SIGINOLFO, Sergio
– Nacque a Napoli, molto probabilmente da Giovanni Siginolfo e da Maria de Putheolo, nella seconda metà del XIII secolo.
La sua famiglia, iscritta al seggio di Capuana di Napoli, aveva creato un solidissimo rapporto di collaborazione con i primi due sovrani angioini, grazie a ingenti somme di denaro prestate al sovrano dal padre Giovanni (v. la voce in questo Dizionario).
Le prime notizie che lo concernono risalgono al 30 marzo 1270, quando venne eletto sindaco dei cavalieri napoletani insieme a Pietro Scondito, Pandolfo Caracciolo e Bartolomeo Falconario. Nello stesso periodo fu nominato collector mutuatorum Iscle e l’anno successivo, il 14 luglio 1271, ricevette la carica di custode dei passi in Terra di Lavoro, andando a riscuotere anche, con Andrea de Madio de Neapoli, lo ius passuum per le partite di orzo e frumento che transitavano per la città di Napoli.
Questa carriera, avviata sulla falsariga di quella del padre negli uffici a carattere finanziario, subì una svolta grazie alle capacità militari che Siginolfo esibì e alla familiarità con la corte. Della sua posizione di miles si ha notizia peraltro soltanto due decenni più tardi, quando, all’inizio degli anni Novanta – durante il regno di Carlo II d’Angiò –, come feudatario della città di Napoli a Siginolfo fu imposto il pagamento, pro feudalibus medii militis, di 10 tarì e 17 grani e mezzo (I registri della cancelleria..., a cura di R. Filangieri et al., XXXII, 1982, p. 14); nell’occasione prestò servizio agli ordini del capitano di Principato Jacques de Burson. Nello stesso periodo Carlo II lo inviò come consigliere regio ad Aversa insieme al giudice Giovanni di Lorenzo.
Siginolfo era infatti, non sappiamo da quanto tempo, familiare e camerario del sovrano e sposò, poco dopo, probabilmente nel 1292, Guillelma, figlia di Philippe de Gonesse, maresciallo del Regno. Nominato ciambellano del re almeno dal 1293, ricevette una provvigione annua di 15 once, in aggiunta ai proventi dei beni feudali posseduti in città e nel Regno. Egli continuò pertanto con successo la politica della famiglia che, anche attraverso i matrimoni dei figli del padre Giovanni, saldava i propri interessi con quelli dell’oligarchia di corte legata al sovrano e con la nobiltà napoletana e meridionale.
Siginolfo non mancò di prestare denaro a Carlo II: un esborso – poi restituito – riguardò (per 1 oncia e 4 tarì) l’oblazione fatta nella chiesa di S. Francesco d’Assisi e il pranzo del sovrano presso Rocca de Cornu (6 tarì e 16 grani). Godendo della fiducia del re, si occupò di importanti questioni patrimoniali: nel 1293, insieme al fratello Bartolomeo e al gran giustiziere e razionale Giovanni Pipino, reinsediò a Trani Giovanni e Giacomo Della Marra (eredi di Angelo e Galgano) nei beni sequestrati alla famiglia al tempo del celeberrimo processo Rufolo-Della Marra. Il 4 agosto 1296 fu inoltre tra i testimoni della trasmissione dei feudi di Buonalbergo e di Montecalvo del giustiziere Giovanni Mansella di Salerno ai figli di questi, Nicola, Giovanni, Anselmo e Pietro.
Sul versante militare, qualche anno dopo venne nominato castellano di Sorrento. Utilizzato come scutifero del maresciallo, e poi lui stesso maresciallo del Regno, rinsaldò ulteriormente il rapporto con il sovrano che gli affidò delicate missioni. Fu infatti Siginolfo a consegnare il 2 giugno 1299 ad Anagni, a papa Bonifacio VIII, la corona e altri gioielli che Carlo II aveva dato in pegno per scomputare le 16.000 once che il Regno di Sicilia doveva alla Chiesa come censo di due anni. Il 1° dicembre 1299 partecipò poi con il fratello Bartolomeo – sotto il comando del figlio di Carlo II, Filippo, nominato nel 1294 principe di Taranto e poi vicario di Sicilia – alla battaglia di Falconara, che si combattè nei pressi di Trapani e che si concluse con la clamorosa disfatta delle truppe angioine. Arrestati insieme a Filippo (che rimase in carcere fino alla pace di Caltabellotta, 1304), i due Siginolfo vennero rilasciati in cambio di altri ostaggi.
Siginolfo tornò così alla vita di corte, e con Andrea di Isernia fu inviato come ambasciatore, il 20 maggio 1301, a trattare con i genovesi, ottenendone il ritiro dalla guerra del Vespro. Il 10 settembre 1301 ricevette 4 once per le spese di un viaggio «ad romanam provinciam» (Archivio di Stato di Napoli, C. De Lellis, arm. 1b, IV/2) e, come maresciallo, poco dopo, si occupò di incrementare la cavalleria del Regno ricevendo e acquistando cavalli dalla nobiltà. Nel 1305 ricevette l’incarico di castellano di Castellammare di Stabia, dove già il padre aveva tenuto la dogana; e nell’aprile dello stesso anno fu nominato dal re ammiraglio del Regno in sostituzione di Ruggero di Lauria.
Fu per Siginolfo che vennero redatti i capitoli dell’ufficio di ammiraglio. Non sappiamo quanto la scelta del sovrano fosse stata condizionata dall’influenza che la famiglia Siginolfo aveva anche negli ambienti ecclesiastici, grazie alla presenza del domenicano Landolfo – molto probabilmente fratello di Sergio –, già inquisitore contro gli eretici nel Regno (Archivio di Stato di Napoli, S. Sicola, arm. 1, c. 3, f. 105). Sicuramente l’importante nomina giunse a coronamento di una carriera condotta soprattutto nel campo dell’amministrazione militare e fu favorita dalla familiarità con Filippo, principe di Taranto.
Proprio per seguire il principe, Siginolfo costrinse gli abitanti di San Mauro in Basilicata a pagare le spese del suo passaggio con l’armata per aderire alla campagna militare in Epiro, durante la quale morì senza lasciare figli nel giugno del 1306.
Un suo omonimo, figlio di Riccardo Siginolfo e di Agnese Dentice, sembra fosse ancora in vita nel 1310. L’ufficio dell’ammiragliato fu velocemente assegnato, il 16 giugno, al fratello Bartolomeo, con il potere di associare alla carica un luogotenente nella persona di un altro parente, Giovanni Siginolfo, detto Passarello. Questi, il cui figlio Errico ebbe parte della contea di Telese appartenuta a Bartolomeo, assicurò insieme al figlio di Bartolomeo, Filippotto, la continuazione delle fortune della famiglia in pieno Trecento, dopo la caduta in disgrazia del conte camerario che fu accusato di aver cospirato contro Filippo d’Angiò, principe di Taranto.
Siginolfo lasciò un imponente patrimonio allodiale e feudale. Possedeva a Napoli una casa e alcune botteghe appartenenti alla corte, che furono ereditate dal fratello Marino. Ebbe, insieme con i fratelli Bartolomeo e Isabella, una parte della terra di Canosa del valore di 50 once in Terra di Bari; beni feudali in Terra di Lavoro ad Aversa, Capua e Grumo; una casa a l’Aquila, sequestrata al capitano di Monteregale e Accumuli, Andrea de Rodio di Aquila; Monte Dragone, che aveva acquistato da Mariano, figlio di Federico de Auria di Genova, e che fu ereditato dal fratello Bartolomeo. Fu inoltre attento alle politiche di redistribuzione dei feudi e riuscì a inserirvisi più volte: ricevette due parti del castello di Pettorano in Abruzzo; la terza parte del castello di Soleto, in Terra d’Otranto e Ripacandida, San Mauro e Salandra, in Basilicata, che alla sua morte andarono a Pietro, figlio del re Carlo e conte di Eboli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, C. De Lellis, arm. 1b, v. IV/II, cc. 18, 42, 245, 260, 269, 307, 415, 440, 467, 485, 531, 532, 561, 785, 945, 962; S. Sicola, arm. 1, c. 2, f. 264; c. 3, ff. 66, 171, 218, 226, 227, 244, 281, 317, 334, 364, 413, 458, 489, 607, 609, 626, 708; IV, f. 199; Cava dei Tirreni, Archivio della Badia, Liber familiarum, l. I, arm. 101, n. 93, arm. 1, n. 82; Napoli, Biblioteca nazionale, IX C 17 (= C. Borrelli, Adparatus historicus ad antiquos chronologos illustrandos), cc. 10, 11, 24, 36, 148, 168, 175, 184; IX C 14, c. 829; M. Camera, Annali delle Due Sicilie dall’origine e fondazione della monarchia fino a tutto il regno dell’augusto sovrano Carlo III. Borbone, II, Napoli 1860, pp. 122-124; N. Alianelli, Delle consuetudini e degli statuti napoletani nelle provincie napoletane, Napoli 1873, n. 2, pp. 186-189; Les registres de Boniface VIII, a cura di A. Thomas, Paris 1884, doc. 3057, pp. 408 s.; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, III, Berlin-Leipzig 1922, p. 107; Codice diplomatico salernitano, II, a cura di C. Carucci, Subiaco 1934, pp. 467, 641; I registri della cancelleria angioina..., a cura di R. Filangieri et al., Napoli 1950-2010, III (1951), p. 103, V (1953), p. 55, VI (1954), p. 65, XXX (1972), pp. 93 s., 109, XXXI (1980), pp. 232 s., XXXII (1982), p. 14, XXXV (1985), p. 151, XLVI (2002), p. 17, 139 s., XLVII (2003), p. 206, XLVIII (2005), pp. 67, 99, 294; I fascicoli della cancelleria angioina, a cura di B. Ferrante, I, Napoli 1995, p. 20.
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