Servizi pubblici locali
A far tempo dal t.u. 15.10.1925, n. 2578 non si era avuta una disciplina generale e tendenzialmente completa sui servizi pubblici locali e relative forme di gestione. Il t.u.e.l. 18.8.2000, n. 267 aveva introdotto alcuni principi (artt. 112118), che però erano stati più volte modificati negli anni immediatamente successivi. La l. 7.8.2015, n. 124 (Madia) ha ora previsto l’emanazione di un t.u. servizi pubblici locali di interesse economico generale, che può rappresentare – assieme a paralleli t.u. delegati – una parte importante della riforma del sistema dei poteri e delle funzioni degli enti locali, avviata con la l. 7.4.2014, n. 56 (Delrio).
La l. 7.8.2015, n. 124 (Madia) ha previsto (artt. 16 e 19) l’emanazione di un decreto legislativo recante un t.u. in materia di «servizi pubblici locali di interesse economico generale». Si tratta di quelle attività che, storicamente, erano definite come servizi pubblici locali di “carattere industriale e commerciale” e che trovano la prima organica disciplina, nell’ordinamento italiano, con la l. 29.3.1903, n. 103 (Giolitti). Come è noto, si tratta di attività quali l’acquedotto e la fognatura, la nettezza urbana e la gestione dei rifiuti urbani, l’illuminazione pubblica, i trasporti pubblici, la distribuzione di energia mediante reti, le farmacie comunali e altre minori ovvero di più recente rilevanza (reti telematiche cittadine)1.
Possono essere servizi pubblici “a domanda individuale” ovvero “indifferenziati”, ma concretano sempre prestazioni di utilità ai cittadini.
La locuzione oggi impiegata nella legge di riordino per identificare la materia deve essere apprezzata perché coniuga, in modo convincente, la tradizionale locuzione italiana (“servizi pubblici”) con la locuzione comunitaria ed europea (“servizi di interesse economico generale”). L’endiadi normativa è appropriata perché permette di evidenziare gli aspetti intimamente collegati che formano la materia e dunque la nozione. Per la prima parte, la locuzione impiegata: a) si riferisce a servizi destinati al pubblico e che pertanto interessano la collettività; b) si riferisce ad attività che, ancorché gestite da privati, sono comunque sottoposte, proprio per il loro carattere sub a), a programmi e/o controlli delle amministrazioni pubbliche o delle Autorità di regolazione. Inoltre, per la seconda parte, la locuzione impiegata richiama le coordinate dell’ordinamento europeo, in quanto: c) si riferisce ad attività da ritenere di interesse generale perché presentano un ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale e pertanto possono essere sottoposte dalle Autorità pubbliche ad obblighi di servizio pubblico; d) tali attività presentano carattere “economico” in quanto consistono in “attività economiche” (nel senso, ad esempio, identificato nel nostro art. 2082 c.c.), e dunque sono attività per le quali devono essere garantite le libertà economiche europee.
La bozza di t.u. elaborato presenta un testo di n. 38 artt. che copre alcuni aspetti generali della materia, per la cui emanazione si attende una decisione politica in merito alla sottoposizione o meno del servizio idrico integrato alla disciplina generale applicabile agli altri servizi pubblici locali. L’alternativa ed il dibattito sul punto discendono dalla precisazione contenuta nei principi e criteri direttivi della l. delega n. 124/2015, che recita nel senso di un «particolare riferimento» alle forme di gestione «operanti nei servizi idrici» «tenendo conto dell’esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011» (art. 19, lett. c)2, per il quale è stato già approvato da un ramo del Parlamento uno specifico disegno di legge3.
Rimane indiscutibile che l’entrata in vigore del t.u. sui servizi pubblici locali non dovrebbe essere però vanificata. Infatti, mentre la disciplina europea è ormai completa4, quella interna ha subito, senza voler partire dalla riforma repubblicana delle autonomie locali (l. 8.6.1990, n. 142) e per limitarsi agli ultimi quindici anni, almeno sei riforme stralcio di impostazione talora contraddittoria, senza peraltro aver mai compiutamente risolto la questione del rapporto tra discipline generali e discipline di settore per i servizi pubblici locali.
Il riordino della disciplina in materia concerne i servizi pubblici locali e dunque quelli che riguardano i Comuni, le Città metropolitane e le Province (rectius i nuovi Enti di area vasta).
L’intima correlazione tra dimensione interna e dimensione comunitaria (molto legata alla concorrenza) delle prestazioni di utilità ai cittadini rende conto di una specifica qualificazione definitoria che già emerge dalla legge-delega per il nuovo t.u. Nell’art. 19, lett. a) si precisa che l’individuazione delle attività (servizi) di interesse generale riguarda (può riguardare solo) quelli il cui svolgimento è «necessario» al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali5. L’innegabile restrizione al potere degli enti locali di organizzare attività come servizi pubblici risulta evidentemente discendere da una concezione forte della “sussidiarietà orizzontale” di cui all’art. 118, ult. co., Cost. e dalla considerazione che il principio europeo di concorrenza richieda più ampi spazi per la “concorrenza nel mercato” e non si possa limitare alla “concorrenza per il mercato” (nell’attribuzione delle concessioni di servizio pubblico), come – del resto – è stato autorevolmente chiarito in sede consultiva6. Nella disciplina previgente (art. 112, t.u.e.l.), con più ampio spettro di possibile assunzione e conseguente organizzazione, si stabiliva – invece – che: «Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali». In tale sede, la mancanza del riferimento alla “necessarietà” permetteva ovviamente (ed ha permesso) più ampie possibilità di organizzazione di attività varie alla stregua di servizi pubblici.
La nuova disciplina potrà, tuttavia, essere molto utile anche per i legislatori regionali e per lo stesso legislatore statale, a proposito dei servizi nazionali: da sempre le disposizioni sulla gestione dei servizi pubblici locali rappresentano il paradigma delle forme organizzative dei servizi pubblici in genere7.
Pur nella prospettiva di un futuro perimetro più ristretto dei servizi (assumibili come) pubblici locali e cioè come attività organizzate dalla conformazione organizzativa degli enti locali che ne scelgono la relativa forma di gestione, vi sarà comunque un’ampia presenza di siffatti servizi, perché vari tra essi sono addirittura obbligatori per legge che ne attribuisce la competenza agli enti locali (es. servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati, servizi idrici integrati; cfr. d.lgs. 3.4.2006, n. 152), senza che le amministrazioni attributarie abbiano la possibilità di disporre liberalizzazioni.
Il fondamento della disciplina statale in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale è rappresentato dalle esigenze di “tutela e promozione della concorrenza”, di “tutela dell’ambiente”, di determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e dalla inerenza a “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane” ai sensi dell’art. 117, co. 2, Cost. La disciplina statale dettata con il t.u. costituirà “principi di riforma economico-sociale della Repubblica” in relazione alle competenze delle Regioni speciali e delle Province autonome quali risultanti dai relativi Statuti differenziati.
Sono poi assolutamente centrali le previsioni del t.u. sul relativo ambito di applicazione, che conviene richiamare integralmente. Esse si applicheranno a tutti i servizi pubblici locali di interesse economico generale. Salve le disposizioni in materia di “modalità di affidamento” e di “organizzazione dei servizi a rete”, che prevarranno (seppure non totalmente) sulle normative di settore, e salve le abrogazioni espresse stabilite dal t.u., rimarranno però disciplinati dalle rispettive normative di settore: il servizio idrico integrato e il servizio di gestione integrata dei rifiuti di cui al d.lgs. 3.4.2006, n. 152, e successive modificazioni; il trasporto pubblico locale, di cui al d.lgs. 19.11.1997, n. 422 e successive modificazioni; il servizio farmaceutico, di cui alla l. 2.4.1968, n. 475. Invece, per il servizio di distribuzione di gas di cui al d.lgs. 23.5.2000, n. 164 e successive modificazioni, per il servizio idrico integrato e per il servizio di distribuzione di energia elettrica di cui al d.lgs. 16.3.1999, n. 79 ed alla l. 23.8.2004, n. 239 rimarranno ferme anche le norme sulle forme di gestione del servizio quali stabilite dalle disposizioni speciali; ciò appare coerente con la circostanza che il primo ed il terzo di tali servizi non possono essere più considerati propriamente locali, essendo ormai disciplinati e regolati dalle fonti citate come fasi della filiera dei mercati interni (nazionali) del gas naturale e dell’energia elettrica.
La l. n. 124/2015 ed il conseguente t.u. muovono dall’esatto significato del carattere pubblico di un servizio, che è tale perché “destinato al pubblico” e non per la natura del gestore. Il t.u. rimarca particolarmente la centralità del cittadino nel visum delle decisioni di organizzazione e produzione dei servizi di cui trattasi «anche favorendo forme di partecipazione attiva». Pertanto, l’assunzione, la regolazione e la gestione di questi servizi devono essere «ispirate a principi di efficienza nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati, applicazione di tariffe orientate ai costi standard, promozione di investimenti in innovazione tecnologica». Inoltre e conseguentemente agli utenti dei servizi pubblici locali sono assicurati l’accessibilità, la continuità, la non discriminazione e i migliori livelli di qualità e sicurezza.
In relazione a quanto sopra, anche considerando la tutela della concorrenza, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi (che devono essere garantite), gli oneri aggiuntivi derivanti dagli obblighi di servizio pubblico potranno essere compensati ma nella misura strettamente necessaria a consentire il perseguimento da parte del prestatore del servizio della specifica missione ad esso affidata e nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato.
La nuova disciplina esplicita e chiarisce ciò che era stato anticipato dall’art. 34, co. 2026 (già 1318) del d.l. 18.10.2012, n. 179 conv. in l. 17.12.2012, n. 221 e dunque la necessità di una approfondita ponderazione tra le varie soluzioni possibili prima della scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale. Si tratta di un profilo che la giurisprudenza amministrativa aveva, da tempo, sottolineato e che, purtroppo, era stato – nella pratica – spesso disatteso o risolto in maniera meramente enunciativa: la scelta dell’amministrazione di organizzare il servizio pubblico mediante un determinato modello (forma di gestione) tra gli altri possibili dovrebbe, infatti «essere rivestita da particolari cautele e deve derivare da una adeguata ponderazione di tutti gli interessi coinvolti da tale scelta; segnatamente deve evidenziare la convenienza economica per le finanze dell’ente locale» di una soluzione rispetto alle altre possibili. «In particolare occorrerà redigere una relazione che confronti i risultati economici prevedibilmente derivanti dalle varie possibili forme di gestione tenendosi conto della qualità del servizio erogato e del diverso grado di efficienza nello svolgimento attraverso l’uno e l’altro strumento, mediante un calcolo dettagliato dei costi e benefici di ciascuno di essi»8.
Preliminare alla scelta di assumere un servizio pubblico, cui segue la scelta della forma di gestione, è tuttavia la verifica che le attività non siano già fornite e non possano essere fornite da imprese operanti secondo le normali regole di mercato, in modo soddisfacente e a condizioni coerenti con il pubblico interesse come definito dall’amministrazione in termini di prezzo, caratteristiche obiettive di qualità e sicurezza, continuità e accesso al servizio. In sostanza, il servizio pubblico non deve essere assunto ed organizzato dagli enti locali se le prestazioni sono già disponibili sul mercato con possibile (prevedibile) soddisfazione dell’utente.
La disciplina dei servizi pubblici locali e relative forme di gestione si intreccia con quella delle società a partecipazione pubblica locale. Ed infatti, la l. n. 124/2015 ha previsto consecutivamente (artt. 18 e 19) l’emanazione dei t.u. nelle due indicate materie; quello sulle partecipazioni pubbliche è stato già emanato con il d.lgs. 19.8.2016, n. 1759.
Le forme di gestione sono tradizionalmente classificabili in due grandi categorie: le cd. forma di gestione diretta e le concessioni a terzi10; questi due distinti istituti sono posti dal diritto europeo su un piano di parità: le Autorità possono avvalersi «delle proprie risorse», anche cooperando con altre amministrazioni oppure possono conferire i servizi «a operatori economici esterni»; il diritto europeo «non richiede la privatizzazione di imprese pubbliche che forniscano servizi al pubblico» ma gli operatori economici devono essere trattati «su un piano di parità e in modo non discriminatorio», attraverso procedure di aggiudicazione trasparenti e proporzionali (artt. 2 e 3, dir. 2014/23/UE).
La l. n. 124/2015 e i conseguenti t.u. riprendono ovviamente i modelli di gestione quali disegnati dal diritto europeo, cui anche la nostra C. cost. ha fatto più volte riferimento11.
La figura della “società in house” è ora disciplinata nel t.u. n. 175/2016 (art. 16) che delinea, per la prima volta, anche i caratteri della “società a partecipazione mista pubblico-privata” (art. 17). L’aggiudicazione dei contratti di concessione rinviene la propria disciplina basilare nella direttiva 2014/23/UE del 26.2.2014 e nel d.lgs. n. 50/2016. L’azienda speciale, che è parallela ed omologa alla società in house, resta ancora disciplinata dall’art. 114 del t.u.e.l. n. 267/2000 e dai co. 550 ss. della l. 27.12.2013, n. 147 come modificati dall’art. 27 del t.u. n. 175/2016.
Come è noto, la disciplina dei servizi pubblici locali in Italia viene aperta sistematicamente dalla l. 29.3.1903, n. 103 (Giolitti) e si consolida con il t.u. n. 2578/1925 e gli artt. 265267 del t.u. 14.9.1931, n. 1175, recanti – rispettivamente – disposizioni sulla “assunzione diretta” dei servizi pubblici da parte di Comuni e Province e sulle “concessioni a terzi”12. Siffatte disposizioni hanno rappresentato per molti decenni la base normativa per un significativo sviluppo e diffusione dei servizi pubblici locali sul territorio. Le disposizioni richiamate si basavano sulla possibilità per gli enti locali di scegliere la forma di gestione ritenuta più adeguata nei singoli contesti territoriali e con riferimento alla tipologia del servizio pubblico; la scelta doveva ovviamente rispondere alle regole della discrezionalità amministrativa, ma con un appropriato vincolo di ponderazione, come è dimostrato dall’obbligo allora previsto di adottare un “progetto di massima tecnico finanziario” per l’impianto e la gestione del servizio pubblico qualora si intendesse assumere direttamente il servizio mediante azienda speciale (art. 10, t.u. n. 2578/1925), così come dall’obbligo di assegnare una concessione a terzi stabilendo contestualmente ed in modo puntuale tariffe, canoni, modalità per il trasferimento all’ente locale degli impianti costruiti dal privato a fine concessione (art. 265, t.u. n. 1175/1931).
La l. n. 142/1990 ha solo aggiornato la configurazione giuridica delle forme di gestione aggiungendo, quale ipotesi di assunzione diretta, la “società a prevalente capitale pubblico locale” (art. 22, lett. e). Anche con la legge del 1990 veniva riconosciuta agli enti locali la possibilità di scegliere, tra una pluralità di modelli gestionali indicati dal legislatore, la forma di gestione ritenuta più appropriata. Il legislatore del 1990 rimarcava comunque l’esigenza di garantire economicità, efficienza ed efficacia nelle scelte di organizzazione del servizio pubblico locale13. In sede di riordino delle autonomie locali con il t.u.e.l. n. 267/2000 e coordinando soprattutto le norme emanate nel corso degli anni novanta, il legislatore ha emanato importanti disposizioni su: finalità dei servizi pubblici locali (art. 112); pluralità delle forme di gestione, tra le quali gli enti locali effettuano in autonomia la scelta concreta tenendo conto del carattere industriale o meno del servizio pubblico (art. 113); regime e procedure della trasformazione in società di capitali delle aziende speciali-ente pubblico (art. 115); costituzione di società con partecipazione minoritaria di enti locali, con soci privati scelti mediante procedure ad evidenza pubblica (art. 116 e conseguente d.P.R. 16.11.1996, n. 533); criteri per la formulazione delle tariffe dei servizi pubblici locali (art. 117); condizioni e limiti per il trasferimento dei beni degli enti locali alle forme di gestione dei servizi pubblici locali e relativa retrocessione (art. 118).
Queste norme di cui alla versione originaria del t.u.e.l. rappresentavano una disciplina organica e ben strutturata, ma solo un anno più tardi intervenne la prima riforma-stralcio con la l. 28.12.2001, n. 448 Con l’art. 35 di tale legge si stabilì, in modifica dell’art. 113 del t.u.e.l. che le attività di erogazione dei servizi pubblici locali potevano essere svolte solo previo affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica (esternalizzazione). Il trattamento preclusivo per i nuovi affidamenti diretti veniva accompagnato da norme che stabilivano una scadenza anticipata degli affidamenti diretti in corso (ad aziende speciali, a società a prevalente capitale pubblico locale) ancorché assegnati in conformità alla normativa pro-tempore vigente.
La possibilità per gli enti locali di scegliere tra più alternative di gestione (affidamento dei servizi pubblici con gara, affidamento a società mista con socio privato selezionato mediante gara, affidamento in house) venne però reintrodotta con il d.l. 30.9.2003, conv. in l. 24.11.2003, n. 326, che modificò, ancora una volta, ancora una volta l’art. 113 del t.u.e.l. e stabilì norme meno drastiche per la scadenza anticipata degli affidamenti diretti in corso, limitandola ai soli casi in cui si trattasse di modelli gestionali per i quali l’ordinamento comunitario prevedeva l’impossibilità di dare luogo ad affidamenti diretti (cfr. art. 113, co. 15 bis nel testo allora in vigore e introdotto dal d.l. ult. cit.).
Tuttavia, l’indirizzo politico fu modificato ancora una volta perché mediante l’art. 23 bis del d.l. 25.6.2008, n. 112 conv. in l. 6.8.2008, n. 133, si stabilì un forte impulso alla esternalizzazione dei servizi pubblici locali. Scelta che viene ribadita, nonostante l’esito del referendum del 12-13 giugno 2011, mediante l’art. 4 del d.l. 13.8.2011, n. 138 conv. in l. 14.9.2011, n. 148, dichiarato incostituzionale per violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art 75 Cost.14. Si tratta degli ultimi passaggi di una sequenza normativa già illustrati nel Libro dell’anno del Diritto 2013, al quale si rinvia15. Il successivo e già ricordato art. 34 del d.l. n. 179/2012, rappresenta il vero punto di svolta nella disciplina dei servizi pubblici locali perché richiama il dovere di rispettare la disciplina europea, ma lo coniuga come – del resto – lo stesso diritto europeo presuppone, con il parametro della “economicità di gestione” con quello della destinazione utile “alla collettività di riferimento”16.
Nella ragionevole prospettiva di una prossima emanazione del t.u. sui servizi pubblici locali di interesse economico generale e considerando il relativo carattere di t.u. di coordinamento per un riordino della disciplina senza innovazioni sostanziali, appaiono centrali i principi che la giurisprudenza ha affermato, soprattutto perché – attraverso tali principi – sono stati delineati i caratteri del sistema normativo in materia e ricostruiti i profili degli istituti ivi disciplinati.
Al riguardo, risulta particolarmente importante una recente pronuncia del giudice amministrativo che riassume vari principi e vincoli di sostanza che debbono essere seguiti dagli enti locali, sull’organizzazione dei servizi pubblici locali. Il TAR Lombardia, sez. III, 3.10.2016, n. 178117, ha rilevato che i servizi pubblici locali di rilevanza economica possono essere gestiti indifferentemente mediante il mercato (ossia individuando all’esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero attraverso il cd. partenariato pubblicoprivato (ossia per mezzo di una società mista e quindi con una gara a doppio oggetto per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio), ovvero, ancora, attraverso l’affidamento diretto, in house, senza previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso dall’ente, ma che ne costituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, ricorrendo in capo a quest’ultimo i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo (sulla società affidataria) analogo (a quello che l’ente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte della società affidataria, della parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti che la controllano. Per la scelta tra i vari possibili modelli è necessaria la redazione di un’apposita relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma dell’affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi del servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste, attraverso un processo d’individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti.
Come spesso accade, le norme, anche quelle più adeguate, richiedono una appropriata attuazione.
L’interesse economico generale di un servizio pubblico non può derivare da opzioni politiche e neppure dalla qualificazione nominalistica del legislatore interno, perché la caratteristica di attività economica o meno deve essere considerata in relazione all’ordinamento europeo. Nel calcolo delle tariffe di questi servizi pubblici, proprio per il carattere che li contraddistingue, non si può decampare dalla adeguatezza della remunerazione del capitale investito in coerenza, però, con le prevalenti condizioni di mercato.
Gli affidamenti non conformi alla stessa normativa vigente alla data della loro assegnazione non possono proseguire, ma devono essere resi conformi ai modelli di gestione quali previsti dal t.u., secondo le procedure ivi stabilite. Nelle ipotesi di aggregazione tra due o più gestori, titolari di distinti affidamenti, la società risultante dall’aggregazione proseguirà in tutti gli anteriori rapporti e ciò in conformità ai principi generali (cfr. art. 2504 bis c.c.).
Per l’organizzazione dei servizi a rete, che devono essere gestiti per ambiti territoriali ottimali, sarà decisivo un futuro razionale assetto degli Enti di area vasta che (hanno preso) prenderanno il posto delle Province. Molto adeguato per garantire economicità, efficienza ed efficacia nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, risulterà la nuova estesa competenza della Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico pure a tale materia, che diverrà dunque oggetto di una regolazione che oggi è solo parziale (perché locale).
Note
1 Sul tema cfr. Dugato, M., I servizi pubblici locali, in Tratt. Cassese.
2 Sul reale significato del quesito referendario, v. C. cost., 26.1.2011, n. 24 (Pres. De Siervo, U., Rel. Gallo. F.).
Le alternative di contenuto per il t.u. sono richiamate negli interventi del relatore di maggioranza Pagliari, G., e del Ministro Madia, M., quali risultano dal Res. somm. n. 426 del 4.10.2016 della I Comm. permanente SenatoXVII legisl. nell’ambito della formulazione dei pareri parlamentari sullo schema di t.u.
3 D.d.l. n. 2343AS (già 2212AC) approvato dalla Camera il 20.4.2016, di iniziativa dei deputati Mariani e altri recante «Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua».
4 Ci si riferisce alle chiare indicazioni dell’art. 14 TFUE e relativo protocollo 26 allegato al TFUE e TUE; alla direttiva 2014/23/UE del 26.2.2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; alla direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno, mentre – a livello nazionale – non sono affatto sufficienti le previsioni di recepimento di cui al codice dei contratti pubblici d.lgs. 18.4.2016, n. 50 e di cui al d.lgs. 26.3.2010, n. 59 sui servizi (non pubblici) nel mercato interno.
5 Il requisito della “necessarietà” compare anche nella corrispondente definizione offerta dall’art. 2, lett. h) del d.lgs. 19.8.2016, n. 175, recante il t.u. in materia di società a partecipazione pubblica.
6 Cfr. Cons. St., sez. cons. atti normativi, 11.6.2012, n. 2805 (Pres. Cossu, L., Rel. Chieppa, R.): «Si ricorda che nei mercati non ancora completamente liberalizzati, non potendo operare tutti i soggetti interessati, la pubblica amministrazione si limita a rispettare la c.d. “concorrenza per il mercato” e cioè deve scegliere l’imprenditore (o, a volte, gli imprenditori) cui affidare la erogazione di quel determinato servizio mediante procedure competitive di selezione ad evidenza pubblica, in modo da assicurare l’individuazione dell’operatore più idoneo ad effettuare gli investimenti necessari e offrire il servizio migliore al minore costo. La gara non è un bene in sé, è uno strumento, da utilizzare in modo corretto, che garantisce solo la concorrenza per il mercato, non la concorrenza nel mercato. La “concorrenza nel mercato” consente, invece, agli imprenditori del settore di operare contemporaneamente nel mercato rilevante ad armi pari, riuscendo a soddisfare le esigenze della comunità amministrata. In un regime completamente liberalizzato e, quindi, di piena concorrenza, l’accesso al mercato dovrebbe essere libero o, al più, caratterizzato dal previo rilascio di autorizzazioni (vincolate) all’esercizio della relativa attività economica – qualora sia necessario che gli operatori presentino determinati requisiti – in base a criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. La liberalizzazione del settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» può dunque costituire «un passaggio fondamentale nell’ambito delle misure per la concorrenza».
7 Il rilievo ordinamentale dei servizi pubblici locali e la necessità di rispettare, nelle loro discipline, le coordinate del sistema amministrativo, sono illustrati nell’importante parere Cons. St., comm. spec. 6.4.2016, n. 1075 (Pres. Frattini, F., Rell., Tarantino, L.M. e Lageder, B.).
8 Cons. St., sez. VI, 12.3.1990, n. 374 (Pres. Salvatore, P., Rel. Torsello, M.).
9 In argomento, v. in questo volume, Diritto amministrativo, 2.2.1 Società partecipate.
10 Severini, G., L’affidamento dei servizi pubblici locali: caratteri e procedure, in Servizi pubblici e appalti, 2003, 173 ss.; Calcagnile, M., Regime di proprietà degli impianti e delle reti e vincolo di destinazione a servizio pubblico, in Le proprietà pubbliche: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di F.G. Scoca e A.F. Di Sciascio, Napoli, 2016, 233 ss.
11 Per una sintesi dei richiami e riferimenti v. C. cost., 16.7.2014, n. 199 (Pres. Cassese, S., Rel. Mattarella, S.). La prima decisione comunitaria rilevante per ricostruire i caratteri delle forme di gestione dei servizi pubblici è ovviamente rappresentata da C. giust. CE, 18.11.1999, in causa C107/98, Teckal s.r.l. (Pres. Edward, D.A.O., Rel. Jann, P.).
12 Cfr. Caia, G., Municipalizzazione dei servizi pubblici, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1 ss.
13 Cfr. Caia, G., Organizzazione dei servizi pubblici locali. Figure, regime e caratteristiche, in Foro amm., 1991, 3167 ss.
14 Cfr. C. cost., 20.7.2012, n. 199 (Pres. Quaranta, A., Rel. Tesauro, G.).
15 Caia, G., Le nuove discipline dei servizi pubblici, in Libro dell’anno del Diritto 2013, Roma, 2013, 238.
16 Molto rilevante l’esplicitazione che è stata fornita con il protocollo sui «servizi di interesse generale» allegato n. 26 al TFUE: «I valori comuni dell’Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale … comprendono in particolare: – il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti; – la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; – un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente».
17 Pres. Di Benedetto, U., Est. Mameli, V.S.