Servizi di mobilità online. Corte europea e caso Uber
La nota piattaforma informatica Uber, mediante la quale gli utenti vengono messi in contatto con autisti per ricevere prestazioni di trasporto urbano, è attualmente impegnata in diversi contenziosi, in molti Paesi e su più fronti. In Europa, in particolare, il servizio UberPop, che prevede trasporti da parte di autisti privi di licenze ed autorizzazioni, è stato oggetto di diverse pronunce giurisdizionali ed è ad oggi al centro di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Dalla soluzione della questione sottoposta all’attenzione del giudice europeo si attendono importanti indicazioni sul futuro dei servizi di mobilità online e delle collaborative economies.
L’attività di Uber, intrapresa nel 2010 negli Stati Uniti e approdata in Europa l’anno successivo, ha sollevato accese reazioni sul piano sociale e suscitato notevole interesse presso gli economisti, rappresentando l’affermazione di un nuovo particolare tipo di business.
Anche dal punto di vista giuridico Uber ha posto diverse questioni di non facile soluzione che hanno indotto la dottrina a intervenire nel dibattito su quello che viene comunemente chiamato “caso Uber”1.
In estrema sintesi, Uber, attraverso una piattaforma informatica, consente agli utenti che hanno bisogno di spostarsi all’interno di una città, una volta registrati, di essere messi in contatto – mediante dispositivi come smartphone e tablet provvisti dell’apposita applicazione – e stipulare contratti di trasporto con altri utenti, anch’essi registrati, pronti ad effettuare con la propria automobile il trasferimento nel luogo desiderato2.
Uber offre la possibilità di scegliere tra diverse tipologie di drivers e di servizi ai quali corrispondono diverse fasce di prezzo per la tratta selezionata. Mentre alcuni servizi come UberBlack, UberVan e UberLux prevedono trasporti prestati da autisti professionisti, muniti di autorizzazione, altri servizi sono predisposti per mettere gli utenti in contatto con conducenti che, pur non svolgendo l’attività di trasporto passeggeri per professione e non essendo muniti di alcun tipo di abilitazione in tal senso, mettono loro stessi e il proprio veicolo a disposizione per compiere saltuariamente servizi di trasporto. Tale seconda modalità di attuazione del servizio in molti Paesi europei è stata proposta sotto il nome di UberPop e rappresenta l’oggetto principale delle controversie che ruotano intorno ad Uber.
Su un piano pratico il funzionamento sopra descritto è reso possibile dalla diffusione degli ultimi dieci anni di tecnologie che hanno aumentato esponenzialmente la possibilità per gli individui di connettersi ad internet e fornire con continuità una serie di dati che la piattaforma elabora al servizio della community formata dai suoi iscritti: la geolocalizzazione dei dispositivi mobili degli utenti consente sia agli autisti che ai potenziali passeggeri di inviare istantaneamente alla piattaforma la propria posizione esatta, permettendo di calcolare i tempi di attesa e di individuare la tratta da percorrere; la creazione di un profilo utente che contiene già tutti i dati utili per eseguire i pagamenti elettronici agevola il versamento del corrispettivo per la singola prestazione: Uber preleva automaticamente l’intero prezzo della corsa e trattiene una parte a titolo di commissione, versando il resto al driver; il numero di richieste di trasporto in un’area viene registrato dal sistema ed è incluso nell’algoritmo che determina la tariffa applicabile alla corsa, aumentando il prezzo all’aumentare della domanda (cosiddetto surge pricing) ed incentivando gli autisti ad operare in quella zona in modo da adeguare l’offerta alla domanda; passeggeri e autisti inviano alla piattaforma recensioni reciproche che guidano le scelte dei futuri contraenti e che possono comportare, qualora un utente si attesti al di sotto di certi punteggi, l’esclusione dalla piattaforma.
La combinazione di tali elementi attribuisce ad Uber l’efficienza che, insieme all’economicità, ne ha determinato il successo.
Se da una parte i consumatori hanno accolto positivamente l’arrivo di siffatto servizio, dall’altra altrettanto non può dirsi con riguardo agli altri operatori del settore, i quali hanno da subito contestato la compatibilità dell’attività di Uber con la regolamentazione dell’autotrasporto non di linea, da molti Stati sottratto al libero mercato ed, al contrario, puntualmente regolamentato.
Si è così assistito al proliferare di azioni giudiziarie promosse contro Uber ed in alcuni paesi alla predisposizione di nuove norme che ridisegnassero la disciplina dell’autotrasporto prevenendo o limitando servizi come quelli resi dalla piattaforma americana3.
In particolare, ad essere colpito è stato il servizio UberPop, oggetto delle principali iniziative contro Uber davanti alle corti delle maggiori città europee, sulla base del rilievo per cui il servizio in questione finiva con il favorire l’esercizio abusivo del servizio taxi oltre a dare luogo a pratiche ingannevoli e ad atti di concorrenza sleale.
All’esito di tali giudizi UberPop è stato vietato in Belgio, Italia, Germania, Paesi Bassi e Spagna4.
Nei procedimenti in questione emerge la tensione fra le nuove frontiere della mobilità e un materiale normativo che regola il settore dell’autotrasporto avendo in mente i servizi resi secondo modalità tradizionali5.
Uber infatti si definisce esponente delle moderne collaborative economies e afferma di consentire con la piattaforma informatica UberPop forme alternative di mobilità a prezzi più bassi, rivolgendosi ad una community di utenti che vogliono accedere a un servizio distinto da quelli già presenti sul mercato.
La natura di collaborative economy, invocata da Uber nei diversi giudizi per illustrare il proprio servizio, anche se spesso non è stata valutata come rilevante, mette sicuramente la piattaforma sotto una luce particolare.
Le collaborative economies, infatti, sono viste come un’importante prospettiva di evoluzione economica ed anche la Commissione europea ne ha sottolineato il peso affermando che l’Unione europea deve supportare attivamente l’innovazione, la competitività e le opportunità di crescita che esse portano6. La Commissione tuttavia non ha omesso di considerare i problemi che tali modelli economici sollevano nell’attuale contesto normativo e in particolare, con riferimento alle piattaforme informatiche, ha rilevato la necessità di individuare i casi in cui le cosiddette collaborative platforms non si limitano all’intermediazione tra fornitore e fruitore del servizio sottostante, ma eseguono esse stesse quel servizio: quando la piattaforma si limita all’intermediazione effettuata secondo le forme previste dall’art. 2(a) della dir. 2000/31/CE (cd. “e-Commerce Directive”) la sua attività dovrà essere considerata come un servizio della società dell’informazione e quindi troveranno applicazione le norme che vietano agli Stati membri di limitare la libera circolazione di tali servizi provenienti da un altro Stato membro (art. 3, par. 2, della dir. 2000/31/CE); quando invece la piattaforma è essa stessa fornitrice del servizio troveranno applicazione le norme che regolano il settore del servizio sottostante7.
Sul piano del diritto dell’Unione europea si pone dunque l’interrogativo di stabilire se Uber fornisca un servizio della società dell’informazione, limitandosi all’intermediazione di servizi di trasporto, o se eroghi in prima persona tali servizi. Nel primo caso gli Stati membri potrebbero limitarne l’attività solo in casi eccezionali, individuati dall’art. 3 della dir. 2000/31/CE; nel secondo Uber sarebbe soggetta agli stessi oneri di qualunque operatore del settore dei trasporti che, a norma della dir. 2006/123/CE, non vede applicate le disposizioni finalizzate a garantire la efficace realizzazione della libera circolazione dei servizi.
Stando alle condizioni generali di Uber il suo servizio consiste in una piattaforma che permette di «organizzare e programmare servizi di trasporto e/o logistici con i terzi fornitori indipendenti di tali servizi». L’utente che accetta tali condizioni «riconosce che Uber non fornisce servizi di trasporto o logistici né opera come vettore di trasporto e che tutti detti servizi di trasporto o logistici sono forniti da terzi fornitori indipendenti che non sono alle dipendenze di Uber o di qualunque delle sue società collegate». Nei giudizi che hanno portato all’interdizione del servizio UberPop nei vari paesi, tale ricostruzione, maggiormente articolata negli scritti difensivi delle società del gruppo Uber, non sembra essere stata accolta, prevalendo la posizione delle controparti processuali secondo cui il trasporto effettuato dagli autisti contattati tramite Uber fosse a quest’ultima ascrivibile.
Mentre in molti procedimenti la natura dell’attività della piattaforma rilevava in via meramente strumentale per l’accertamento della sussistenza di atti di concorrenza sleale, vi è stata una questione sottoposta allo Juzgado de lo Mercantil n. 3 di Barcellona in cui la qualificazione del servizio UberPop ha assunto un valore determinante, in quanto metteva in discussione la legittimità di un regolamento locale che impone alle piattaforme che svolgono attività di intermediazione diretta alla conclusione di contratti di trasporto l’obbligo di disporre di determinate autorizzazioni amministrative. Il giudice catalano ha quindi disposto un rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia presentando il seguente quesito principale: «se l’attività di intermediazione tra il proprietario di un veicolo e la persona che deve effettuare spostamenti all’interno di una città […] che consentono a tali persone di mettersi in contatto debba essere considerata una mera attività di trasporto, un servizio elettronico di intermediazione o un servizio della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 1 paragrafo 2» (della dir. 1998/34/CE, richiamato dall’art. 2, lett. a, dir. 2000/31/CE). La Corte di giustizia con l’istaurato procedimento C434/15 è quindi chiamata a qualificare il servizio di Uber, stabilendo a quali norme sia soggetta la sua attività, con l’effetto di tracciare di fatto i limiti dell’intervento degli Stati membri nella regolamentazione delle attività delle piattaforme collegate a servizi non informatici.
In attesa della decisione della Corte, l’11.5.2017 sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale, il quale ha ritenuto che servizi come quelli effettuati da Uber non costituiscano servizi della società dell’informazione, dovendosi attribuir loro la natura di servizi di trasporto (par. 72).
Secondo l’Avvocato Generale, infatti, l’attività della piattaforma non può essere svincolata dal trasporto reso dai singoli conducenti, ritenendo che Uber, soprattutto attraverso l’influenza esercitata nella determinazione del prezzo della singola corsa, controlli in realtà le condizioni in cui la prestazione di trasporto viene eseguita. Pertanto, anche i singoli trasporti, contrariamente a quanto sostenuto da Uber, dovrebbero essere considerati come compiuti da quest’ultima e non dai singoli conducenti.
L’intermediazione della piattaforma e il trasporto, quindi, costituirebbero un unico «servizio misto» in cui la prestazione che consente a passeggero e conducente di essere messi in contatto non solo non sarebbe autonoma, ma – a detta dell’Avvocato Generale – nemmeno prevalente rispetto al trasporto.
Di conseguenza, secondo tale ragionamento, il servizio di Uber non rientrerebbe tra quelli della società dell’informazione a cui si applica la dir. 2000/31/CE, destinata ad ogni servizio «interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici»8 e non beneficerebbe delle norme per l’attuazione della liberalizzazione di tali servizi, ammettendo restrizioni da parte degli Stati membri.
Affermata tale posizione, l’Avvocato Generale ha voluto esporre anche una diversa soluzione del quesito, analizzando le conclusioni a cui si dovrebbe pervenire qualora le attività della piattaforma informatica gestita da Uber venissero valutate quale servizio separato ed autonomo rispetto al trasporto, ossia come un servizio limitato alla «messa in contatto dei passeggeri con i conducenti» (par. 74-90).
In tal caso il servizio di Uber sarebbe circoscritto all’attività di intermediazione e, a differenza di quanto avverrebbe se si accettasse la natura di “servizio misto” inteso in senso unitario, andrebbe collocato nell’ambito dei servizi della società dell’informazione. Infatti, tutti gli elementi individuati dalla normativa comunitaria sono ravvisabili nella piattaforma Uber, essendo l’intermediazione svolta dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario, come richiesto dall’art. 1 dir. 98/34/CE.
Conseguentemente, considerando che il servizio Uber nei paesi dell’Unione europea è fornito da Uber BV, società di diritto olandese stabilita nei Paesi Bassi, gli altri Stati membri non potrebbero adottare misure che limitino la libera prestazione di un servizio della società dell’informazione proveniente da uno Stato membro, stante il divieto posto dall’art. 3, par. 2 della dir. 2000/31/CE.
Se da una parte tale conclusione consente all’Avvocato Generale di ritenere illegittima qualunque prescrizione che imponga la titolarità di un’autorizzazione ad erogare servizi di intermediazione nell’ambito della conclusione di contratti di trasporto urbano, dall’altra, essa non pregiudica le norme di diritto nazionale che regolano l’attività di trasporto propriamente detta in quanto servizio non prestato per via elettronica e quindi estraneo all’ambito regolato dalla direttiva e-Commerce (cfr. art. 2, lett. h). Dunque, separando l’attività di intermediazione da quella di trasporto, non si potrebbe comunque arrivare ad estendere al singolo trasporto, anche quando stipulato grazie ad Uber, la liberalizzazione prevista per i servizi della società dell’informazione, rimanendo legittime le limitazioni relative all’accesso ai servizi di trasporto urbano e al loro esercizio disposte nei diversi ordinamenti dell’Unione europea. Ne deriverebbe la possibilità di sanzionare Uber per il mancato rispetto delle norme di diritto nazionale anche attraverso provvedimenti inibitori del servizio, considerando che, almeno attraverso UberPop, tali norme vengono violate necessariamente e sistematicamente in quanto il servizio si basa proprio sui trasporti effettuati da conducenti privi di abilitazioni. Ad ogni modo, precisa l’Avvocato Generale, anche la libera prestazione di servizi della società dell’informazione può essere derogata da provvedimenti degli Stati membri giustificati da ragioni di ordine pubblico, sanità pubblica, pubblica sicurezza o tutela dei consumatori (cfr. art. 3, par. 4, dir. 2000/31/CE), anche se nel caso della norma sottoposta all’attenzione della Corte tali presupposti non vengono ravvisati.
Nell’ordinamento italiano Uber presenta dei problemi di compatibilità con la l. 15.1.1992, n. 21 per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, che contempla solamente il servizio taxi e il servizio di noleggio con conducente (NCC), condizionati al rilascio rispettivamente di licenza e autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa locale.
Con l’affermarsi di Uber le istituzioni si sono domandate se il servizio taxi e quello di noleggio con conducente rappresentino effettivamente le uniche forme consentite di trasporto di persone non di linea, con conseguente applicabilità delle sanzioni previste dal codice della Strada alle ipotesi atipiche come Uber, o se, al contrario, siano configurabili delle forme di trasporto non pubblico, regolate dal diritto privato.
Il quesito, in particolare, è stato sottoposto al Consiglio di Stato, il quale, al pari dell’Avvocato Generale, è giunto alla conclusione che Uber non si limiti alla mediazione tra domanda e offerta di trasporti, ma attui un servizio di «trasporto privato di persone non di linea»9.
Per la prima sezione del Consiglio di Stato, tale qualificazione non esclude che un servizio come quello di Uber abbia rilevanza pubblicistica e che pertanto debba comunque essere esercitato nel rispetto della l. 15.1.1992, n. 2110. Infatti, le norme contenute in detta legge sono finalizzate alla tutela della sicurezza della circolazione stradale e dell’incolumità dei passeggeri, interessi che non possono essere compressi dal fatto che il trasporto non di linea sia esercitato con forme diverse rispetto a quelle espressamente disciplinate dalla legge e che sia accompagnato da servizi complementari ulteriori.
L’opinione espressa dal Consiglio di Stato su Uber non sembra, almeno per quanto attiene alla qualificazione dei suoi servizi, essere condivisa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), la quale, nel proprio parere del 29.9.2015, ha ritenuto «problematico l’inquadramento di tali nuovi servizi di intermediazione quale mera attività di trasporto, potendo piuttosto rappresentare un’applicazione informatica non soggetta ad alcuna disciplina e, dunque, di per sé legittima»11.
Ciononostante, anche secondo l’AGCM, vi è la necessità di esaminare la conformità dell’attività in concreto svolta dalla piattaforma con le norme pubblicistiche finalizzate a garantire la sicurezza del servizio, il che pone i trasporti effettuati mediante UberPop in conflitto con l’art. 86 del codice della strada.
La natura del servizio di Uber è stata analizzata anche da organi giudiziari, tra cui il Tribunale di Milano, chiamato a decidere se inibire l’attività di UberPop in quanto integrante la fattispecie di atti di concorrenza sleale prevista dall’art. 2598, n. 3, c.c. ai danni di alcune cooperative di taxi12.
Sebbene la corte meneghina nel motivare la decisione di bloccare UberPop abbia evitato di dare una qualificazione, almeno in termini espliciti, del servizio Uber13, si possono rintracciare nelle motivazioni dei due provvedimenti cautelari gli stessi argomenti analizzati nelle conclusioni dell’Avvocato Generale: in particolare anche per il giudice milanese la predisposizione delle tariffe da parte di Uber indurrebbe a dubitare che questa compia attività di mera intermediazione. Tanto nel primo provvedimento cautelare quanto nel secondo reso in sede di reclamo l’attività della piattaforma UberPop è stata valutata come interferente con il servizio di taxi e, stante lo stretto legame tra l’attività di UberPop e quella dei singoli driver privi di licenza, è stato ritenuto che la predisposizione e l’utilizzazione di UberPop costituiscano illeciti concorrenziali in quanto l’adozione di tariffe più basse – che determinano l’illecito sviamento della clientela – costituisce un vantaggio concorrenziale perseguito attraverso la violazione di norme di diritto pubblico. Tale conclusione è stata fondamentalmente confermata nel successivo giudizio di merito dal Tribunale di Torino14.
Nel nostro ordinamento anche i servizi Uber che prevedono trasporti effettuati da conducenti muniti di autorizzazione al servizio NCC sono stati considerati dal Tribunale di Roma attuare una concorrenza sleale ai danni delle cooperative di taxi, poiché la piattaforma consente agli autisti di intercettare un’utenza indifferenziata stazionando al di fuori dell’autorimessa – possibilità che sarebbe riservata dalla l. n. 21/1992 ai taxi – e offrendo trasporti a prezzi diversi e più competitivi rispetto a quelli imposti ai taxi15. Il provvedimento inibitorio del giudice romano non è stato tuttavia confermato in sede di reclamo16.
Prosegue intanto la situazione di stallo normativo-regolamentare, dopo l’ennesimo rinvio (al 31.12.2017) dell’entrata in vigore delle norme antiabusivismo, disposto con l’art. 9 del d.l. 30.12.2016, n. 244, come modificato, in sede di conversione, dalla l. 27.2.2017, n. 19, in attesa che il decreto legislativo attuativo della legge sulla concorrenza recentemente approvata (art. 1, co. 179 ss., l. 4.8.2017, n. 124) introduca finalmente un quadro di regole certe e chiare per tutto il settore del trasporto non di linea.
Tralasciando il risalto dato al conflitto tra il vecchio e il nuovo, si osserva che il dualismo che Uber ha riportato in evidenza nel settore del trasporto stradale non di linea è quello tra due interessi particolarmente rilevanti: da una parte, la sicurezza del servizio, che è alla base della regolamentazione dei diversi paesi che hanno sottratto il settore alla liberalizzazione e, dall’altra, la libera iniziativa economica e la concorrenza nel mercato, che favoriscono lo sviluppo dei servizi e offrono libertà di scelta ai consumatori. Se la Corte di giustizia dovesse confermare l’orientamento espresso dall’Avvocato Generale, agli Stati membri sarà lasciato ampio spazio per la regolamentazione delle attività di piattaforme che come Uber operano nel settore dei trasporti.
In tale prospettiva difficilmente si assisterebbe alla creazione di nuovi equilibri nel rapporto tra la sicurezza del trasporto e le nuove possibilità rese manifeste da Uber di aumentare la capacità dei servizi di mobilità urbana.
Risulterebbero così frustrati gli auspici dell’AGCM e della Corte costituzionale. Quest’ultima, nel dichiarare l’illegittimità di una legge regionale che avrebbe riservato il trasporto non di linea su strada ai soli servizi di taxi e noleggio con conducente, ha invocato l’intervento del legislatore competente a farsi carico tempestivamente delle nuove esigenze di regolamentazione del settore17.
Nel quadro normativo attuale sia i giudici nazionali che l’Avvocato Generale hanno ritenuto che Uber non si limiti ad un servizio di intermediazione. Ciononostante, entrambi hanno puntualmente – seppur in alcuni casi con poca enfasi – osservato che Uber «organizza il trasporto».
Con espressione più efficace taluna dottrina ha affermato che Uber «gestisce tutte le fasi strumentali alla realizzazione del servizio di trasporto»18.
Appare lecito dubitare che la mera organizzazione del trasporto, per quanto stringente, anche ammettendo che superi la soglia dell’intermediazione, possa rappresentare esercizio del servizio di trasporto stesso. Almeno finché le vetture – come allo stato attuale – non sono automatizzate sembra potersi affermare che l’organizzazione non incida sull’individuazione del soggetto che eroga la prestazione tanto da poter affermare che colui che organizza il trasporto necessariamente presta il trasporto stesso.
In tal senso sollevano alcune perplessità le concezioni unitarie del servizio Uber operate dal Tribunale di Torino e dall’Avvocato Generale, con cui l’attività dei conducenti e quella della piattaforma vengono accorpate in un unicum inscindibile e ricondotte a Uber19.
Appare preferibile una ricostruzione più vicina alla seconda delle due proposte dall’Avvocato Generale, considerando le piattaforme come Uber servizi della società dell’informazione e tenendo conto che tale qualificazione non preclude ogni possibilità di intervento per gli Stati a garanzia della bontà e sicurezza del servizio.
Infatti, come avvertito dallo stesso Avvocato Generale, gli Stati membri potrebbero continuare a subordinare a regole più o meno stringenti l’esercizio dei servizi di trasporto sottostanti alle piattaforme e ad esigere che queste ultime attuino un’intermediazione che quanto meno presupponga il rispetto di tali regole.
In tale direzione, essendo ammesse deroghe alla libera di circolazione dei servizi della società dell’informazione, sembrerebbero giustificabili sotto la tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza anche misure degli Stati membri che obblighino le piattaforme a verificare la conformità dei servizi resi dagli autisti ad alcuni degli standard richiesti dalla legge.
In conclusione, considerare le piattaforme come Uber un servizio della società dell’informazione non significherebbe necessariamente liberalizzare il settore dei trasporti urbani non di linea lasciandone al mercato la determinazione del livello di sicurezza, ma consentirebbe di dare rilevanza autonoma alla fase di gestione e organizzazione del servizio, ossia a quella fase in cui le collaborative economies appaiono offrire importanti prospettive di progresso.
1 Romano, V.C., Nuove tecnologie per il mitridatismo regolamentare: il caso UberPop, in Mercato, concorrenza, regole 2015, 133; Mostacci, E.Somma, A., Il caso Uber: la sharing economy nel confronto tra comon e civil law, Milano, 2016; Serafini, S., La concorrenza sleale per violazione della normativa pubblicistica del trasporto urbano non di linea: il caso «Uber», in Corr. giur. 2016, 368; Turchini, V., Il caso Uber tra libera prestazione dei servizi, vincoli interni e spinte corporative, in Riv. giur. servizi pubbl. 2016, 115; Manzini, P., Collaborative economy e regolazione del mercato: il caso Uber, in Web e lavoro Profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 123 ss.
2 Cfr. Noto La Diega, G., Uber law and awareness by design. An empirical study on online platforms and dehumanised negotiations, in European Journal of Consumer Law, 2015, 2, 383, 396.
3 In Francia il 1.1.2015 è entrata in vigore la Loi n° 20141104 du 1er octobre 2014 relative aux taxis et aux voitures de transport avec chauffeur, dichiarata incostituzionale in alcune sue parti da Conseil constitutionnel 22.9.2015 n° 2015484 QPC. Nel febbraio 2017 in Danimarca sono state introdotte nuove misure per regolare il settore dell’autotrasporto tali da costringere Uber a interrompere il servizio.
4 Cfr. Tribunal de Commerce Francophone de Bruxelles 31.3.2014 e Tribunal de Commerce Neerlandophone de Bruxelles 23.9.2015; LG Frankfurt am Main (Beschluss 25.8.2014 – Az.: 203 O 329/14); College van Beroep voor het bedrijsleven 8.12.2014, in AWB 2014, 726; Juzgado de lo Mercantil n. 2 de Madrid 9.12.2014 e 22.5.2015. Per le pronunce dei giudici italiani si veda il § 2.2. In Francia Tribunal correctionnel de Paris 25.3.2014 ha condannato Uber al pagamento di un’ammenda di 10.000 euro per pratiche commerciali ingannevoli.
5 Cfr. Cons. St., Parere relativo all’affare 00757/2015 del 25.11.2015: «la disciplina quadro del servizio pubblico di trasporto non di linea, di fronte alle nuove caratteristiche di mobilità che si sono affermate, mostra i segni del tempo». Nello stesso senso si sono pronunciate anche l’AGCM e la Corte costituzionale cfr. Pollicino, O.Lubello, V., Un monito complesso ed una apertura al dibattito europeo rilevante: uber tra giudici e legislatori, in Osservatorio cost. 2017, II, 1, 8.
6 COM (2016) 356 final, A European Agenda for the collaborative economy, Bruxelles 2.6.2016. Sull’importanza delle collaborative economies cfr. la teoria di Rifkin, J., The zero marginal cost society, New York, 2014, 1, secondo cui al sistema di produzione capitalistico si sta affiancando quello basato sulla collaborazione. In Italia, considerata da Noto La Diega, G., Uber law, cit. 392 tra gli Stati più avanti con la regolamentazione del fenomeno, è attualmente sottoposta all’esame delle Commissioni riunite IX Trasporti e X Attività Produttive la proposta di l. n. 3564 sulla (Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione).
7 COM (2016) 356 final, cit., 56.
8 Art. 1, punto 2, dir. 1998/34/CE richiamato dall’art. 2, lett. a) dir. 2000/31/CE.
9 C. Stato, Parere, cit.
10 Cfr. Manzini, P., Uber: tra concorrenza e regolazione del mercato, in Dir. trasp. 2017, 79, 8182.
11 AGCM, AS1222, Legge quadro per il Trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, 29.9.2015.
12 Un primo provvedimento cautelare Trib. Milano, 25.5.2015, in Dir. ind. 2015, 3, 245 è stato confermato in sede di reclamo Trib. Milano, 9.7.2015, in Riv. it. dir. lav. 2016, II, 46.
13 La qualificazione del servizio del resto non apparirebbe necessaria nel nostro ordinamento ai fini dell’accertamento sull’illecito concorrenziale. Cfr. Giove, L.Comelli, A., Il blocco dell’app UberPop: concorrenza sleale nei confronti del servizio pubblico di taxi, in Dir. ind. 2015, 3, 245, 253 i quali osservano come, conformemente alla tendenza espansiva della nozione di concorrenza i giudici valutano «al di là dell’affinità dei beni e dei servizi, la comunanza di clientela, sulla base del possibile “mercato di sbocco”».
14 Trib. Torino, 22.3.2017, in Foro it. 2017, VI, 2103.
15 Trib. Roma, 7.4.2017, in Foro it. 2017, VI, 2094.
16 Trib. Roma, 26.5.2017, in Foro it. 2017, VI, 2082 ha infatti rilevato l’insussistenza degli obblighi degli esercenti il servizio NCC di stazionamento dei mezzi all’interno della rimessa e di ricevere le prenotazioni presso le rispettive rimesse, poiché si tratta di obblighi contenuti in disposizioni abrogate che non possono essere ritenute reviviscenti alla luce della sospensione dell’efficacia delle norme abroganti. Nel quadro attuale quindi non vi sarebbero norme che impongono ai soggetti autorizzati al servizio NCC tali obblighi e pertanto non vi sarebbero violazioni delle regole della correttezza professionale astrattamente idonee a fondare una responsabilità per concorrenza sleale.
17 C. cost., 15.12.2016, n. 265.
18 Donini, A., Regole della concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda Uber, in Riv. it. dir. lav. 2016, 1, II, 46, 48, la quale conclude comunque che «il servizio di trasporto non è realizzato nei confronti degli utenti con l’ausilio dell’intermediario digitale ma è piuttosto ricompreso nell’ambito dell’attività d’impresa di Uber».
19 Trib. Torino, cit., 2125, dopo aver esaminato le attività di UberPop e dei conducenti afferma: «la condotta è dunque unitaria e posta in essere in forza del medesimo disegno commerciale, da ricondursi direttamente a Uber».