sermone
(sermo due volte nella Commedia, in rima). - Si riconnette all'atto del parlare o dello scrivere e vale principalmente " ciò che uno dice ", " ragionamento ", " discorso " (cfr. Mn II V 6 sermones inquirendi sunt secundum subiectam materiam): Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e da lo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone (Cv IV XVII 6); vederai / cose che torrien fede al mio sermone (If XIII 21; cfr. Ieron. Epist. III 2 " et rei novitas fidem sermonis auferret "); Di più direi; ma 'l venire e 'l sermone / più lungo esser non può (XV 115); Se i piè si stanno, non stea tuo sermone (Pg XVII 84); sanza peccato in vita o in sermoni (Pd XIX 75: cioè nelle opere e nelle parole); e v. Cv II XV 1, If XIII 138 doloroso sermo, Pg VIII 138, XXII 128, XXIV 7, Fiore XVII 7, XLVI 2.
Sta più specificamente per " parte di un discorso ", in Pd XXI 112 Così ricominciommi il terzo sermo.
Per quanto riguarda la parola scritta, in un caso D. riferisce indirettamente s. alla prosa del Convivio, sotto le apparenze di una norma generale: lo rettorico dee molta cautela usare nel suo sermone... io, che al volto di tanti avversarii parlo in questo trattato... (IV VIII 10); negli altri casi, direttamente o indirettamente, alla poesia o sua o altrui, ai modi che essa può assumere (cfr. VE II IV 3 poetae ... magni sermone et arte regulari poetati sunt). Così in tre luoghi del Convivio, anche qui mentre enuncia precetti e massime di più ampia portata, il poeta tiene ferma l'attenzione alla canzone Voi che 'ntendendo: Cv II VI 6 in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere a la persuasione; XI 4 la bontade e la bellezza di ciascuno sermone sono intra loro partite e diverse; XI 9 l'ordine del sermone... si pertiene a li rettorici; sottintende invece un rimando alla canzone Amor che ne la mente, in Cv III I 4 d'amor parlando, più bello né più profittabile sermone non era che quello nel quale si commendava la persona che s'amava. Ancora a un s. espresso in forme poetiche va collegato l'esempio di Cv IV XXVII 19, dove Eaco, in Ovidio, ritrae per lungo sermone a Cefalo la istoria de la pestilenza del suo popolo.
In metafore e locuzioni: io mi rivolgo con la faccia del mio sermone a la canzone medesima (Cv II XI 1: " rivolgo il mio discorso direttamente alla canzone "); quel demonio che tenea sermone / col duca mio (If XXI 103: che " parlava " con Virgilio); E perché non mi metti in più sermoni (XXXII 67: " perché tu non mi costringa a parlare ancora " molestandomi con altre domande); Passo passo andavam santa sermone (XXIX 70: " taciti "; cfr. If XXXI 9 sanza alcun sermone).
Talora assume il senso di " discorso morale, o religioso " a fine di edificazione; o anche di " predica ". Questo senso, presente nel Fiore (fin' amanti tuttor gli tribuglia / con quel sermon di che t'ha sermonato, XLIX 8; non lle valse nulla su' sermone, LXXXII 14; Co' buon mastri divin ne feci guerra; / perché questo sermone predicaro / al popolo a Parigi, CXII 6; sì che di grazia fecer lor sermoni, V 12 [cfr. il v. 10]), sembra essere alla base dell'espressione di Carlo Martello, allusiva, secondo l'interpretazione comune, a Roberto d'Angiò: fate re di tal ch'è da sermone; / onde la traccia vostra è fuor di strada (Pd VIII 147); testimonianze di Pietro dei Faitinelli (v. la voce ROBERTO D'ANGIÒ), di G. Villani (XII 10) e di Boccaccio (Geneal. Deorum gent. XIV 9) attribuiscono infatti a re Roberto sapienza teologica e filosofica, perizia nelle arti liberali, abito a ‛ sermonezare '; del resto molti discorsi sacri e morali di lui sono a noi noti. L'espressione sarebbe dunque critica rispetto alle qualità regali di Roberto, più adatto a ‛ far s. ' che a regnare, come intendono unanimemente gli esegeti.
In un'accezione più larga s. significa " lingua " (v.), " linguaggio " (cfr. VE I VI 3, IX 7, 9 e 10): lo sermone, lo quale è ordinato a manifestare lo concetto umano, è virtuoso quando quello fa (Cv I V 12). Contestualmente vale ancora " lingua ", in Cv I V 14 quello sermone è più bello ne lo quale più debitamente si rispondono [le parole...], e XII 13 in ciascuna cosa di sermone lo bene manifestare del concetto si è più amato e commendato.
È usato in particolare per " lingua umana, propria dell'uomo ", coi limiti che le ineriscono, in If XXVIII 5 Ogne lingua per certo verria meno / per lo nostro sermone e per la mente / c'hanno a tanto comprender poco seno; Pg XII 111 cantaron sì, che nol diria sermone.
Indica il volgare e il latino in Cv I V 12 quelli che hanno l'uno e l'altro sermone.
Nell'unica occorrenza del Detto (v. 118) sembra far suo il valore di " dottrina ": a me non t'apprendi / e 'l mi' sermone apprendi.