SERPOTTA
‒ Famiglia di scalpellini, marmorari e stuccatori attivi a Palermo per circa due secoli, tra gli ultimi anni del XVI e la fine del XVIII, il cui principale esponente fu lo stuccatore Giacomo (v. la voce in questo Dizionario). Ne fanno parte Pietro, marmorario e scalpellino (documentato tra il 1596 e il 1636), i suoi figli, marmorari e stuccatori, Bartolomeo (1607-1652) e Battista (documentato tra il 1637 e il 1649), i figli di quest’ultimo, Antonino (documentato tra il 1657 e il 1665) e Pietro (documentato tra il 1660 e il 1664), entrambi marmorari, nonché Giacomo (1598-1647) e Antonino (documentato tra il 1618 e il 1625), fratelli del primo Pietro ed entrambi scalpellini.
Giacomo fu il capostipite dei più noti tra i Serpotta. Dalle sue nozze con Cristina Balcuni, il 18 settembre 1634 nacque infatti il figlio Gaspare.
Scultore in marmo e stuccatore, Gaspare fu il primo della sua famiglia a emergere dal rango di semplice artigiano. Le poche opere a lui assegnate lo collocano alla pari dei cosiddetti scultori del Cassaro, ossia dei protagonisti della scultura a Palermo nel terzo quarto del Seicento e oltre, sia pure entro i confini della modesta qualità che li caratterizza tutti.
Nel 1652 sposò Antonina, figlia dello scultore carrarese Nicolò Travaglia, con la quale generò Giuseppe, Giacomo, Rosalia e Teresa. Il matrimonio gli consentì di imparentarsi con le più attive maestranze operanti in città nel campo della scultura: i Travaglia, i Guercio, i La Matina, i D’Aprile. Visse e tenne bottega nel quartiere della Kalsa, sede privilegiata dai marmorari per la sua vicinanza al porto, luogo di approdo del marmo statuario proveniente dalle cave di Carrara. La passione per i cavalli, per le corse e forse per le scommesse lo condusse alla rovina economica e alla galera. La sua attività di maestro autonomo è documentata a partire dal 1658 (Meli, 1934, p. 107). In qualità di stuccatore lavorò a Palermo nell’oratorio di S. Caterina all’Olivella, a Caltabellotta (1660), a Chiusa Sclafani (1661), a Termini Imerese (1664), a Castelvetrano (1667-68). Operò anche al fianco di marmorari già affermati quali gli zii acquisiti Carlo D’Aprile e Gaspare Guercio e i cognati Bartolomeo e Giovanni Travaglia. Con alcuni di essi nel 1661 partecipò all’esecuzione del monumento marmoreo in onore di Filippo IV di Spagna, sistemato davanti al Palazzo Reale. Negli anni 1662-64 scolpì le statue dell’Addolorata e della Maddalena poste ai piedi del Crocifisso in cattedrale, di fianco al S. Giovanni eseguito da Guercio. Nel 1664 rimase ferito durante una rissa e dettò il suo testamento, ma si riprese.
Nell’autunno del 1665 soggiornò a Roma, dove scolpì una testa di marmo (poi perduta) per la chiesa di S. Agnese in Agone. Negli anni 1665-68 affiancò Guercio nella decorazione a marmi «mischi» della cappella Oneto di Sperlinga nella chiesa di S. Domenico a Palermo. Nel 1667 assunse l’appalto per la realizzazione degli apparati effimeri allestiti nella cattedrale per il festino di s. Rosalia e l’anno seguente, con i soci Bartolomeo Travaglia, Luigi Geraci e Francesco Scuto, lavorò alle decorazioni di Porta Nuova, ma fu arrestato e condannato ai lavori forzati su una galea. Morì durante l’espiazione della pena il 17 aprile 1670.
È difficile formulare un giudizio sulla sua produzione, dal momento che tutti i suoi lavori sopravvissuti sono stati eseguiti in collaborazione con altri maestri. L’unica opera realizzata in autonomia è costituita dalle due statue di Dolenti della cattedrale di Palermo. «Teatrali, e alquanto retoriche» (Garstang, 2006, p. 50), nei loro movimentati e virtuosistici drappeggi tradiscono la conoscenza, seppure mediata, della scultura berniniana.
Tutti i figli di Gaspare, ciascuno per la propria parte, mantennero viva la tradizionale attività lavorativa di famiglia, Giuseppe e Giacomo dedicandosi alla modellazione dello stucco, e le due femmine unendosi ad altri artefici nel campo della scultura. Rosalia (1661-1755) sposò infatti nel 1681 il marmorario e stuccatore Procopio Geraci (documentato tra il 1676 e il 1682) e, rimasta vedova, lo stuccatore Giuseppe Teresi (documentato tra il 1689 e il 1695); la sorella Teresa, nata nel 1664, sposò lo scultore Gioacchino Vitagliano (1669-1739). Tutti e tre i loro mariti nel corso del tempo collaborarono o stabilirono rapporti lavorativi con i cognati Giuseppe e Giacomo, e anche con il figlio naturale di Giacomo, Procopio.
Pochissime, anche a causa della sua breve vita, sono le notizie riguardanti lo stuccatore e marmorario Procopio Geraci, figlio di Vincenzo. La sua figura, rimasta per secoli nell’oblio, è riemersa qualche decennio fa dalle carte d’archivio, ma il suo cognome è stato letto «de Ferari», anziché, correttamente, «de Yeraci», ossia «Geraci» (Mendola, 2012, p. 17). Prima di diventarne il cognato, nel 1677 egli si avvalse della collaborazione del giovanissimo Giacomo Serpotta nella realizzazione degli stucchi della chiesa della Madonna dell’Itria a Monreale. Giuseppe Teresi, secondo marito di Rosalia, fu allievo di Giacomo Serpotta.
Figlio maggiore di Gaspare e fratello del grande Giacomo è Giuseppe, nato a Palermo il 10 marzo 1653, spesso testimoniato al lavoro al fianco del fratello e talvolta del nipote Procopio.
Alla morte del padre, con la madre vedova e tre fratelli minori a carico, il diciassettenne Giuseppe fu costretto ad assumere il ruolo di capofamiglia. Se la sua prima formazione avvenne forse nella bottega del padre Gaspare, è plausibile che almeno nel triennio 1668-71, fino al compimento della maggiore età, egli si sia perfezionato nell’arte dello stucco presso qualcuno dei plasticatori allora attivi a Palermo, per emanciparsi infine, piuttosto precocemente, ancor prima di avere raggiunto il ventesimo anno di età.
Il più antico, inedito, documento che lo testimonia al lavoro, accanto allo stuccatore Andrea Surfarello, è infatti del 30 gennaio 1673, quando a Palermo i due s’impegnarono a decorare con stucchi la distrutta chiesa del monastero dei Settangeli (Archivio di Stato di Palermo, Fondo notai defunti, Notaio Carlo Catania, stanza 1, vol. 2025, cc. 518, 638).
Nel 1674 diede inizio alle decorazioni della chiesa della Pinta, in parte ancora esistenti, dapprima nel cappellone e nell’arco trionfale, proseguendo poi (1676-77) nelle quattro cappelle laterali, di fianco alle quali modellò le due statue di S. Pietro e di S. Paolo.
Nel 1677, con altri soci, realizzò gli stucchi, poi rifatti, nella volta del transetto destro nella chiesa del Gesù a Casa Professa.
Ebbe certamente un ruolo non marginale nella formazione e nella prima attività del fratello Giacomo, che a partire dalla fine del 1677 e per circa un trentennio gli fu spesso al fianco nei rivestimenti a stucco di volte, pareti e finestre all’interno di oratori e di chiese. Gli incarichi assunti insieme, con una sola eccezione, riguardano tutti edifici sacri palermitani: l’oratorio della congregazione del Rosario nel convento di S. Cita e la cappella di S. Francesco Borgia nella chiesa del Gesù (1678), l’oratorio di S. Mercurio (1678-82 e 1686), il presbiterio della chiesa madre di Bisacquino (1679-80), il cappellone della chiesa di S. Giorgio dei Genovesi (1681), i due altari del transetto nella chiesa del Carmine (1684), l’oratorio del Sacramento della parrocchia di S. Nicolò alla Kalsa (1688-91), uno degli oratori ospitati nel collegio Massimo dei gesuiti (1688), il sottocoro della chiesa della Badia Nuova (1692).
Nei tre apparati superstiti, S. Mercurio, Carmine e Badia Nuova, più o meno convincentemente la critica si affanna nel cercare di distinguere la mano di ciascuno dei due Serpotta.
Talvolta i documenti testimoniano di impegni assunti singolarmente dai due fratelli, spesso avvalendosi della collaborazione di plasticatori quadraturisti e «adornisti» estranei alla famiglia, ma non fanno luce sui probabili eventuali interventi di ciascuno dei due nei lavori intrapresi dall’altro.
Nel 1681 Giuseppe diede inizio alla decorazione dell’oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami, nel chiostro della casa dei Teatini, che completò dopo una lunga interruzione soltanto nel 1701.
Alla fine del 1684, dopo avere assunto a bottega il quindicenne Domenico Castelli, su incarico del marchese Francesco Rodrigo Ventimiglia iniziò la decorazione della cappella palatina di S. Anna nel castello di Castelbuono, conclusa nel 1687, e quella dei due altari del transetto nella chiesa madre della stessa cittadina.
Negli anni Novanta decorò tre cappelle nella chiesa della Badia Nuova (1693), la volta del presbiterio nella chiesa dei Ss. Marta e Lorenzo (1696), la cappella di S. Giuseppe (1697) e la parete absidale della chiesa del Carmine, l’oratorio della compagnia di S. Ivonne (1699), in gran parte distrutti.
Nel 1700 allestì i primi due altari della demolita chiesa del monastero delle Stimmate di S. Francesco su progetto dell’architetto Giacomo Amato.
Negli anni 1702-03 lavorò assieme al nipote Procopio nella chiesa del monastero di S. Teresa (Garstang, 2006, p. 298) e in una cappella della chiesa madre di Altofonte (Meli, 1934, p. 111).
Nel 1704 e poi ancora nel 1708-09 eseguì gli stucchi nelle volte del transetto della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, su progetto dell’architetto Andrea Palma.
Negli anni 1705-07 lavorò nell’abolita chiesa del monastero dello Scavuzzo, dove eseguì anche tre statue, Penitenza, Amor divino e S. Giuseppe col Bambino.
Nel 1708, con Giacomo e Procopio, partecipò alla decorazione della volta nella chiesa del monastero della Pietà.
Negli anni a seguire, forse a causa di dissapori familiari, Giacomo lasciò la casa di famiglia, mentre Giuseppe, rimasto celibe come il fratello, proseguì la coabitazione con la madre.
Fra il 1711 e il 1714 completò gli stucchi della chiesa del monastero di S. Spirito ad Agrigento iniziati due anni prima dal fratello Giacomo (Mendola, 2012, p. 29). Gli ultimi suoi anni di vita furono caratterizzati da modesti lavori, tutti andati distrutti.
Alla morte della madre, avvenuta il 25 agosto 1719, si trasferì nella casa della sorella Rosalia, dove si spense il 16 novembre successivo. Fu sepolto nella chiesa del convento della Gancia.
La fama di Giuseppe, che nel corso della sua attività dovette godere di una certa stima, fu certamente oscurata da quella del fratello Giacomo. Esperto nel modellare la figura virile matura (Meli, 1934, p. 109) e specializzato nell’utilizzo di «un originalissimo e scenografico repertorio sacro, allegorico e mitologico, accompagnato da una lussureggiante abbondanza di fogliami, girali vegetali e deformi figurazioni antropomorfe» (Grasso, 2014, p. 38), secondo la tradizione invalsa in città tra i marmorari e plasticatori del suo tempo, pur non eguagliando l’originalità del fratello, egli occupa un ruolo assai dignitoso fra gli stuccatori barocchi siciliani.
Maggiormente dotato di capacità tecnica ed esecutiva nel modellare lo stucco, e «particolarmente abile nel riprodurre le più audaci invenzioni del padre» (Garstang, 2006, p. 181), fu Procopio Serpotta, figlio naturale di Giacomo, a traghettare le componenti romano-berniniana e classicista tardobarocca del padre verso forme più lievi e aggraziate volgenti al rococò.
Le circostanze relative alla sua nascita – data e luogo, identità della madre – rimangono ignote (Davì, 1978). Nacque nel 1677 circa, se il 28 dicembre 1695, già maggiorenne, si presentò davanti a un notaio per ritrattare una denunzia contro Francesco Camarda, che assieme a dei complici gli aveva procurato una ferita alla testa (Archivio di Stato di Palermo, Fondo notai defunti, Notaio Melchiorre Rotolo, stanza 4, vol. 239, c. 411).
Dei suoi dieci figli, nati dalle nozze con Lucia Falbo, meritano attenzione Giovanni Maria, che seguì l’arte di famiglia, e Antonina, andata sposa nel 1746 allo stuccatore Gaspare Firriolo, divenuto collaboratore del suocero e socio del cognato.
Formatosi nella cerchia e forse nella bottega del padre e dello zio, Procopio è testimoniato per la prima volta al lavoro nel 1702, al fianco di Giuseppe, nella decorazione della chiesa di S. Teresa, e soltanto l’anno seguente risulta maestro autonomo, quando venne chiamato dall’architetto Amato a rivestire di stucchi la volta della navata e il coro della chiesa del monastero delle Vergini (in seguito demolita); vi tornò nel 1707 per decorare le pareti dell’aula, e poi ancora nel 1740 per l’arco trionfale.
Allestì a più riprese gli apparati ornamentali nelle volte affrescate delle navate laterali nella chiesa del Gesù, in parte assieme al padre, nella navata destra (1704-05), e poi in quella sinistra (1711-14).
Nel 1708 collaborò con Giacomo e Giuseppe agli stucchi della chiesa della Pietà.
A partire dallo stesso anno operò spesso in società con il collega Domenico Castelli, nella chiesa del monastero di S. Vito, su progetto di Amato, nella chiesa del Monte a Monreale (1709), nella cappella del Crocifisso in Cattedrale (1710), nella chiesa di S. Dionigi, nell’oratorio di Gesù e Maria nella strada dei Balestrieri (1719). Di tali lavori sopravvivono soltanto gli stucchi di Monreale.
Nel 1712, su disegno di Carlo Infantolino, ornò l’oratorio del Nome di Gesù nel convento di S. Cita, e la volta dell’oratorio della compagnia della Carità, anch’essi distrutti.
Più volte fu chiamato a decorare saloni di palazzi e ville, a Palermo e nel suo agro, nei palazzi del principe di Resuttana (1715), del principe di Raffadali (1731), della principessa di Trabia su disegno dell’architetto Nicolò Palma (1739), del marchese di Sant’Isidoro su progetto dello stesso Palma e di Alessandro Vanni (1742), del principe di Carini al Cassaro, assieme al figlio Giovanni Maria e su progetto di Palma (1743), del principe di Villafranca (1752-53), nella villa del principe di Palagonia a Bagheria, ossia la celebre «villa dei Mostri» (1716).
Tra il 1719 e il 1724 rivestì di stucchi l’oratorio di S. Caterina all’Olivella, e il 29 marzo 1725, in riconoscimento dei suoi meriti, fu accolto tra i confrati della stessa compagnia.
Su progetto dell’architetto Gaetano Lazzara decorò il sottocoro nella chiesa della Pietà (1722-23) e allestì l’apparato ornamentale dell’oratorio dell’Immacolatella (1725-26), dove raggiunse i migliori esiti della sua arte.
Nel 1728 lavorò nella distrutta chiesa di S. Maria degli Agonizzanti, contemporaneamente al padre.
Il 6 aprile 1732 s’impegnò a decorare la cappella di S. Guglielmo nella chiesa di S. Agostino conformemente alle altre già realizzate dal padre, per un compenso di 60 onze (ibid., Notaio Stefano Sardo Fontana, stanza 3, vol. 2220, c. 292). Vi tornò il 27 giugno 1742 per definire gli stucchi della cappella del Crocifisso, dove eseguì due puttini a sostegno della cornice, il rilievo con il Sacrificio di Isacco e un medaglione nell’intradosso dell’arco (ibid., Notaio Cristoforo Ragusa, stanza 4, vol. 4258, c. 594). Gli inediti documenti relativi a questi due interventi costituiscono una riprova delle sue grandi capacità nell’imitare i modi del padre, al quale questi stucchi sono sempre stati assegnati, unitamente all’intera decorazione della chiesa.
Nel decennio 1732-42 fornì i modelli per dei rilievi realizzati in marmo in alcuni altari della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini.
Nel 1734 lavorò nel cappellone del distrutto oratorio di S. Francesco di Paola ai Candelai, la cui aula era stata ornata dal padre.
A partire almeno dal 1736 si avvalse della collaborazione del figlio Giovanni Maria, assieme al quale restaurò gli stucchi della chiesa della Pietà. Più volte s’incaricò di restaurare stucchi suoi e del padre, nelle chiese di S. Orsola (1736) e dell’Assunta (1738), e negli oratori di S. Lorenzo (1747), del Ponticello (1753) e dell’Immacolatella (1754).
Nel 1742 decorò il presbiterio della chiesa di S. Gioacchino realizzandovi le statue di S. Filippo Neri e di S. Gregorio papa.
Dei suoi lavori eseguiti dopo la morte della moglie (23 dicembre 1744) quasi nulla sopravvive: stucchi nelle chiese di S. Giovanni dei Napoletani (1744-45) e di S. Chiara (1747), modelli per le statue in bronzo dei reali di Sicilia nel monumento dell’Immacolata di piazza S. Domenico (1750), stucchi nelle chiese dei Tre Re, su progetto dell’architetto Francesco Ferrigno, e della Concezione ai Lattarini (1750-51), e nell’oratorio dei Ss. Cosma e Damiano (1750-54).
Si spense il 5 novembre 1755 a Caccamo, dove stava lavorando, assieme a Bartolomeo Sanseverino, nella chiesa dell’Annunziata.
Seguace e collaboratore del padre fu Giovanni Maria Serpotta, nato a Palermo il 2 giugno 1708. Quarto figlio di Procopio e di Lucia Falbo, sposò Giuseppa Agrigento, da cui ebbe sette figli, due dei quali, Procopio e Giacomo, seguitarono con poco successo e per breve tempo l’attività di famiglia.
Nulla rimane della sua prima attività, svolta spesso al fianco del padre e poi anche del cognato Gaspare Firriolo: stucchi nell’oratorio del Nome di Gesù nel convento di S. Cita (1735) e nell’oratorio di S. Francesco di Paola (1738), nella cappella del Sacramento nella chiesa della Magione (1742), nei palazzi La Grua e Pantelleria (1743), e nelle chiese di S. Chiara (1749) e dei Tre Re (1750-52).
Dai primi anni Cinquanta adeguò alla ventata di rinnovamento di gusto barocchetto i moduli figurativi appresi dal padre e dal nonno. Lo dimostrano le sue opere conservatesi: volte del transetto nella chiesa di S. Caterina (1751), presbiteri della chiesa della Pietà e dell’oratorio di S. Stefano, con coppie di gradevoli angeloni svolazzanti (1755), sette classicheggianti statue di santi nella facciata della chiesa di S. Domenico, stucchi nelle chiese del Ss. Salvatore (1756-57) e della Badia Nuova (1758), sulla cui facciata nel 1762 inserì l’inedita statua della Madonna di Monteoliveto (ibid., Notaio Francesco Maria Magliocco, stanza 6, vol. 12981, c. 384).
L’ultima sua fatica, accanto ad altri stuccatori, fu la classicheggiante decorazione della chiesa di S. Giorgio in Kemonia, del 1772. Morì a Palermo nel 1787.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Fondo notai defunti, Notaio Carlo Catania, stanza 1, vol. 2025, cc. 518, 638; Notaio Melchiorre Rotolo, stanza 4, vol. 239, c. 411; Notaio Stefano Sardo Fontana, stanza 3, vol. 2220, c. 292; Notaio Cristoforo Ragusa, stanza 4, vol. 4258, c. 594; Notaio Francesco Maria Magliocco, stanza 6, vol. 12981, c. 384.
F. Meli, Giacomo Serpotta. Vita ed opere, Palermo 1934; G. Davì, Procopio Serpotta, in Quaderni sul Neoclassico, IV (1978), pp. 9-35; D. Garstang, Giacomo Serpotta e i serpottiani stuccatori a Palermo, 1656-1790, Palermo 2006; G. Mendola, Per una biografia di Giacomo Serpotta, in S. Grasso et al., Giacomo Serpotta. Un gioco divino, Caltanissetta 2012, pp. 9-40; S. Grasso, Giacomo Serpotta. L’oratorio di San Mercurio e le prime esperienze di Giacomo Serpotta (1677-1684), in S. Grasso et al., Gli oratori di San Mercurio e del Carminello a Palermo, Leonforte 2014, pp. 37-47.