serpe (serpente)
Le due forme, anche se di ragione etimologica parzialmente diversa, sono adoperate da D. indifferentemente: basti vedere le occorrenze nel c. XXV dell'Inferno.
Nella rappresentazione delle Furie che serpentelli e ceraste avien per crine (If IX 41) confluiscono certo motivi virgiliani (" tot sese vertit in ora, / tam saevae facies, tot pullulat atra colubris ", Aen. VII 328-329), ovidiani (" Deque suis atros pectebant crinibus angues ", Met. IV 454) e staziani (" centum illi stantes umbrabant ora cerastae, / turba minax diri capitis ", Theb. I 103-104), così come da Ovidio (Met. III 324-332) deriva il mito di Tiresia mutato in femmina per aver battuto con una verga " duo magnorum viridi coeuntia silva / corpora serpentum ", Met. III 324-325) e ritornato nelle sue forme virili dopo aver ripercosso gli stessi s. con la stessa verga (" Percussis anguibus isdem, / forma prior rediit ", vv. 330-331): Tiresia... mutò sembiante / quando di maschio femmina divenne, / cangiandosi le membra tutte quante; / e prima, poi, ribatter li convenne / li due serpenti avvolti, con la verga, / che rïavesse le maschili penne (If XX 44).
Alla base di quasi tutte le altre figurazioni dantesche, e delle correlative suggestioni paraboliche, va posto lo specifico valore assunto dal s. nel testo biblico, quale simbolo di astuzia diabolica, meritevole quindi della maledizione di Dio e fatto nemico del genere umano: " serpens erat callidior cunctis animantibus terrae, quae fecerat Dominus Deus " (Gen. 3, 1); " Et ait Dominus Deus ad serpentem: Quia fecisti hoc, maledictus es inter omnia animantia et bestias terrae... Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius " (3, 14-15), e, in area metaforica, con riferimento agli scribi e farisei: " Serpentes, genimina viperarum, quomodo fugietis a iudicio gehennae? " (Matt. 23, 33).
Forse un'eco di questo senso risuona nelle parole di Pier della Vigna: ben dovrebb'esser la tua man più pia, / se state fossimo anime di serpi (If XIII 39): nota il Castelvetro: " Riguarda la grande nemistà che pose Dio tra li serpi e 'l seme della donna, di che si parla nel Genesi ", ma sembra che sia più nel vero il Boccaccio: " le quali serpi, però che crudeli animali sono, forse parrebbe che meritato avessero che verso loro non s'usasse alcuna pietà ", nonostante la glossa moralistica di Benvenuto: " sed certe animae istorum desperatorum fuerunt crudeliores serpentibus, quia serpentes non saeviunt in corpora propria, sicut isti fecerunt in sua ".
Più sicuro è il collegamento tra la simbologia biblica e la brulicante presenza dei s. nella bolgia dei ladri (e vidivi entro terribile stipa / di serpenti, e di sì diversa mena / che la memoria il sangue ancor mi scipa, If XXIV 83), i quali s. fanno parte dell'apparato punitivo: con serpi le man dietro avean legate (v. 94); a un ch'era da nostra proda, / s'avventò un serpente che 'l trafisse / là dove 'l collo a le spalle s'annoda (v. 98): il trafitto è Vanni Fucci, che subito s'incenerisce e quindi risorge dalle ceneri come la fenice, per essere infine legato tra le spire di altri s.: Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, / perch'una li s'avvolse allora al collo, / come dicesse ‛ Non vo ' che più diche '; / e un'altra a le braccia, e rilegollo, / ribadendo sé stessa sì dinanzi, / che non potea con esse dare un crollo (XXV 4).
Ma i s. sono soprattutto termini di continua metamorfosi nei confronti dei ladri stessi: così Cianfa Donati, serpente con sei piè (XXV 50), si avviticchia con Agnello Brunelleschi e si fonde con lui in mostruosa unità; Francesco de' Cavalcanti, serpentello acceso, / livido e nero come gran di pepe (v. 83), trafigge l'ombelico di Buoso, segnando, dopo una pausa di attonita sospensione (Elli 'l serpente e quei lui riguardava, v. 91), l'inizio di una reciproca e contemporanea trasformazione (Insieme si rispuosero a tai norme, / che 'l serpente la coda in forca fesse, / e 'l feruto ristrinse insieme l'orme, v. 104; e cfr. tutto il resto della lunga descrizione) che sul piano artistico rende D. consapevole della sua novità rispetto ai classici: Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio, / ché se quello in serpente e quella in fonte / converte poetando, io non lo 'nvidio (v. 98).
Il rapporto s.-ladro discende probabilmente dal carattere peculiare del ladrocinio, violatore di un essenziale diritto umano e sovvertitore delle leggi di somiglianza fra l'uomo e Dio, proprio sulla direttiva che indusse il demonio a sobillare la ribellione sacrilega di Eva, quella ch'al serpente crese (Pg XXXII 32; v. per tutto ciò LADRO, ladrone).
Quale che sia il significato complessivo del difficile passo (v. VALLETTA dei PRINCIPI), lo serpente (Pg VIII 39) di cui Sordello preannuncia l'arrivo nella valletta dei principi e che poi fugge (v. 107) per l'intervento dei due angeli dalle spade affocate non può che rappresentare figurativamente una tentazione diabolica, e figura di Satana è, con altrettanta sicurezza, il serpente (XXXIII 34) o drago (XXXII 131: il " draco magnus " di Apoc. 12, 3-9) che si avventa sul carro rappresentante la Chiesa e ne rompe il fondo durante la mistica processione nel Paradiso terrestre.
Generica, ma sempre con sottinteso rimando alle qualità di astuzia perfida del s., la fruizione del termine a proposito dell'aspetto di Gerione: tanto benigna avea di fuor la pelle, / e d'un serpente tutto l'altro fusto (If XVII 12): " descrivele busto di serpente di molti colori macchiato, a significare il variato e venenoso volere che in lei si contiene " (Ottimo).
Bibl. - L. Cohen, Le mythe du serpent, in D. et les mythes, in " Revue des Études Italiennes " XI 1-3 (1965) 40-84.