Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La famiglia è attraversata nel Novecento da molteplici istanze di cambiamento che investono in primo luogo il corpo e la libertà femminile, oggetto di un vero e proprio contenzioso da parte di Stato e Chiesa, ma soggetto di ritrovate identità individuali e collettive. Non è solo l’intimità coniugale a risentirne: prima le forme di controllo delle nascite, poi le tecniche di fecondazione artificiale sganciano simbolicamente la sessualità dalla riproduzione, rinnovando la vita intima di uomini e donne, insieme alla domanda di riconoscimento sociale per la famiglia “di fatto” o le unioni omosessuali. Ma queste tensioni di profondo rinnovamento convivono con i pilastri erosi e impazziti della famiglia patriarcale, che ancora troppo spesso costituiscono, proprio all’interno della famiglia, una minaccia alla stessa incolumità femminile.
Doppia tutela
Nel corso del Novecento il binomio sesso-famiglia è protagonista di infrazioni e demolizioni di norme e tabù ottocentesche che, tuttavia, hanno continuato a regolamentare la vita intima coniugale e l’educazione dei figli. Bersaglio di quest’opera di demolizione, condotta da avanguardie, da movimenti collettivi e silenziosamente nella comune vita quotidiana, è fin dall’inizio l’idea di famiglia fondata sulla gerarchia tra i sessi e sull’indissolubilità del matrimonio, cui Chiesa e Stato assegnano il doppio compito di riprodurre la filiazione legittima e reprimere i piaceri del sesso e del corpo della donna. Perché è la sessualità femminile che innanzitutto deve essere disciplinata, mentre all’uomo è lasciata la via di fuga della “doppia morale”, che giustifica bordelli, case di tolleranza e rapporti sessuali con le giovani domestiche di famiglia. Non mancano però varie forme di concubinato, mentre il fenomeno delle nascite illegittime testimonia la diffusione di rapporti sessuali prematrimoniali.
È una storia le cui radici affondano nel diritto romano e nella dottrina della Chiesa cristiana. Ricordiamo la sistemazione controriformista del Concilio di Trento (novembre 1563), quando la Chiesa cattolica istituì solennemente il sacramento del matrimonio, attribuendogli prioritariamente la finalità della procreazione e la complementare funzione di remedium concupiscentia: la sessualità libera dalla procreazione deve essere preclusa alla coppia coniugale, e dovranno passare più di 400 anni perché la Chiesa riveda tale prescrizione (riforma del diritto canonico del 1983).
Il matrimonio civile, invece, già riconosciuto nei Paesi protestanti, viene consegnato allo Stato ai tempi della Rivoluzione francese (settembre 1792) e poi definitivamente istituito dal Codice Napoleonico (1804), che restituisce al capofamiglia pieni poteri sui figli e sulla moglie. In questa forma lo adotta l’Europa e nel 1865 l’Italia, dove con i Patti lateranensi del 1929 effetti civili vengono riconosciuti anche ai matrimoni celebrati secondo il rito cattolico. Gli Stati nazionali, avocando a sé la regolamentazione del matrimonio, intendono sottolinearne il valore di contratto e la rilevanza civile in termini di assi ereditari e assetti patrimoniali, mentre sul piano dei principi morali, della gerarchia tra i sessi e del controllo del corpo femminile, si stabilisce una buona alleanza tra i due poteri. Non dimentichiamo infine che, dalla seconda metà dell’Ottocento, all’occhio vigile della Chiesa e dello Stato si aggiunge quello della medicina e della psichiatria, nei cui discorsi appare per la prima volta la parola “sessualità”, seguita dalla classificazione e spiegazione delle perversioni omosessuali e di “certe” deviazioni femminili verso la ricerca del piacere e dell’eccitazione sessuale, che era considerata illegittima e innaturale per le donne.
Si definisce così il modello di matrimonio borghese e di famiglia moderna, che si estende poi agli altri ceti sociali, operai compresi, e rispecchia bene l’organizzazione della società capitalistico-industriale con la sua peculiare distinzione tra sfera pubblica e privata e il lavoro sessualmente diviso tra lavoro retribuito per il mercato e lavoro gratuito delle donne in famiglia. La vita di casa è affidata alla presenza quotidiana della donna, moglie obbediente e madre da educare perché possa essere degna di tale nome. Il posto di rilievo riconosciuto all’infanzia e alla crescita della prole e la conseguente necessità di regolamentare le nascite tramite la contraccezione maschile, completano il quadro entro cui il rapporto sessuale tra coniugi mostra sia aspetti di moderazione e astinenza che ignoranza e disattenzione per il corpo e la sessualità della donna. Le teorie mediche ad esempio associano la qualità del rapporto al vigore e alla rapidità maschili e ignorano la eiaculatio precox che pure era una pratica largamente diffusa.
Non mancano naturalmente voci autorevoli dissenzienti, correnti di pensiero favorevoli a una nuova sessualità coniugale, che del matrimonio denunciano gli aspetti d’oppressione e d’infelicità. Emblematica è la trasposizione letteraria di Ibsen in Casa di bambola (1879), la cui la protagonista, Nora, si ribella alla propria posizione subalterna e a un rapporto coniugale mortificante e lascia i figli e il marito, un uomo privo d’anima, un borghese osservante della morale del tempo, irrigidito in un ruolo giudicante e punitivo. Il modello e i rapporti di forza che lo sostenevano rimangono tuttavia ben saldi sulle loro fondamenta. Non ci sorprendiamo dunque se la loro trasformazione interesserà tutto il Novecento e seguirà un percorso non lineare, dove risalta la frattura aperta dalla Grande Guerra, seguita, nei decenni successivi, dal ripristino dell’ordine tradizionale e dalle pesanti restaurazioni imposte nei Paesi a regime fascista e nazista.
Incrinature
A livello culturale la rappresentazione idealizzata della famiglia e del matrimonio già agli inizi del secolo era stata dissacrata dallo sguardo penetrante di Freud, che nei due scritti, i Tre saggi sulla sessualità del 1905 e La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno del 1908, aveva dissotterrato le pulsioni sessuali ed erotiche e riconosciuto i bisogni profondi di un corpo represso. D’un colpo i tabù sessuali vengono smascherati, compresa l’idea della pura innocenza infantile, lasciando emergere tutto quello che avevano inteso occultare. Freud viene accusato anche di ciarlataneria e passeranno alcuni decenni prima che la sua opera acquisti credito scientifico e diventi di dominio pubblico. In Italia la prima Società Psicanalitica nasce nel 1925 tra molte difficoltà e solo negli anni Sessanta e Settanta la psicanalisi si affermerà come nuova cura della malattia mentale e come movimento culturale.
Gli scritti citati non si limitano ad affermare la centralità delle pulsioni sessuali nella vita degli adulti e del bambino. Segnano anche una rottura con l’idea di una sessualità ridotta alla dimensione del bios e privata della dimensione, erotica, mentale, di relazione con l’altro. Memorabili sono le pagine dedicate al matrimonio borghese, alle restrizioni cui è sottoposta la vita sessuale coniugale, al rapido spegnersi dell’iniziale slancio passionale sotto l’assillo di compiti procreativi e di pratiche contraccettive, al lento subentrare della monotonia che non solo inibisce l’eros ma fa svanire la stessa tenerezza fisica. Guidato dai racconti dei suoi pazienti, Freud si addentra nella vita sessuale individuale e di coppia, racconta le perversioni, il “disagio”, il “nervosismo” e le nevrosi causate dalla repressione quando a subirla sono gli individui più fragili. Non solo umanizza perversi e nevrotici, ma iscrive la loro condotta sessuale tra i costi sociali inevitabili della civilizzazione, del “modello di vita civile”. Pur rimanendo all’interno di una concezione patriarcale della famiglia e della società, non può non ascoltare il malessere femminile, interpretarlo come esito del conflitto tra desiderio e senso del dovere; non può non vedere che per le donne l’unica via d’uscita per difendere la loro virtù è la caduta nella malattia. E si spinge molto più in là, attribuendo al sacrificio della vitalità sessuale, cui la donna è costretta, l’indebolimento della sua vitalità intellettuale poiché è dalla prima che la creatività riceve forza e incoraggiamento.
Per tutto il Novecento, i mutamenti che riguardano i modi di fare famiglia e di vivere la sessualità coniugale, sono accompagnati da battaglie culturali pro e contro l’emancipazione. L’ipotesi repressiva troverà una significativa sistemazione nella Storia della sessualità di Michel Foucault , che riprende e sviluppa l’idea freudiana della civilizzazione come disciplina e autocontrollo della vita impulsiva, costruzione di corpi addomesticati, “docili”, privati del desiderio. Prima di Foucault, Herbert Marcuse in Eros e civiltà, pubblicato nel 1955 e tradotto in Italia nel 1964, aveva descritto la famiglia monogamica patriarcale come una forma di repressione non diversa da quella subita sul lavoro, cosicché non ci potrà essere liberazione sessuale senza una radicale trasformazione sociale. Tra Marcuse e Foucault si situano i movimenti giovanili e femministi degli anni Sessanta e Settanta e le grandi riforme della famiglia. Permane in ogni caso l’idea della naturalità della famiglia, sostenuta dalla predicazione religiosa che la arricchisce e perfeziona ricorrendo all’analogia tra famiglia umana e divina, mentre le dottrine tradizionali del diritto naturale attribuiscono alla famiglia il valore universale di un’unione finalizzata alla procreazione. È una convinzione fortemente radicata che convive e si adatta a fatica alle nuove famiglie della fine del Novecento.
Mutamenti “straordinari”
La caratteristica del secolo, chiamato “il secolo breve” o il più violento e terribile della storia occidentale, come ricordano Barbagli e Kertzer in apertura al loro Storia della famiglia nell’Europa occidentale (2003), è negli eventi e nei mutamenti straordinari senza precedenti che lungo il suo corso si sono verificati. Alla prima guerra mondiale della storia dell’umanità segue, 20 anni più tardi, una seconda e ancora più terribile guerra mondiale. Intanto, l’Europa viene attraversata da vasti movimenti migratori interni ed esterni ai singoli Paesi che proseguirono fino agli anni Settanta, quando si apre il ciclo delle migrazioni internazionali. Uomini e donne si mettono in cammino dal Sud del mondo verso l’opulento Occidente: famiglie separate, ricongiunte, transnazionali, matrimoni “misti”, diaspore. È stato il secolo dei lager e del genocidio degli ebrei. Ha conosciuto, all’inizio degli anni Trenta, la più grave crisi economica mondiale e poi, dal 1945 al 1973, il trentennio glorioso del più rapido sviluppo economico mai verificatosi. Ha visto la nascita del welfare state e dei diritti sociali, e il loro declino. È in questo secolo che si è avuto un fortissimo aumento dell’occupazione delle donne adulte, sposate e con figli, nel mercato del lavoro retribuito e per la prima volta si registra un processo d’invecchiamento della popolazione. È stato vinto l’analfabetismo con l’estensione dell’istruzione alle giovani generazioni, è sopraggiunta “la società dell’informazione” e si sono aperte prospettive imprevedibili nel campo delle neuroscienze, delle biotecnologie, dell’ingegneria genetica e della “clonazione” che, nel 1997, “crea” Dolly utilizzando il DNA di due cellule di pecora adulta.
Il Novecento è stato un secolo di luci e di ombre che si addensano nuovamente verso la fine del secolo, quando a livello globale s’instaura un regime economico neoliberista, si acuiscono le disuguaglianze e risorgono teorie e pratiche razziste. Le famiglie, che per riprodursi hanno bisogno di reddito stabile, assistenza sanitaria e istruzione per i propri figli, faticano ad ambientarsi in questo nuovo contesto che è loro ostile, e a sostenere una familiarizzazione del rischio sociale, anche se mostrano gran plasticità nel fronteggiarlo.
Se consideriamo la forma di regolazione giuridica del matrimonio e della filiazione legittima, il cambiamento giunge improvviso e, come abbiamo detto, si concentra negli anni Sessanta e Settanta. Prima d’allora, a eccezione dei Paesi nordici, tutto era rimasto sostanzialmente immutato. I ritmi accelerati sono connessi all’ondata dei movimenti giovanili e femministi, che verso la fine degli anni Sessanta investe tutto l’Occidente. Gli studenti affermano istanze antiautoritarie a scuola e in famiglia; le donne rivendicano la parità tra i sessi, il valore della differenza e la specificità dell’identità femminile: tra le opere ispiratrici del femminismo Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir, La mistica femminile (1963) di Betty Friedan e La politica sessuale (1969) di Kate Millet, insieme con una vasta produzione teorica raccolta intorno ai women’s studies. La condizione femminile è affrontata ed esaminata dai vari punti di vista della discriminazione sociale, della disuguaglianza in famiglia, della sessualità controllata e repressa, della partecipazione politica preclusa. La società è denunciata come sessista in ogni sua piega e lo stesso linguaggio è messo sotto accusa come “specchio” del predominio maschile, strumento attraverso il quale si è perpetuata la discriminazione di genere.
In Italia, nonostante la dura e pervicace opposizione della Chiesa cattolica, le riforme che interessano il matrimonio, la vita familiare e sessuale si concentrano in tempi ancora più brevi. La legge sul divorzio è approvata nel 1970 e confermata dal referendum del 1974. Nel 1971 la Corte Costituzionale abroga l’articolo 553 del Codice Penale che vietava la propaganda e l’uso di qualsiasi mezzo contraccettivo e lo puniva con la pena massima di un anno di reclusione. Nel 1975, la legge 405 istituisce i consultori familiari dove le donne trovano assistenza per una procreazione responsabile. Nello stesso anno è approvata la riforma del diritto di famiglia, che modifica radicalmente la struttura della filiazione e dei rapporti tra marito e moglie, abolendo la figura del capofamiglia, sostituendo la patria potestà con la potestà di entrambi i genitori, riconoscendo ai figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi. È istituita anche la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia e dunque è affermata la parità dei diritti e doveri tra donna e uomo. Non si potrà più costringere la moglie a vivere nella residenza scelta solo dal marito, né escluderla dalle decisioni relative ai figli e dalla gestione economica della famiglia, né privarla dei mezzi di sostentamento, né denunciarla per infedeltà. Nel dicembre del 1977 è istituita la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Nel 1978 è approvata la legge 194 sull’aborto e nel 1981 è bocciata da un’ampia maggioranza la proposta referendaria cattolica per una sua abrogazione “minimale”. In meno di un decennio, dell’anacronismo legislativo che contraddistingueva il nostro Paese, rimangono poche tracce. Si è dunque compiuto in Europa un processo di secolarizzazione della famiglia anche se si profila un modello “mediterraneo” che distingue Italia, Spagna, Grecia e Portogallo dai Paesi del Centro e del Nord Europa. Si tratta di un tipo di famiglia solidaristico, con legami intergenerazionali forti e duraturi, dove i figli adulti, soprattutto se maschi, continuano a vivere in casa. In Italia nel 2003 il 65 percento dei giovani maschi al di sotto di 35 anni vive in famiglia, più precisamente nel decennio 1993-2003 la quota dei giovani maschi tra i 30 e i 34 anni che ritarda l’uscita aumenta dal 18,5 al 29,5 percento.
Che cosa ne è in questo nuovo quadro della vita amorosa e sessuale di coppia, come si comportano e che cosa pensano le giovani generazioni della sessualità? La sessualità non è più secondaria alla procreazione; la ricerca e l’appagamento reciproco del piacere sono entrati nelle attese di chi vive in coppia e sono ormai culturalmente legittimate, la maggioranza dei giovani e degli adulti d’entrambi i sessi non sottopone i propri comportamenti alle rigide prescrizioni della morale, considerando la sfera sessuale eticamente neutrale e affrancandola così dalle regole dettate dagli insegnamenti della Chiesa. Rivelatori sono i dati sull’instabilità coniugale crescente, sul consolidamento delle unioni libere, le cosiddette coppie di fatto, che prevalgono sulle convivenze prematrimoniali, sul calo delle nascite. Vediamoli brevemente, dando maggiore spazio all’Italia dove tutti i dati registrano un balzo in avanti nel periodo a cavallo tra la fine del secolo e i primi anni del nuovo millennio.
I divorzi sono in continua crescita, con un aumento del 62 percento nel periodo tra il 1995 e il 2003, più al Nord che al Sud, anche se l’Italia rimane all’ultimo posto della graduatoria preceduta dalla Spagna, Grecia e Portogallo. I matrimoni celebrati con rito civile tra il 1986 e il 2005 crescono dal 14,2 percento al 32,4 percento con il Friuli Venezia Giulia in testa all’elenco di quelle più laiche (51,3 percento) e la Basilicata in coda (11,7 percento). Aumentano con ritmi veloci le convivenze di fatto che sono passate da 227 nel 1993 a 555 mila nel 2003; è una scelta fatta sempre più spesso da giovani e rappresenta più che nel passato un’alternativa al matrimonio. Su 100 coppie dai 16 ai 30 anni, le coppie di fatto sono il 6 percento (il 40 percento in Inghilterra, il 45 percento in Germania, il 46 percento in Francia) ed anche in Italia emerge il fenomeno delle coppie di fatto omosessuali. Secondo dati Eurostat del 2003, le persone d’età compresa fra i 25 e i 49 anni a non essersi mai sposate sono il 49 percento in Svezia, il 36 percento in Francia, e il 31 percento in Italia e nel Regno Unito. Il matrimonio è in declino come grande istituzione storica, in tutta Europa; ovunque ci si sposa più tardi e le età matrimoniali e procreative si allungano e diminuiscono le nascite, ma la famiglia resta per gli individui oggetto d’attaccamento, amore e attenzioni e di altri meno nobili sentimenti e atteggiamenti. In Italia la fecondità, che aveva conosciuto un lungo periodo di crescita dal 1945 al 1965, inverte la tendenza e alla fine del XX secolo la sua caduta arriva a livelli mai raggiunti prima, cosicché il tasso di fecondità è tra i più bassi del mondo. Ma questo non significa che le donne rinuncino alla maternità; infatti, la percentuale delle donne senza figli è inferiore ai Paesi europei con più elevata fecondità. Il processo di secolarizzazione della famiglia assume, pertanto, la forma di un’ampia “diversificazione” e “pluralizzazione” delle strutture familiari, che sono varie e possono susseguirsi anche lungo un singolo ciclo di vita: la famiglia si costituisce di fatto, poi si trasforma in una coppia sposata senza e/o con figli, diventa in seguito monogenitoriale, ricostituita e unipersonale.
La “individualizzazione” è il secondo tratto caratteristico. In altre parole acquistano centralità i progetti, le identità individuali e la richiesta di spazi personali e d’autonomia nelle relazioni di coppia e tra genitori e figli. La tensione verso l’individualizzazione si ripresenta anche nei rapporti sessuali di coppia con la ricerca di un reciproco piacere. In un certo senso instabilità, separazioni, divorzi, controllo della fecondità, spiegano perché alla fine del XX secolo la vita a due, la vita in famiglia, continui a rappresentare l’aspirazione dei più.
La separazione tra sessualità e procreazione
Per cogliere la profondità del mutamento nel rapporto tra sesso, matrimonio e procreazione occorre spostare l’attenzione sul fenomeno della separazione della sessualità dalla riproduzione, dell’eros dalla necessità riproduttiva, fenomeno che nel corso del Novecento diventa acquisizione culturale di massa. La separazione ha preso in concreto e simbolicamente le forme della contraccezione e della fecondazione artificiale: condizione di una sessualità senza riproduzione, la prima, e di una riproduzione senza sessualità, la seconda. Questo processo trasforma l’esperienza sessuale dei giovani, e apre uno spazio d’autonomia alla sessualità femminile; trasforma anche la genitorialità e la estende alle coppie omosessuali e ai single, consente un più ampio controllo della fecondità. L’individualizzazione e la pluralizzazione dei modi di fare famiglia dentro o fuori la relazione matrimoniale sarebbero incomprensibili senza il riferimento alla possibilità di intervenire sui tempi e modi della procreazione e di separare il concepimento dalla sessualità. Anche l’affermazione del principio della scelta e delle responsabilità individuali a fondamento della vita di coppia rinvia alla possibilità che la sessualità sia anticipata nei tempi di vita, distinta da un’unione stabile, dilatata nei suoi significati: fonte di piacere, strumento di comunicazione e di socializzazione, temi ben affrontati nel lavoro di Alberto Melucci e in particolare in “Corpo” (in Parole chiave. Per un nuovo lessico delle scienze sociali, Roma 2000).
La creazione di una sessualità separata dai vincoli riproduttivi è stata una componente importante per la nascita di una cultura del corpo come centro di pulsione e d’energie, spinta vitale per entrare in contatto con gli altri e con la realtà. Questa svolta nella tradizione della cultura occidentale, fondata sul dualismo corpo/mente e quindi sospettosa nei confronti di tutto ciò che riguardava gli istinti, le emozioni e il desiderio, non è stata neutra quanto al genere. Per la maggioranza delle donne, il piacere sessuale era strettamente legato alla paura delle ripetute gravidanze, alla sofferenza dell’aborto e ai rischi di morte di parto. La possibilità di una sessualità senza riproduzione ha consentito loro di conquistare un’autonomia sessuale e per molte ha anche significato il superamento dell’ignoranza, dell’insicurezza e della vergogna della propria identità psico-fisica con conseguenze profonde sulle relazioni con l’altro sesso e sulla stessa identità maschile (si veda a questo proposito lo studio di Anthony Giddens, Le trasformazioni dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Bologna, 1992).
L’esistenza di una diffusa ignoranza sulla sessualità e sul corpo della donna, anche tra donne istruite, e il protrarsi di una mancanza d’informazione medica su questi temi fino a tutti gli anni Sessanta, è testimoniata dal successo editoriale che ebbe anche in Italia il libro Noi e il nostro corpo. Scritto dalle donne per le donne, pubblicato nel 1974 (8 edizioni in un solo anno). Il testo, scritto da un collettivo di 12 donne bostoniane nel 1969 e presentato per la prima volta in un corso di lezioni per donne sul corpo e la sessualità, divenne il manuale più letto dalla generazione del femminismo. L’idea-guida è l’importanza che può avere per la vita di una donna la conoscenza del proprio corpo e un’educazione del corpo non solo per una corretta pratica della contraccezione e per una maternità scelta, ma anche per entrare in contatto con se stesse, acquistare sicurezza, liberare energia, disporre di uno spazio vitale e avere la possibilità di giungere a una piena presenza sociale. Il testo sembra chiudere nella forma di un cerchio il discorso freudiano sulla sessualità femminile e mettere la parola fine ad una storia che ha ostacolato la creatività e l’intelligenza delle donne con il doppio divieto di esplorare la natura e il proprio corpo. Non c’è però a quei tempi la consapevolezza che la separazione della sessualità dalla riproduzione e l’affermazione del corpo come spazio personale e di consapevolezza individuale inaugurano una fase di nuove ambivalenze e contraddizioni.
La cultura di un corpo-soggetto si sposa contraddittoriamente con la cultura di un corpo-oggetto, spazio d’intervento, di medicalizzazione e di manipolazione. La sessualità, la fecondità, la nascita e la morte sono al centro di quest’opposizione tra possibilità di scelta e assunzione di responsabilità individuale, da un lato, controllo quotidiano sottile e pervasivo esercitato da poteri esterni, dall’altro.
È un campo d’azione regolato e guidato da esperti, consulenti, specialisti, consiglieri, ricercatori, e presidiato da società farmaceutiche; un insieme di competenze e d’interessi che entrano nei circuiti dell’informazione, influenzano le istituzioni e la promulgazione di leggi su queste materie. È un campo organizzato e istituzionalizzato che stringe e interseca i bisogni e i desideri delle persone e della coppia, soprattutto quando ci sono difficoltà procreative, problemi di sterilità, necessità di test prenatali, o disagi e disturbi nel vivere la sessualità e il rapporto con il proprio corpo.
In Italia sul tema della fecondazione artificiale o procreazione medicalmente assistita si è riproposto un duro scontro tra la Chiesa cattolica e posizioni laiche, protrattosi negli ultimi due decenni del secolo, mentre a fatica iniziava un lungo iter in sede parlamentare per una sua regolamentazione giuridica, conclusosi il 10 febbraio 2004 con l’approvazione di una legge sulla fecondazione artificiale. In Europa, il primo Paese a darsi una legge su questa materia è stato la Svezia nel 1984. Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Danimarca, Belgio, Spagna hanno leggi permissive se confrontate a quelle della Germania, Svizzera, Francia e della stessa Svezia; l’Italia è giunta penultima, dopo la Grecia e ha adottato la legge più restrittiva, imitata dal Portogallo, dove nel 2006 è stata approvata una legge simile a quella del nostro Paese.
Tra i mutamenti “straordinari” che hanno cambiato il volto delle famiglie e hanno visto nascere “nuove famiglie” accade che poco spazio sia dedicato alle trasformazioni profonde che le tecniche di fecondazione artificiale hanno determinato nei rapporti di coppia e di filiazione, modificando in modo radicale la genitorialità più di quanto non sia già avvenuto nelle famiglie adottive e in quelle di nuova composizione dopo un divorzio, dove il genitore “sociale” si affianca a quello “di sangue”. È probabile che i temi della plurigenitorialità, della filiazione volontaria per il partner che ha acconsentito all’inseminazione della propria compagna o moglie, del significato di maternità e paternità, di come questi cambiamenti toccheranno i registri profondi della vita affettiva individuale e familiare saranno centrali nella storia della famiglia del XXI secolo.
Continuità, persistenze, contraddizioni
I mutamenti che abbiamo definito straordinari ci portano necessariamente a osservare le continuità, le persistenze e le contraddizioni a cui essi si accompagnano, perché se da un lato segnalano discontinuità e rotture dall’altro rinviano a un continuum che fa loro da sfondo. In tema di famiglia e sessualità non è semplice capire in quale dosaggio, alla fine del Novecento, elementi d’innovazione si mescolino non solo con elementi di stabilità e forti resistenze ma anche con risposte aggressive e controffensive. Non si tratta solo d’ostacoli frapposti alla richiesta di parità e d’autonomia avanzata dalle donne in famiglia e nelle istituzioni economiche e politiche, ma del persistere di forme di patriarcato che giustificano la violenza contro le donne, domestica e nei luoghi di lavoro.
Il fenomeno della violenza contro le donne è un fenomeno doloroso, affliggente, esteso, che sfida la loro emancipazione sociale e sessuale e non presenta, rispetto al passato, cedimenti, rese, ripiegamenti. Secondo gli studiosi è ancora in famiglia che il potere maschile si difende e cerca la sua rivincita, mirando a combattere l’identità e l’individualità femminili, attaccando il sentimento d’autostima della donna e mettendo in atto un processo di distruzione morale. Il fenomeno presenta dimensioni impressionanti nel mondo e in Europa, dove la violenza del partner sulla compagna/moglie è la prima causa di morte per le donne tra 16 e 44 anni. L’ultima ricerca dell’Eures, relativa al 2004, dimostra che in Italia un omicidio su quattro avviene in famiglia, tra le mura domestiche. Il 70 percento delle vittime sono donne, soprattutto casalinghe, uccise quasi unicamente per ragioni passionali o in seguito a liti e difficoltà in famiglia.
È alla luce di questo dato di realtà che si può dare il giusto peso a quegli “straordinari” mutamenti di cui abbiamo parlato: straordinari solo nel senso di “sorprendenti”, a confronto con quello che permane e si riproduce, soprattutto non generalizzabili, dunque fragili, frutto di mobilitazioni, di movimenti, di crisi, e anche di quotidiane prove e riprove, i cui esiti sono incerti e non graduali. Le continuità, le persistenze, le contraddizioni, i conflitti violenti, si nutrono, infatti, dei modi in cui nel quotidiano familiare l’esperienza del nuovo emerge per poi diventare consapevole, essere accolta o rifiutata e dunque messa alla prova attraverso il lavorio giornaliero individuale e di coppia, che coinvolge i figli e la cerchia di parenti ed amici. Il nuovo si misura con ciò che è familiare, facendo variare la portata dei suoi effetti, reinterpretandone il significato, circoscrivendo l’ambito del suo operare o al contrario ampliando il suo raggio d’azione. È giunto allora il momento di segnalare le contraddizioni che segnano la fine del Novecento, limitandoci al contesto italiano.
In Italia la simmetria di coppia pur avendo fatto passi avanti è più un’aspirazione che una realtà. Il lavoro domestico e di cura e di relazione è ancora in gran parte a carico della donna, anche se a esso si addiziona il lavoro retribuito per il mercato. L’atteggiamento paritario degli uomini fatica a tradursi in comportamenti concreti e in una quotidiana condivisione del lavoro familiare, mentre il loro impegno nei confronti del lavoro professionale rimane al primo posto per necessità e per scelta. Il costo della vita familiare è sopportato prevalentemente dalle donne e tale disparità è strettamente intrecciata al permanere di forti disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, in termini di retribuzione a parità d’impiego, di possibilità di carriera e riconoscimenti, né è sufficiente a riequilibrare le parti la strategia della riduzione del numero di figli. È indicativo che l’alleanza e la complicità tra i sessi trovino un riscontro nell’omogamia di coppia, in unioni tra persone dello stesso ceto, cosicché la famiglia continua come sempre a svolgere la funzione di riproduzione delle classi e di stabilità sociale. Il cambiamento più rilevante riguarda non il disinteresse in amore ma l’intreccio tra amore e denaro, poiché proprio a cavallo del secolo c’è stato il sorpasso dei matrimoni celebrati in regime di separazione dei beni rispetto a quelli celebrati in comunione. Intanto aumenta lentamente la gestione indipendente del bilancio familiare e si afferma a gran maggioranza quella della cassa comune. Questo cambiamento costa non poche tensioni, come conferma un dato ISTAT del 2005 che individua nel denaro e nell’economia familiare uno delle principali fonti di conflitto nella vita di coppia.
Non ci stupiamo se la vita sessuale si presenta non pacificata, né addolcita e rasserenata e soprattutto non priva d’ombre e di permanenti differenze di genere. Possiamo disegnarne un rapido quadro basandoci anche su un’indagine svolta nel 2000 sui comportamenti sessuali degli italiani e sui falsi miti e le nuove normalità che li caratterizzano (Censis 2000). La vita di coppia sembra trovarsi nel guado fra tradizionali differenze di genere e nuovi orientamenti, ed appare immersa nell’ambivalenza tra una sessualità “duttile” (non necessariamente monogamica e legata all’amore) e il riconoscimento della dimensione relazionale (l’attenzione all’altro e la capacità di una comunicazione). Gli uomini sono divisi quasi a metà tra il modello che separa il sesso dall’amore (55,5 percento) e quello che li intreccia (con una leggera preferenza per il primo) mentre quasi due terzi delle donne (67,8 percento) si rifiutano di aderire al modello separatista.
Ma gli uomini rischiano anche di rimanere intrappolati nel mito della potenza sessuale, del sesso come prova di tutte le prove, quando si ritraggono dal confronto con la propria intimità e le proprie emozioni e non riconoscono gli elementi d’incertezza e di preoccupazione dovuti anche alla libertà affettiva e sessuale di lei. La sessualità “duttile” ha segnato la fine dell’epoca della doppia morale e dell’omogamia sessuale che rende un po’ desueta anche la parola “tradimento”, un comportamento che sembrerebbe coinvolgere una minoranza, ma in ogni caso più gli uomini delle donne, per motivi assai diversi. Per i primi è un modo di uscire dalla routine e dalla frustrazione, per le seconde una possibilità di ritrovare insieme sessualità e amore. Le dichiarazioni degli Italiani nel loro insieme non fanno intravedere trasgressioni e ancor meno perversioni; al contrario c’è una certa preferenza per la monogamia sessuale soprattutto da parte delle donne, la cui sessualità è però particolarmente sacrificata quando si trovano divorziate e separate ad affrontare da sole le molteplici difficoltà di una vita lavorativa e familiare (spesso nella condizione di madri sole). Entro questo quadro si colloca sia il fenomeno di un’anticipazione della vita sessuale tra i giovani (tra i 17 e 18 anni) che quello di un suo prolungamento nelle coppie d’anziani rispetto alle precedenti generazioni.
Quali nuovi tipi d’unione e di vita affettiva si affermino nel corso di questa rivisitazione quotidiana e culturale della sessualità è difficile dire: da un lato c’è il permanere del matrimonio “tradizionale”, dall’altro la transizione verso una vita di coppia impegnata a tenere insieme anime e corpi, individualizzazione e dimensione metaindividuale, verifiche continue del senso dello stare insieme e ricerca d’accordi per poter continuare a farlo. Tra questi due tipi c’è anche una vita in comune basata sul cameratismo (il modello del matrimonio-amicizia), oppure un’unione che riduce al minimo l’investimento affettivo e considera la vita di coppia come se si trattasse di una “base operativa”, che assicura a entrambi le risorse necessarie per vivere altrove. Da queste ambivalenze, pluralità di forme e d’orientamenti, incertezze identitarie, differenze e conflitti di genere, nascono le ombre e i toni scuri del quadro fin qui ricostruito, al quale si aggiungono le contraddizioni, le tensioni e i conflitti che uomini e donne affrontano sul lavoro.
Se teniamo insieme le diverse parti di un discorso, che mira a osservare criticamente e senza nostalgie del passato lo stato di salute del quotidiano familiare, comprendiamo bene anche le nuove linee di regolazione e di controllo da parte di una fitta rete di servizi socio-sanitari estesa sul territorio. È il quotidiano che nella società dell’informazione e dei servizi diventa uno spazio d’attenzione e d’intervento per una quantità crescente di specialisti e di messaggi mediatici che definiscono i problemi e propongono soluzioni ai singoli, alle coppie e alle famiglie. Si è esteso il campo della prevenzione; c’è la pressione delle agenzie che diffondono informazioni sulla salute, sulle relazioni e la sessualità, su ciò che è la normalità, il benessere o il malessere, aumentano parallelamente le situazioni di self-labeling, d’auto-etichettamento e si affermano le professioni dei mediatori familiari, degli educatori che educano le coppie a vivere in coppia, i genitori a fare il genitore, i figli a capire i diritti e doveri del figlio.
Il privato familiare è dunque quotidianamente “sorvegliato” o se si preferisce seguito da occhi che vigilano su ogni fase del suo corso di vita, per contrastare la violenza domestica, difendere i membri deboli – bambini e anziani – distinguere la normalità dall’anormalità. Gli studiosi puntualizzano e sintetizzano questo processo parlando del passaggio da una regolazione di tipo normativo a una regolazione di tipo sociale, che riguarda domande e bisogni differenti inseriti in un sistema organizzato che propone modelli di conformità e valuta i comportamenti individuali. Mentre questa nuova modalità d’intervento e di controllo si diffonde, si rafforza l’appello al principio della responsabilità individuale, come se il tessuto delle relazioni sociali e la crisi della convivenza civile non fossero decisivi nel costruire il malessere degli individui e delle famiglie, come se le famiglie potessero sostenere tutto il peso di una solidarietà sociale assente, e le prediche o gli auspici per una democratizzazione della vita domestica potessero distogliere l’attenzione dalla crisi della democrazia politica e dalla crescente violazione dei diritti umani e sociali che distinguono il passaggio al nuovo millennio.