PARADZANOV, Sergej Iosifovic
Paradžanov, Sergej Iosifovič (forma russa di Paradjanian, Sarkis)
Regista armeno, nato a Tbilisi (Georgia) il 9 gennaio 1924 e morto a Erevan (Armenia) il 20 luglio 1990. Figura assolutamente originale nel panorama della produzione sovietica, nonostante il boicottaggio sistematico a cui la sua opera è stata sottoposta dagli organi ufficiali, P. è riuscito a sviluppare una personalissima proposta di un cinema poetico, direttamente ispirato alle forme espressive della pittura e della poesia, in una costante e rigorosa verifica dei limiti stessi del linguaggio cinematografico.Interessatosi inizialmente alla musica, dal 1942 al 1945 studiò canto al Conservatorio di Tbilisi. Nel 1945 si trasferì a Mosca dove si iscrisse al VGIK, studiando regia con Igor′ A. Savčenko fino al 1951 insieme ad Aleksandr Alov e Vladimir N. Naumov. Dopo essere stato assistente di Savčenko e dopo l'esordio cinematografico con Andrieš (1955, coregia di Jakov Bazeljan), si trasferì a Kiev, presso gli studi Dovženko. Qui iniziò a lavorare realizzando cinque film in linea con le direttive estetico-politiche di quegli anni (come Pervyj paren′, 1959, Il primo giovanotto e Ukrainskaja rapsodija, 1961, Rapsodia ucraina) e in cui solo a tratti emergono tracce di una personalità registica, per es. in Cvetok na kamne (1962; Il fiore sulla pietra) nel quale le tematiche del lavoro collettivo in un centro minerario e della condanna del settarismo religioso non nascondono completamente la fascinazione esercitata dalla potenza arcaica della terra e dal passato che resiste alla modernizzazione. Ma sarebbe stato con Teni zabytych predkov (1965, L'ombra degli avi dimenticati), realizzato per commemorare lo scrittore ucraino M.M. Kocjubinskij, che P. avrebbe cambiato decisamente rotta, dirigendo un film assai personale, tutto incentrato sulla vita e sulle tradizioni di una comunità dei Carpazi (sul cui sfondo si svolge la vicenda) e usando la macchina da presa per esaltare con estrema originalità la valenza pittorica e vitale degli ambienti e dei costumi, delle cerimonie e delle processioni.Già nei cortometraggi successivi, Hagop Hovnathanian (1965) e Kievskie freski (1966, Gli affreschi di Kiev), P. abbandona i veloci movimenti di macchina a favore di un cinema fatto di quadri in cui il movimento è dato dall'occhio dello spettatore che corre da un elemento cromatico all'altro, da una forma all'altra. Nel primo, ispirato alla tradizione culturale armena presente a Tbilisi che rivive nelle opere del pittore H. Hovnathanian (vissuto nella seconda metà dell'Ottocento), P. entra cinematograficamente nel mondo pittorico, quasi a voler mettere in scena il quadro e contemporaneamente il mondo che lo ha prodotto; nel secondo, le opere della cattedrale di Kiev sembrano aprirsi e muoversi di fronte allo sguardo della macchina da presa. P. sviluppò ancora tale tendenza in Sajat nova (1969, noto anche come Cvet granata, titolo con cui uscì nel 1971 in versione rimaneggiata; Il colore del melograno), ispirato alla vita del poeta e monaco armeno del 18° sec. Aruthin Sajadin, detto appunto 'Sajat nova' (Re del canto). Qui ogni movimento del cinema è annullato e P. costruisce una serie molteplice di quadri fissi, immagini non cronologiche ispirate alla vita del poeta. La potenza figurativa delle visioni evocate dalla parola poetica raggiunge il massimo grado: ogni elemento interno all'inquadratura richiama un sistema simbolico complesso, esibito di fronte allo sguardo della macchina da presa che sembra ritirarsi davanti al mondo misterioso ed ermetico che annuncia. Il film venne boicottato dalle autorità sovietiche e distribuito, più tardi, in una versione con un nuovo montaggio curato da Sergej I. Jutkevič. Mentre stava lavorando a un nuovo film insieme a Viktor B. Šklovskij, il caposcuola del formalismo russo, P. venne arrestato e condannato nel 1974 a cinque anni di lavori forzati per omosessualità, contrabbando di opere d'arte e istigazione al suicidio. Grazie a una petizione internazionale di artisti e intellettuali, fu poi liberato nel 1977, ma venne messo nell'impossibilità di lavorare. Negli anni di prigionia aveva sviluppato la sua tecnica pittorica e lavorato a diversi soggetti cinematografici legati non tanto al linguaggio convenzionale del cinema, quanto alla particolare forma di percezione della realtà prodotta dall'immagine pittorica.
Una volta libero, fu confinato a Tbilisi con il divieto di lavorare ancora nel cinema. Fu arrestato nuovamente nel 1982 e poi liberato perché dichiarato innocente. Nel 1984 riuscì a realizzare, assieme a Dodo Abašidze, Legenda o Suramskoj kreposti (La leggenda della fortezza di Suram), ulteriore ricognizione delle radici della cultura popolare. Il film, ispirato alla leggenda di una fortezza la cui salvezza dipende dal sacrificio di un giovane che si farà murare vivo al suo interno, rappresenta il momento di espressione più radicale del linguaggio cinematografico di P.: in un rapporto di tensione e discontinuità tra le inquadrature, la visionarietà delle immagini coniuga il fascino della cultura tradizionale con la violenza della storia e del potere. Il percorso verso un personale cinema poetico legato alla forza dell'immagine pittorica continuò con Ašik Kerib (1988; Ashik Kerib), poema cinematografico tratto da un racconto di M.Ju. Lermontov e firmato assieme ad Abašidze che fu anche la sua ultima opera. P. infatti morì mentre stava lavorando a un film autobiografico, rimasto incompiuto.
P. Cazals, Serguei Paradjanov, Paris 1993.
Sergej Paradzanov ‒ Lo spettatore incantato, a cura di O. Calvarese, G. Zappoli, Cesate 1994.
V. Horpenko, S. Paradžanov. Perši kroki (S. Paradžanov. Schizzi a penna), Kiev 1999.
G. Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Roma 2000, passim.