SERVITÙ DELLA GLEBA
. L'evoluzione storica del colonato aveva già condotto in Roma, negli ultimi secoli dell'impero, alla formazione di un ceto di coltivatori, giuridicamente ancora dotati dello status libertatis ma vincolati al fondo, costretti entro la cerchia economica della villa padronale, assoggettati alla legge particolare di questa. I Padri della Chiesa e le stesse costituzioni imperiali parlavano talora di una quasi servitù e in realtà il vincolo del colono sul fondo, i rapporti economici e giuridici col saltus avevano dato vita, nella legge e ancor più nel costume, a gravi limitazioni della libertà personale del colono. E queste limitazioni crebbero nella prima età delle invasioni germaniche. Ma l'istituto della servitù della gleba nel suo vero contenuto economico e giuridico, nella sua caratteristica di ceto sociale a sé stante, fu elaborato soltanto nel Medioevo.
Le origini della servitù della gleba vanno ricercate soprattutto nelle forme che l'organizzazione dei possessi fondiarî aveva assunto in tutti i paesi d'Europa. La costituzione dei dominî fondiarî, dove più dove meno estesi, con un centro dominante, la villa e il castello del signore, una zona di terre affidate alla conduzione diretta e più vaste zone, compatte o sparse, di fondi assegnati a famiglie di coltivatori con contratti di colonia parziaria, masseria, livello; i rapporti economici che si svolgevano nell'interno di questi dominî fondiarî, le trasformazioni che essi subirono in progresso di tempo sotto l'impulso di fattori che hanno numerosi punti d'incontro da paese a paese, tutte queste cause spiegano la genesi e la diffusione di nuovi rapporti di dipendenza.
L'accrescimento dei bisogni economici e, di riflesso, dell'attività di produzione aveva dato man mano la prevalenza al massaricio in confronto delle terre dominicali; i signori e gli stessi monasteri emancipavano, con crescente frequenza, gli schiavi ma non li scioglievano completamente da ogni vincolo di dipendenza; i liberti ricevevano un fondo con l'obbligo di servigi e dell'ossequio verso il signore, e così avveniva per gli schiavi che erano collocati sul massaricio con la concessione di una libertà limitata (servi casati). Ma soprattutto giova tener conto delle stesse esigenze economiche del dominio signorile. Gradatamente la necessità di vincolare più strettamente le singole economie del massaricio all'organismo centrale della corte, lo sviluppo interno e spontaneo della giurisdizione patrimoniale, che ha le sue origini nell'età longobarda e franca, la penetrazione del feudalismo nelle corti, crearono tutta una serie di rapporti di soggezione personale che s'innestarono sui contratti di livello, di masseria, di colonia. Gli antichi livellarî perdettero la libertà originaria, furono vincolati alla gleba, costretti alla prestazione di opere a profitto della corte padronale in una misura regolata da contratto o da consuetudine ma spesso anche ad arbitrio del signore, sottoposti alla giurisdizione e all'obbedienza verso il signore; vivendo accanto agli altri ceti dipendenti, schiavi manomessi, servi casati, aldî o semiliberi, antichi coloni romani assoggettati via via a più gravi restrizioni, anche i livellarî si accostarono alla posizione giuridica di essi.
Un nome comune (manentes, angariales, redditales, servi de corpore) ormai indicava questa classe di dipendenti, che non esisteva soltanto nelle terre ecclesiastiche e nelle grandi signorie laiche, ma costituiva un ordine assai esteso con numerose ramificazioni sopravviventi alla disgregazione di molti dominî fondiarî, tramutati in economie separate, e rappresentava parte notevole dei ceti sociali delle campagne.
La condizione dei servi della gleba era ereditaria; essa comprendeva una serie di vincoli e di oneri (servitiorum et obsequiorum praestatio) e una podestà generale del signore sulla persona e sulle cose del dipendente, senza distinzione fra beni proprî e beni concessi a titolo di colonia, di masseria o di livello; il servo della gleba poteva avere infatti un patrimonio proprio, ma non poteva disporne senza il consenso del signore; spesso soffriva gravi limitazioni nella facoltà di regolare la sorte dei proprî beni dopo la morte; il servo era sottoposto alla giurisdizione padronale, vincolato al fondo, poteva essere dato in pegno e alienato insieme con questo. Le condizioni della servitù della gleba sono analoghe in tutti i paesi, tanto in Inghilterra, dove i rapporti di villanaggio si svolgono nell'interno dell'organizzazione fondiaria e feudale del manor e hanno natura essenzialmente prediale; quanto in Germania, dove abbiamo un esempio tipico di graduale fusione fra liberi e non liberi nella signoria fondiaria e di sovrapposizione di vincoli personali alla dipendenza dei coltivatori; quanto anche in Francia, dove gli elementi caratteristici della servitù, e che distinguono i servi dai franco-villani, si trovano nei tributi personali e nelle prestazioni arbitrarie (taglie, corvate, servigi) alle quali il servo soggiace. Anche qui, come nei paesi tedeschi e in Italia, prevale il carattere personale del rapporto di dipendenza.
Economicamente la condizione dei servi aveva un vantaggio notevole nella stabilità del possesso fondiario dal quale non potevano essere arbitrariamente distolti, ma non cessava di essere difficile, anzi era stata aggravata dal passaggio, sempre più esteso, della terra nelle mani della borghesia cittadina. E allora in Italia, nell'età comunale, prorompe un movimento diretto all'affrancazione dei servi, movimento che rappresenta un aspetto della lotta del comune contro le classi feudali già predominanti nel contado, e contro le giurisdizioni particolari che ostacolavano le conquiste e la preminenza giuridica della città; un aspetto, dunque, della conquista economica e politica del contado, ma di cui non è giusto negare le cause di ordine morale, l'influenza delle dottrine giuridiche ispirate al principio della libertà naturale degli uomini, le nuove idealità politiche e religiose, l'opera della Chiesa, di ordini religiosi come il cisterciense, e, in un certo senso, l'impulso dato dallo stesso movimento francescano.
Quando i servi, abbandonato il fondo, prendevano dimora nella città e vi rimanevano per un certo tempo (cinque o dieci anni) senza essere richiamati dal padrone, acquistavano la libertà, per disposizione di molte legislazioni statutarie italiane: Siena, Lucca, Pisa, Reggio Emilia, Parma, Perugia, Pistoia, Ravenna. In altre città vi fu un vero e grande atto di affrancazione dei servi della gleba: a Bologna, con la costituzione Paradisus e con una provvisione del 1257 che ordinavano la liberazione degli schiavi e degli homines de macinata, con provvedimenti posteriori, del 1282 e 1304, che abolivano e vietavano ogni forma di sottoposizione fondiaria e feudale (divieto che noi troviamo parimenti negli statuti modenesi del 1327); a Firenze, dove una provvisione dei priori delle arti (6 agosto 1289) vietava ogni contratto di acquisto e trasmissione dei diritti servili e altri provvedimenti legislativi vietavano i contratti di assoggettamento, mentre il comune fiorentino procedeva all'affrancazione di larghe schiere di rustici; a Vercelli, dove il comune istituiva borghi franchi ed emanava nel 1243 un atto solenne di affrancazione; ad Assisi e in altre città dell'Italia centrale.
Diverso lo stato delle cose negli altri paesi europei. In nessuno di essi noi troviamo atti generali e solenni di affrancazione, bensì un moto spontaneo e lento di attenuazione degli oneri servili e di trasformazione dei rapporti di dipendenza.
Così in Francia caddero gradatamente le prestazioni arbitrarie e gli elementi di soggezione personale che avevano contraddistinto la servitù e i servi si tramutarono in franco-villani, vincolati pur sempre alla signoria che ebbe in Francia più vasta e duratura diffusione. Le carte regie, le ordonnances per l'abolizione delle taglie e la concessione di franchige e buone consuetudini (ordonnance del 1315 di Luigi X) favorirono questo trapasso. In Germania l'evoluzione delle classi rurali, che giunse in un primo tempo a sostituire la dipendenza reale all'antica dipendenza personale radicando i coltivatori sui fondi e liberando la persona, ottenne nella seconda metà del Medioevo, col disgregamento di molti dominî signorili, di svincolare i possessi dei rustici e di sciogliere i vincoli servili; processo favorito dallo sviluppo delle città tedesche dove l'aria "rendeva liberi". Ma la scomparsa della servitù non fu completa, come non era stata in Inghilterra, dove ancor prima della fine del sec. XIV gradatamente le prestazioni di lavoro dei rustici avevano ceduto il campo a censi in denaro, preparando l'affrancazione delle classi servili; ma questa non sarebbe avvenuta senza la crisi profonda provocata dalla pestilenza del 1348, dalla quale proruppe la grande rivolta dei contadini inglesi del 1381, destinata, col favore della corona, ad avere effetti duraturi per la libertà delle classi rurali.
Nella seconda metà del Medioevo (e particolarmente in Germania, dopo il "periodo eroico" delle classi rurali tedesche) rinascono, per cause diverse e profonde, forme di vincoli fondiarî che si avvicinano alla servitù e che perdurano sino alla soglia dell'età contemporanea; in alcuni paesi, soprattutto dell'Europa orientale, la servitù della gleba era rimasta come forma necessaria dell'ordinamento fondiario. L'età moderna è stata in un certo senso meno favorevole alle classi rurali, per quanto, giuridicamente, la condizione dei servi non sia mai discesa al livello dell'alto Medioevo.
Comunque, nel sec. XVIII e nei primi decennî del XIX il grande moto riformatore e liberale investiva questa sopravvivenza dell'antica servitù e l'aboliva dovunque in Europa; nei paesi tedeschi il servaggio era gradatamente soppresso con provvedimenti legislativi che durarono sino alla rivoluzione liberale del 1848, mentre in Francia spariva, insieme con le istituzioni feudali, nella tormenta della grande rivoluzione. In Russia invece (dove, a differenza degli altri paesi europei, la vera servitù, con forme analoghe a quelle della servitù medievale, si costituì nell'età moderna) l'abolizione si ebbe soltanto nel 1861 con la grande riforma dello zar Alessandro II.
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