sete
Il sostantivo ricorre solo nel Convivio e nella Commedia, specie nel Purgatorio e nel Paradiso.
Il senso proprio di " bisogno di bere " è documentato in If XXX 56 l'etico... per la sete / l'un verso 'l mento e l'altro [labbro] in sù rinverte, 121 e 126; Pg XXII 150 Lo secol primo... / fé savorose con fame le ghiande, / e nettare con sete ogne ruscello. Ancora accostato a fame, in XXIII 66 (come pena dei golosi, per contrapasso), e Pd XXXII 54.
Più frequente il senso figurato di " desiderio intenso ", " brama " (di beni materiali o spirituali), spesso in unione con il verbo ‛ saziare '. Per esempio, le ricchezze rivelano la loro imperfezione per il fatto che, quantunque collette, ‛ danno ' più sete (Cv IV XII 1: dan più cura si legge in Le dolci rime 58, di cui questo passo è commento); sono false traditrici, che promettono... di torre ogni sete... e apportare ogni saziamento, mentre, poi che ... sono adunate, in loco di saziamento... recano sete di casso [" petto "] febricante intollerabile (§ 5: si noti lo stretto accostamento del senso proprio a quello figurato; al § 6 né si sazia la sete de la cupiditate è letterale ed esplicita traduzione da Cic. Par. I 1).
È comune a tutti gli esseri la sete della perfezione (Cv III VI 7); in particolare, poiché tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere (I I 1), la naturale sete che i saggi possono ‛ refrigerare ' è appunto il " desiderio di sapere " (§ 9); così in Pg XXI 1 La sete natura che mai non sazia / se non con l'acqua onde la femminetta / samaritana domandò la grazia (cfr. Ioann. 4, 7 ss,), e 39, con riferimento al desiderio di D. di rendersi conto dei fatti straordinari ai quali assiste (sempre in quest'ambito va posta l'occorrenza del v. 74, con valore di assioma: si gode / tanto del ber quant'è grande la sete), o di essere edotto sulle varie questioni che gli si presentano: Pg XVIII 4, XXVIII 135 (avvegna ch'assai possa esser sazia / la sete tua), Pd X 89 (cfr. Prov. 9, 1-2, e 5) e 123, XVII 12, XXX 74 (ancora con ‛ saziare ').
Si aggiunga la sete / del deïforme regno (Pd II 19), " cioè lo desiderio che ha l'anima di tornare a Dio " (Buti); anche a Dio si riferisce l'occorrenza di VIII 35 Noi ci volgiam coi principi celesti / d'un giro e d'un girare e d'una sete, " idest, uno motu, circulatione et desiderio " (Benvenuto), " desiderio di Dio " (Mattalia).
La sete del martiro (Pd XI 100) spinse s. Francesco ad affrontare la presenza del Soldan superba.
La decenne sete (Pg XXXII 2) è il " desiderio " di rivedere Beatrice, morta nel 1290, che D. può finalmente soddisfare nel Paradiso terrestre, nel viaggio ultraterreno datato da D. nel 1300.
Discordi appaiono gl'interpreti circa il valore del sostantivo in Pg XXVI 18 rispondi a me [Guido Guinizzelli, che D. pone tra i lussuriosi] che 'n sete e 'n foco ardo. Infatti alcuni commentatori antichi e moderni (fra gli altri, Landino, Pietrobono, Sapegno, Chimenz) intendono il termine in senso proprio; altri invece - e sono i più: Daniello, Venturi, Lombardi, Torraca, Casini, ecc. -, anticipando il valore metaforico che il vocabolo assume al v. 20 (ché tutti questi n'hanno maggior sete), vi scorgono il senso figurato di " desiderio di sapere ". " Ma - obietta, ci pare giustamente, il Sapegno - non sembra opportuno qui rompere il nesso sete e foco, espressivo di un unico tormento, che è arsura interna ed esterna. Proprio anzi attribuendo qui a sete il suo valore letterale e materiale, la ripresa della parola in funzione di metafora, per indicare l'ansia di conoscere se Dante sia veramente vivo, acquista un più forte rilievo ".
Il tema della sete del sapere. - La metafora della s. del sapere, frequentissima nelle opere dantesche, affonda le sue radici nella Scrittura.
Nei Salmi l'acqua, bene necessario alla vita, e perciò ardentemente desiderata da tutti i viventi, raffigura Dio stesso, fonte inesauribile di acqua viva. Egli pertanto viene rappresentato anche come il pastore che conduce alle sorgenti le pecore assetate: 22, 2 (Dio, re-pastore); 35, 9-10; 41, 2-3 (" Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, / ita desiderat anima mea ad te, Deus. / Sitivit anima mea ad Deum fortem vivum "); 62, 2 (" Sitivit in te anima mea "). Lo stesso traslato ricorre nei Libri Sapienziali: Prov. 10, 11 " Vena vitae os iusti "; 13, 14 " Lex sapientis fons vitae "; 14, 27 " Timor Domini fons vitae "; si noti soprattutto 9, 1-5, dove la Sapienza imbandisce un banchetto a cui invita tutti: " Sapientia... miscuit vinum / et proposuit mensam suam / ... Venite, comedite panem meum / et bibite vinum quod miscui vobis "; cfr. anche Eccli. 24, 29. Anche i profeti adoperano volentieri le stesse immagini: Is. 12, 3 " Haurietis aquas in gaudio de fontibus salvatoris "; 44, 2-3 " Haec dicit Dominus... / Effundam enim aquas super sitientem / et fluenta super aridam "; 55, 1 " Omnes sitientes, venite ad aquas "; 58, 11 " et eris [l'uomo giusto] quasi hortus irriguus et sicut fons aquarum, cuius non deficient aquae "; Ierem. Proph. 2, 13 " me dereliquerunt fontem aquae vivae "; 17, 13 " dereliquerunt venam aquarum viventium, Dominum ". Particolarmente significativi i testi profetici che si riferiscono a Gerusalemme, città notevolmente povera di acqua: Ezech. 47, 1-12; Ioël 3, 18; Zach. 14, 8.
Nel Nuovo Testamento Gesù applica espressamente a sé stesso queste profezie: Ioann. 7, 37-39 " Si quis sitit, veniat ad me et bibat. Qui credit in me, sicut dicit Scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae "; più volte riferisce a sé la metafora dell'acqua e della s. (4, 10-14: il colloquio con la Samaritana) mentre intreccia le due metafore della fame e della s.: Matt. 5, 6 " Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam "; Ioann. 6, 35 " Ego sum panis vitae; qui venit ad me non esuriet, et qui credit in me non sitiet unquam "; cfr. anche Apoc. 7, 16-17; 21, 6; 22, 1 e 17. Anche i Padri, com'è naturale, riprendono spesso queste metafore (si veda particolarmente Agostino In Ioann. XV 32).
D., al solito, ha saputo assimilare tutta questa dottrina. Infatti, prendendo le mosse dalla sentenza aristotelica che tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere (Cv I I 1), impernia il Convivio sulla metafora del banchetto della Sapienza, in cui le canzoni sono le ‛ vivande ', il commento il ‛ pane ' e lui stesso, sia pure nella sua umiltà, quasi fonte vivo, de la cui acqua si refrigera la naturale sete che di sopra è nominata (§ 9). Anche l'introduzione della Monarchia, col suo sfondo biblico, accenna velatamente alla stessa metafora: Longe nanque ab offitio se esse non dubitet qui, publicis documentis imbutus, ad rem publicam aliquid afferre non curat; non enim est lignum, quod secus decursus aquarum fructificat in tempore suo, sed potius perniciosa vorago semper ingurgitans et nunquam ingurgitata refundens (I I 2).
Nella Commedia poi la metafora della s. come tensione al sapere s'intreccia con quella complementare della fame. Nell'Inferno la metafora della s. compare proprio nel primo canto, laddove il Fiorentino saluta il Mantovano, simbolo della sapienza umana, con le parole Or se' tu ... quella fonte / che spandi di parlar sì largo fiume? (I 79-80).
Nel Purgatorio la metafora della s. del sapere ricorre più volte, riferita, con una sola eccezione, a D. stesso: XVIII 4 io, cui nova sete ancor frugava; XX 2-3 contra 'l piacer mio, per piacerli [ad Adriano V], / trassi de l'acqua non sazia la spugna; XXI 37-39 Sì mi diè [Virgilio], dimandando, per la cruna / del mio disio, che pur con la speranza / si fece la mia sete men digiuna; vv. 73-74 e però ch'el si gode / tanto del ber quant'è grande la sete; XXVIII 134-135 avvegna ch'assai possa esser sazia / la sete tua; XXXI 127-129 Mentre che... / l'anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta... (cfr. il già citato Eccli. 24, 29). L'acqua simboleggiando il sapere, D. deve berla dal Lete per dimenticare ciò che va dimenticato (Pg XXVIII 121-133, XXXI 100-102) e dall'Eunoè per ricordare quanto giova sapere (XXXIII 138 lo dolce ber che mai non m'avria sazio); si noti che l'ispirazione poetica dei canti XXVIII-XXXIII è essenzialmente biblica, tant'è vero che D. nomina espressamente Ezechiele e Giovanni, autore dell'Apocalisse (XXIX 100-105). Va rilevato, inoltre, che la s. del sapere già dalla seconda cantica s'identifica esplicitamente con il desiderio di Dio, etterno fonte (XV 132); a questo proposito va ricordato Pg XXI 1-4 La sete natural che mai non sazia / se non con l'acqua onde la femminetta / samaritana domandò la grazia, / mi travagliava, e XXXII 1-2 Tant'eran li occhi miei fissi e attenti / a disbramarsi la decenne sete, quella cioè di Beatrice, simbolo, appunto, della Sapienza o Verità rivelata. In XXVI 18-21, finalmente, la metafora ricorre sulla bocca di uno dei lussuriosi (che a nome di tutti chiede di conoscere la vera natura del corpo del poeta) e acquista maggior rilievo per la pena cui soggiacciono i peccatori del settimo girone: rispondi a me che'n sete e 'n foco ardo. / Né solo a me la tua risposta è uopo; / ché tutti questi n'hanno maggior sete / che d'acqua fredda Indo o Etïopo.
Nel Paradiso Dio solo appaga i desideri dei beati, e perciò la s. di sapere (la s. materiale è esclusa dal terzo regno: XXXII 52-54) s'identifica direttamente con il desiderio di conoscere e di vedere Dio. Perciò la sete natural di Pg XXI 1 si esplicita ancora di più, divenendo la concreata e perpetüa sete / del deïforme regno, causa della velocità della salita di Beatrice e di D. (Pd II 19-20). Nella terza cantica, il motivo della s. del sapere - la medesima metafora, con diversi riferimenti, ricorre tre volte (I 31-33, XI 100, XIX 121) - si fa più insistente, e per lo più riferita al poeta. Due occorrenze, peraltro assai significative (X 88-89 qual ti negasse il vin de la sua fiala / per la tua sete; 121-123 Or se tu l'occhio de la mente trani / di luce in luce dietro a le mie lode, / già de l'ottava con sete rimani), sono messe in bocca a s. Tommaso, che nei suoi scritti usa anch'egli la stessa metafora (cfr. " oro, fiat illud quod tam sitio " del notissimo inno Adoro te devote). Le altre sono attribuite a Beatrice la quale, in quanto simbolo della Sapienza divina, diseta continuamente il poeta con le dolci stille (VII 12): XVII 11-12 perché t'ausi / a dir la sete, sì che l'uom ti mesca; XXX 73-74 ma di quest'acqua convien che tu bei / prima che tanta sete in te si sazi, tema poi ripreso ai vv. 88-89 e sì come di lei [l'onda] bevve la gronda / de le palpebre mie. Tutti i beati e gli angeli hanno s. di Dio III 70-72 la nostra volontà quïeta / virtù di carità, che fa volerne / sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta; VIII 34-37 Noi ci volgiam coi principi celesti / d'un giro e d'un girare e d'una sete. Di conseguenza Dio è la ‛ fonte ' a cui tutti si dissetano: IV 116 [il] fonte ond'ogne ver deriva; XX 118-119 sì profonda / fontana; XXIV 8-9 voi [i beati] bevete / sempre del fonte onde vien quel ch'ei [D.] pensa; XXXI 93 l'etterna fontana. La s. dei beati implica quindi un appagamento nella carità divina e l'esercizio di essa; perciò Cacciaguida, invitando D. a manifestare i suoi desideri, afferma: perché 'l sacro amore in che io veglio / con perpetüa vista e che m'asseta / di dolce disïar, s'adempia meglio, / la voce tua... / suoni la volontà (XV 64-68).
Finalmente, in XXIV 55-57 mi volsi a Beatrice, ed essa pronte / sembianze femmi perch' ïo spandessi / l'acqua di fuor del mio interno fonte, il termine acqua si riferisce alla sapienza del poeta illuminata dalla fede (cfr. il già ricordato If I 79-80).
Come abbiamo già accennato, alla metafora della s. s'intreccia in D. assai spesso quella della fame (che ricorre del resto anche sola: cfr. Pg XV 58-78, Pd II 10-12, III 91-94, IV 1-3, X 25, XV 49-52, XIX 25-33, XXI 19-21, XXIV 1-5, XXV 22-24, XXVII 91-93). Entrambe sono intimamente collegate al concetto, anch'esso di origine biblica, che Dio solo può appagare o ‛ saziare ' le ‛ creature intelligenti '. Ricorderemo qui, oltre ai passi già citati, i luoghi in cui ‛ saziare ' (o altro termine equivalente) implica la metafora della fame e della s.: Pg XXVI 61-62 Ma se la vostra maggior voglia sazia / tosto divegna; Pd II 11-12 [il] pan de li angeli, del quale / vivesi qui ma non sen vien satollo; IV 124-126 già mai non si sazia / nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra / di fuor dal qual nessun vero si spazia; X 49-51 Tal era quivi la quarta famiglia / de l'alto Padre, che sempre la sazia, / mostrando come spira e come figlia; XXIV 1-3 O sodalizio eletto a la gran cena / del benedetto Agnello, il qual vi ciba / si, che la vostra voglia è sempre piena; XXVIII 61-63 Piglia / quel ch'io [Beatrice] ti dicerò, se vuo' saziarti; / e intorno da esso t'assottiglia.