SESTO
(da Sesto). – Capostipite di questa famiglia di orefici e intagliatori di coni presso la Zecca veneziana attivi tra il tardo Trecento e la seconda metà del Quattrocento fu Giacomo, l’epigrafe sepolcrale del quale (nella chiesa di S. Stefano a Venezia) risale al 1404: «MCCCCIV. Sepoltura de s. Jacomo Sesto intagliador alla moneda de Veniesia» (Papadopoli, 1888, p. 272). Abitava a San Marcilian ed è elencato tra i membri della Scuola piccola di S. Cristoforo dei Mendicanti (Archivio di Stato di Venezia (ASVe), Scuole Piccole, b. 406, c. 44v). Il cognome Sesto suggerisce di ricercare le origini della famiglia nella località friulana di Sesto al Reghena.
Giacomo fu padre di Bernardo, Marco e Lorenzo, come prova il testamento di tale Antonia vedova di Bartolomeo Parvi (30 dicembre 1394) che lasciò parte delle proprie sostanze a «Bernardo, Laurentio et Marco Sexto aurifficibus fratribus et filiis magistri Iacobi de confinio Sancti Paterniani», al tempo area di residenza dei tre fratelli (Bernardo de Rodulfis, 1974, pp. 126 s.). Da documenti di poco precedenti (31 marzo, 13 settembre 1393), che menzionano i tre fratelli, si ricava che tutti erano all’epoca già impiegati alla Zecca e che Bernardo doveva essere, plausibilmente, il più anziano (ASVe, Cassiere della Bolla ducale, Grazie, reg. 18, c. 49; Il “Capitolar dalle Broche”, 1984, pp. 63 s.).
Medesima conclusione suggerisce il fatto che lo stesso Bernardo convivesse con Anastasia Fostagner, vedova di Giacomo Certone (o Zentomo), madre di Magdalucia moglie di Marco. Quest’ultimo nacque non oltre l’inizio degli anni Settanta, poiché nel 1393 firmò «Marcus Sesto me fecit: V[enetiis]» una medaglia (già in collezione Silvio Martinengo) che ne dimostra la compiuta formazione. Essa mostra il capo di un imperatore romano, forse Galba, e una raffigurazione femminile stante su una ruota: probabilmente la Fortuna, intenta a reggere il vessillo marciano, e l’iscrizione «Pax tibi Venetia / 1393» (Lecomte, 1884, p. 118). Significativa la presenza di un punzone di bottega raffigurante un compasso, detto anche ‘sesto’ o ‘sextus’, riferimento alle competenze tecniche degli autori, e soprattutto, in virtù dell’omonimia, giustificazione alla trasformazione, di gusto prettamente umanistico, del nome Sesto in ‘Sextus’, riscontrabile in alcune attestazioni documentarie. Come suggeriscono Alan M. Stahl e Louis A. Waldman (1993-1994, pp. 171 s.), pressappoco coeva o di poco successiva deve essere anche la medaglia firmata da Lorenzo, che, similmente, raffigura un profilo di imperatore e un’allegoria di Venezia, e che tuttavia si mostra inferiore sul piano esecutivo. Queste due prove accreditano i Sesto tra i più precoci rappresentanti della medaglistica rinascimentale.
La probabile menzione di Bernardo in qualità di testimone nel testamento dello scultore Pier Paolo dalle Masegne, datato 1404 (Paoletti, I, 1893, p. 4), fa supporre che a tale data l’orefice fosse già ben inserito nel tessuto artistico della città. Un documento del 1412 cita Bernardo e Marco come, rispettivamente, «intaiador ai coni dell’oro» e d’argento. L’anno successivo (17 aprile 1413) fu concesso loro di continuare a tenere bottega in piazza S. Marco (ASVe, Cassiere della Bolla ducale, Grazie, reg. 20, c. 61). Al 1421 si data una croce processionale per il duomo di Venzone, firmata «Bernardo et Marcho Sesto Fecit MCCCCXXI». Ulteriore testimonianza del prestigio sociale della famiglia è l’elezione di Marco a vicario della Scuola grande di S. Marco, ruolo in cui è documentato nel 1430. Nel 1435 Marco realizzò due figure di S. Marco per alcuni candelabri del doge, e nel 1436 altre simili figure per la propria Scuola (Paoletti, II, 1897, p. 129).
Quanto alle vicende dei singoli fratelli, Lorenzo morì verosimilmente in giovane età, prima del settembre del 1405, mentre Bernardo è documentato l’ultima volta nell’agosto del 1432 (ASVe, Notarile, Testamenti, b. 1000, n. 435). Sopravvisse Marco, il cui solo testamento conosciuto è del 31 luglio 1441 (b. 565, n. 112); la moglie Magdalucia testò, vedova, nell’ottobre del 1451 (n. 76).
L’attività proseguì nelle generazioni successive; Alessandro, figlio di Bernardo e di Anastasia, e sposato con la figlia di quest’ultima, Jacomella, presumibilmente nata dal precedente matrimonio (ASVe, Giudici di Petizion, Sentenze a Giustizia, reg. 27, cc. 53v-55v), è attestato già nel 1417 con il padre e lo zio Marco nel contratto relativo a una croce per il convento domenicano di S. Nicolò a Treviso, al presente non rintracciabile ma trascritto da Domenico Maria Federici (1803, p. 183). Lo stesso anno firmò («Alexander Sexto intaiator en moneta / me fecit») una medaglia nota solo attraverso un calco, conservata un tempo a Berlino (Stahl - Waldman, 1993-1994, pp. 183 s.). Premorì al padre (nel testamento del 1432 risulta già deceduto); ma suo figlio Luca è citato più volte come impiegato della Zecca tra il 1454 e il 1487, terminus ante quem per la sua scomparsa. Fu orefice anche il figlio di Luca, Bernardo (Il “Capitolar dalle Broche”..., 1984, pp. 141, 144, 173, 199, 206, 220).
Appartenne a un altro ramo della famiglia un Antonio «Sesto» (Sixtus) detto «aurif[ex] S. Silvestri», documentato nel 1402 come marito di tale Gerardina. Non è certa l’identità con un «Anthonius Sixtus quondam ser Bartholomei Sancte Marine» documentato nel 1405 (Paoletti, II, 1897, p. 129) e tra il 1406 e il 1418 spesso presente come teste negli atti del notaio Pietro Tiberini (ASVe, Cancelleria inferiore, b. 208), indicato in alcuni casi come «de confinio Sancti Bassi» (ad es., il 22 settembre 1407), in altri come residente in Santa Marina (14 maggio 1408). Nel testamento olografo del 1421 lo stesso Antonio indicò come propria compagna una certa Barbarella, forse la seconda moglie. Un secondo testamento, del 1427, lo indica residente in San Severo, ed è quest’atto che consente di ricollegarlo agli altri Sesto: oltre al fratello, Tommaso, pur egli orefice e documentato nel 1436 (Steingräber, 1962, p. 150), compare infatti Bernardo Sesto, citato come «barba» (zio). Nel 1440 Antonio era «aurif[ex] fundat[or] ad aurum» e gli venne concesso il permesso di allontanarsi per alcuni mesi da Venezia a causa di affari (ASVe, Cassiere della Bolla ducale, Grazie, reg. 25, c. 3).
Sebbene si trovino nella critica riferimenti ai Sesto (o Da Sesto) a partire dal secondo Ottocento (Lazari, 1859; Urbani de Gheltof, 1885), il primo tentativo compiuto di raccogliere attorno a loro un gruppo coeso di opere si deve a Erich Steingräber. Nel suo pionieristico articolo sull’oreficeria veneziana del Quattrocento (1962) si assegnavano alla bottega di Bernardo e Marco la croce firmata di Venzone (e un secondo esemplare conservato pur’esso nel duomo del borgo friulano), il calice grande di S. Pantalon, il Reliquiario del preziosissimo sangue del Tesoro di S. Marco, e un calice proveniente da S. Paterniano (ora nel tesoro marciano); lo studioso tedesco sembrava interpretare come opera della bottega anche la croce della cattedrale di Vicenza. Steingräber rilevava, inoltre, forti affinità tra queste opere e la croce processionale di S. Agata del Carmine a Bergamo, datata attorno al 1420, senza tuttavia includerla nel corpus dei Sesto. Ancora Steingräber (1970) individuava la mano dei Sesto nella realizzazione della cosiddetta Croce dei pisani, più recentemente riconosciuta a Vincenzo di Michele Silli.
Delle opere elencate, l’unica attribuibile con certezza è la croce firmata, un tempo a Venzone (rubata nel 1975), anche se nella letteratura critica si riscontra una certa incertezza per quanto riguarda la datazione del manufatto. Sebbene rimangano alcune immagini dell’oggetto, non vi è, sfortunatamente, alcuna documentazione fotografica dell’iscrizione. L’anno 1421 è riportato nelle pubblicazioni più prossime alla sottrazione della suppellettile venzoniana, cioè in Steingräber (1962) e in Bertolla e Menis (1963), i quali è assai probabile avessero esaminato l’opera nell’originale, poiché menzionano anche la presenza del marchio di bottega, apparentemente il medesimo che appare sulla medaglia firmata da Marco. Entrambe le croci di Venzone appartengono ai vertici qualitativi delle arti preziose veneziane, ma le due, oltre a differenze tecniche e formali, mostrano uno scarto stilistico. L’esemplare non firmato permette altresì di figurarsi l’aspetto della croce un tempo in S. Nicolò a Treviso, eseguita nel 1417 e nota solo attraverso la puntuale descrizione di Federici (1803, p. 183).
È condivisibile inoltre l’attribuzione ai Sesto del Reliquiario del preziosissimo sangue, in origine ostensorio eucaristico come esplicitato anche dall’iscrizione (Steingräber, 1971, pp. 180 s., nota 172; Donega, 1997), in virtù delle marcate affinità con le croci di Venzone, nonché dell’eccezionalità esecutiva. Il manufatto include alcune delle più raffinate microsculture di tutta l’oreficeria lagunare, peraltro assai simili, benché di miglior realizzazione, ad analoghi elementi a fusione presenti nel Reliquiario di quarantanove reliquie nella basilica di S. Antonio a Padova, databile all’inizio del terzo decennio del Quattrocento (Spiazzi, 1995, pp. 102-104, nota 17). È da sottolineare, poi, l’affinità tra la croce non firmata di Venzone e una croce-reliquiario in S. Silvestro a Venezia, che, per quanto più modesta per qualità e fattura, dimostra – così come l’anzidetto reliquiario padovano – l’irradiazione dei modi dei Sesto, se non proprio la circolazione di modelli provenienti dalla loro bottega.
Per quanto riguarda i calici, il riferimento a questi artefici è da intendersi solo quale indicazione cronologica di massima (Collareta, 2000, pp. 151 s., scheda n. 2). Il calice grande di S. Pantalon, del 1432 (Mezzacasa, 2014, p. 218), è di notevole fattura, ma non ha alcun elemento che riconduca certamente ai Sesto. Lo stesso valga per il manufatto in S. Raffaele, per il calice proveniente da S. Paterniano, stilisticamente correlato al Reliquiario della Sacra Spina in S. Agostino a Offida (Barucca - Montevecchi, 2006, pp. 43-47), e per la croce vicentina, che mostra tangenze formali più che affinità stilistiche e una qualità eccessivamente corsiva per quanto d’interesse. L’attribuzione ai due fratelli orafi dell’importante croce in cristallo di Bergamo, talvolta proposta (Kirchweger, 1994), sembrerebbe pure da rifiutarsi e da rivedere, più probabilmente, in favore di una datazione al terzo quarto del XV secolo, per via delle forti analogie con la croce processionale della Scuola degli Schiavoni. Quest’ultima, imponente per dimensioni e ricchezza di ornato, e per tali caratteri affine ad altre croci in cristallo commissionate dalle confraternite veneziane (Longo, 2002), tradisce una matrice figurativa oltremontana, da mettersi in relazione con la folta presenza di orafi di provenienza germanica. Sono inoltre attribuite ai Sesto alcune tessere conservate al Museo Correr (Crisafulli - Mezzaroba, 2009, pp. 7, 9, 14).
Le opere superstiti o documentate – di eccezionale qualità per quanto numericamente limitate – e il ruolo di rilievo assunto all’interno della Zecca testimoniano come i Sesto rappresentassero il vertice dell’oreficeria veneziana tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento; la complessità e la ricchezza dei manufatti prodotti da questa bottega manifestano inoltre l’eccellenza della produzione suntuaria veneziana nel contesto europeo.
Fautori di un linguaggio aggiornato alle contemporanee tendenze della scultura e della pittura, e sempre in dialogo con esse, i Sesto esprimono un originale amalgama di caratteri lagunari e riferimenti ad altri contesti della penisola (toscano e lombardo) e nordici. Il riferimento alla scultura dei Dalle Masegne più volte proposto dalla critica è corretto, ma certamente né univoco né unidirezionale per una bottega che dimostra una propria identità espressiva. Tra le tecniche orafe più distintive impiegate dalla bottega si ricordi il cosiddetto smalto filogranato, che accomuna le opere dei nostri a certa produzione oltremontana, in particolar modo ungherese, nonché alle oreficerie di Nicolò di Lionello (Mihalik, 1931-1932; Bergamini, 1994, pp. 683-687).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, b. 208; Cassiere della Bolla ducale, Grazie, reg. 18. c. 49, reg. 20, c. 61, reg. 25, c. 3; Giudici di Petizion, Sentenze a Giustizia, reg. 27, cc. 53v-55v; Notarile, Testamenti, b. 565, nn. 76, 112; b. 1000, n. 435; Scuole Piccole, b. 406, c. 44v.
D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno dal Mille e Cento al Mille Ottocento per servire alla storia delle belle arti d’Italia, I-II, Venezia 1803, pp. 170 s., 183; V. Lazari, Notizia delle opere d’arte e d’antichità della raccolta Correr di Venezia, Venezia 1859, p. 181; J. Lecomte, Venezia: colpo d’occhio letterario, artistico, storico, poetico e pittoresco sui monumenti e curiosità di questa città, Venezia 1884, p. 118; G.B. Urbani de Gheltof, Les arts industriels à Venise au Moyen âge et à la Renaissance, Venezia 1885, p. 22; N. Papadopoli, Alcune notizie sugli intagliatori della Zecca di Venezia, in Archivio Veneto, n.s., 1888, vol. 25, pp. 271-277; P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, I, Venezia 1893, p. 4, II, 1897, p. 129; A. Mihalik, L’origine dello smalto filogranato, in Corvina, 1931-1932, voll. 21-24, pp. 114-173; E. Steingräber, Studien zur venezianischen Goldschmiedekunst des 15. Jahrhunderts, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1962, vol. 10, n. 3, pp. 147-192; P. Bertolla - G.C. Menis, Oreficeria sacra in Friuli: catalogo della mostra, Udine 1963, pp. 72-74, 77; E. Steingräber, La Croce dei Pisani, in Festschrift für Gert von der Osten, a cura di H. Keller - R. Budde, Köln 1970, pp. 77-84; Id., in Il Tesoro di San Marco, a cura di H.R. Hahnloser, II, Il Tesoro e il Museo, Firenze 1971, pp. 180 s., nota 172; Bernardo de Rodulfis notaio in Venezia: 1392-1399, a cura di G. Tamba, Venezia 1974, pp. 126 s.; Il “Capitolar dalle Broche” della Zecca di Venezia (1358-1556), a cura di G. Bonfiglio Dosio, Padova 1984, pp. 63 s., 141, 144, 173, 199, 206, 220; A.M. Stahl - L.A. Waldman, The earliest known medalists: the Sesto brothers of Venice, in American Journal of numismatics, s. 2, V-VI (1993-1994), pp. 167-188; G. Bergamini, Nicolò di Lionello orefice udinese, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XXIV (1994), 2-3, pp. 683-692; F. Kirchweger, in Omaggio a San Marco: tesori dall’Europa (catal., Venezia), a cura di H. Fillitz - G. Morello, Milano 1994, p. 239, nota 113; A.M. Spiazzi, in Basilica del Santo: le oreficerie (catal. Padova), a cura di M. Collareta - G. Mariani Canova - A.M. Spiazzi, Roma-Padova 1995, pp. 102-104, nota 17; M. Donega, I reliquiari del Sangue di Cristo del Tesoro di San Marco, in Arte documento, XI (1997), pp. 64-71; M. Collareta, in Tesori della fede. Oreficeria e scultura nelle chiese di Venezia, a cura di S. Mason Rinaldi - R. Polacco, Venezia 2000, pp. 151 s., scheda n. 2; E. Longo, Committenza, iconografia e stile nelle croci processionali del Quattrocento veneziano, in Arte cristiana, XC (2002), pp. 295-302; G. Barucca - B. Montevecchi, Beni artistici: oreficerie (Atlante dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo), Cinisello Balsamo 2006, pp. 43-47; C. Crisafulli - L. Mezzaroba, La scuola medaglistica veneziana nel Rinascimento attraverso le collezioni del Museo Correr, in Le medaglie rinascimentali di scuola veneziana nelle collezioni dei Musei Civici Veneziani, Venezia 2009, pp. 7-15; M.L. Mezzacasa, Temi d’ornato e microtecniche nell’oreficeria gotica a paragone con le arti maggiori, in Arte veneta, LXXI (2014), pp. 199-223.