerariamente la giurisdizione di altri e imponendoti di rimanere contento di quanto fin qui possedevi»). Dopo queste ingiunzioni, il papa spiegava il motivo del suo intervento: «Gradensis presulis niteris pervadere iura atque ex his quae possedit nunc usque usurpare» («Ora siamo venuti a sapere che intendi invadere i diritti del presule di Grado e usurpare quant’egli ha sin qui posseduto»).
Nel seguito della lettera Sereno era diffidato dal toccare i possessi altrui e dal sorpassare «in finibus [...] gentis Longobardorum» («i confini della gente longobarda») per estendere la sua giurisdizione a tutta l’antica provincia ecclesiastica sotto pena di incorrere nei rigori dell’autorità pontificia. Del resto lo stesso giorno il papa, con un’altra lettera, riferiva a Donato patriarca di Grado, al doge di Venezia Marcello e ai vescovi della Venetia et Histria quanto aveva scritto a Sereno, proibendogli di invadere il territorio del patriarcato gradese (Epistolae Longobardicae..., cit., III, pp. 699 s.).
Nella regione dell’Alto Adriatico, l’occupazione longobarda (568) aveva costretto molti vescovi di terraferma a trovare riparo in laguna sotto il dominio di Bisanzio, come avevano fatto il metropolita di Aquileia Elia e i successori profughi a Grado. Sul versante ecclesiastico, la condanna dei Tre Capitoli (Teodoro, Teodoreto e Iba), voluta da Giustiniano per dare soddisfazione ai monofisiti e ratificata da papa Vigilio dopo il Concilio Costantinopolitano II riconosciuto per ecumenico V (553), aveva provocato lo scisma aquileiese, che ebbe profondi riflessi sulle vicende religiose e politiche dell’Italia durante i secoli VI e VII, anche per i contatti che ben presto si stabilirono fra gli interessi della corte longobarda e quelli dei cattolici di fede tricapitolina nella parte settentrionale del regno.
Nel 607 l’esarca Smaragdo impose a Grado un candidato favorevole a Roma, Candidiano, ma i dissidenti elessero un altro patriarca scismatico, Giovanni, sottraendo a Candidiano le diocesi longobarde della Venezia continentale con il concorso del re Agilulfo e del duca del Friuli Gisulfo II forse per il miraggio di una chiesa separatista. Con amarezza Paolo Diacono annotava: «Ex illo tempore coeperunt duo esse patriarchae» (Pauli Historia Langobardorum, cit., 33).
La separazione da Roma perdurò per tutto il VII secolo; il lealismo verso l’Impero era ormai sostituito dalla piena accettazione dello stato di sudditanza verso il sovrano longobardo di Pavia, che, sebbene barbaro e ariano, si mostrava tollerante e promotore di quella che gli scismatici si ostinavano a credere la vera fides. Solo la parte bizantina della provincia con sede metropolitica a Grado era ritornata all’unità della chiesa e si era mantenuta in comunione con il papa, fino all’elezione del perfidus Fortunato (627), che aveva riaperto la ferita, subito però sanata anche per il tempestivo intervento di papa Onorio I (Epistolae Longobardicae..., cit., pp. 695 s.). Intanto la monarchia longobarda, abbandonato ogni residuo di arianesimo e integratasi nel cattolicesimo romano soprattutto a opera di Teodolinda e della dinastia ‘bavarese’, mirava al termine della lunga controversia religiosa. Ora, sotto il segno qui intangibile di Calcedonia, potevano ottenere piena fiducia gli inviati di Roma, e di Pavia. Tra i missionari, spiccava infatti la figura di san Damiano vescovo della capitale longobarda, a cui il ritmo acrostico di 95 versi sul Concilio ticinese del 698 (Carmen de Synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, 1878, pp. 189-191) e le notizie di Paolo Diacono accostano la figura del diacono Tommaso, attivo e accorto collaboratore per la composizione dello scisma della ‘cieca Aquileia’ (G.B. de Rossi, Inscriptiones Christianae Urbis Romae, II, Roma 1888, p. 171, n. 29). L’assemblea sinodale si chiuse con l’elezione dei rappresentanti da inviare a Roma per confermare a papa Sergio le dichiarazioni fatte a Pavia. Così fu composto lo scisma aquileiese fondato sull’ostinazione e sul malinteso senza che ci sia rimasta memoria di alcun documento relativo alle giurisdizioni spirituali dei due patriarchi.
In questo nuovo contesto di fine VII-inizio VIII secolo trovò riconoscimento la divisione della chiesa aquileiese fra i due titolari, come pure la dignità patriarcale da entrambi rivendicata, e qui si inserisce la figura di Sereno, cui (come si accennava all’inizio) Gregorio II, assecondando le preghiere del re Liutprando, inviò il pallio, ingiungendogli però di non invadere in alcun modo i diritti del presule di Grado.
L’estinzione dello scisma non riportò peraltro all’unità l’antica provincia ecclesiastica di Aquileia, la cui insanabile divisione fu ritagliata sui confini delle nuove realtà territoriali e politiche.
Va aggiunto che le tracce delle intenzioni aggressive di Sereno a danno di Grado di cui aveva avuto sentore papa Gregorio II emergono anche dagli atti del Concilio di Mantova (827), ove si discusse della giurisdizione metropolitica dei due patriarchi di Aquileia residenti rispettivamente in Friuli e sull’isola lagunare (Concilium Mantuanum, a cura di A. Werminghoff, II, 1908, pp. 583-589, in partic. p. 588). Sono notizie che inducono a ridimensionare l’elogio buonista di Sereno trasmesso da Paolo Diacono.
Fonti e Bibl.: Pauli Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 12-187; Carmen de Synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann, ibid., pp. 189-191; Epistolae Longobardicae collectae, a cura di W. Gundlach, in MGH, Epistolae Merovingici et Karolini aevi, Berolini 1892, ep. 3, pp. 695 s., epp. 8-9, pp. 699 s.; Concilium Mantuanum, a cura di A. Werminghoff, in MGH, Concilia aevi Karolini (742-842), II, 2, Hannoverae-Lipsiae 1908, pp. 583-589.
B.M. de Rubeis, Monumenta ecclesiae Aquileiensis, Argentinae 1740, pp. 311-318; P. Paschini, Storia del Friuli, I, Udine 1934, pp. 128 s.; G.P. Bognetti, L’età longobarda, II, Milano 1966, passim; G. Cuscito, Cristianesimo antico ad Aquileia e in Istria, Trieste 1977, pp. 289-312; Id., Fede e politica ad Aquileia. Dibattito teologico e centri di potere (secoli IV-VI), Udine 1987, pp. 95-133.