SETTE SAPIENTI (οἱ ἑπτὰ σοϕοί) Septem Sapientes)
Collegio di sette famosi saggi dell'antichità, menzionato nel suo complesso per la prima volta da Platone (Protag., 343 A) e poi, con qualche variante, da moltissime fonti antiche. Il rispetto in cui erano tenute le massime attribuite ai Sette S. e il fatto ch'essi siano divenuti figure mitiche (in rapporto con Apollo, ecc.) spiegano la particolare diffusione della rappresentazione dell' "assemblea" dei Sette S. dall'età ellenistica sino alla tarda antichità. Platone riferisce che erano considerati membri di questo collegio Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, Solone di Atene, Cleobulo di Lindo, Misone di Cheno e Chilone di Sparta. Forse ad Aristotele risale un elenco simile, con la sostituzione di Misone con Periandro di Corinto (Stob., Flor., iii, 79; xliii, 131); altri nomi furono aggiunti più tardi, come ci attesta Diogene Laerzio (i, 42). Ma in sostanza l'insieme tradizionale dei sapienti è quello di Platone e di Aristotele. Mentre i singoli ritratti di questi personaggi - naturalmente di ricostruzione e di sapore classicistico - sono abbastanza frequenti, rara sembra la rappresentazione del collegio dei sapienti nel suo complesso: essa ha per noi non tanto valore iconografico quanto antiquario. È noto che a Varrone risale la prima raccolta di settecento ritratti di uomini famosi dell'antichità nell'opera Hebdomades vel de imaginibus raggruppati a sette per volta (F. Boll, in Ben. Philol. Woch., xxxvii, 1917, p. 1557 ss.). In mancanza dell'opera varroniana, possiamo farci un'idea elementare della rappresentazione figurata di questo famoso consesso dell'antichità attraverso alcuni mosaici e rilievi che evidentemente si ispiravano a modelli pittorici: essi tuttavia sono di scarso valore iconografico. In un mosaico di Torre Annunziata nel Museo Naz. di Napoli sono rappresentati i Sette S. entro un santuario sommariamente indicato da due colonne, mentre una terza, separata da un albero, regge un orologio solare; su di un'esedra terminante a zampe leonine son seduti cinque personaggi barbati. La figura stante a sinistra, con diadema, potrebbe identificarsi con Periandro, mentre la seconda seduta da sinistra, che con il bastone indica una sfera non è lontana dal tipo del Talete di Copenaghen; il quinto personaggio sarebbe Biante, per i caratteri fisionomici avvicinabili al ritratto del Vaticano, il sesto Chilone, il settimo Pittaco (cfr. il ritratto del Prado), infine quello vicino alla meridiana serebbe Anassimandro o, più probabilmente Solone. È qui rappresentato, come ha dimostrato il Brendel, un momento particolare di una dotta conversazione sulla sfera, della quale abbiamo anche l'eco in alcune fonti antiche (Plut., Sept. Sap. Conv., 9, 153 C; Diog. Laert., Thales, 35); nello sfondo a destra è forse rappresentata la rocca di Corinto (Acrocorinto). Che la scena derivi da un archetipo pittorico diffuso nell'antichità è provato dall'esistenza di un altro mosaico più tardo e più scadente - ed in alcune parti anche ripreso in età moderna - rinvenuto a Sarsina, ed ora a Villa Albani a Roma. Il Furtwängler ha per primo interpretato questa scena mettendola in rapporto con una gemma dove sono pure rappresentati i Sette S. (Furtwängler, Gemmen, iii, p. 160). Lo schema di tale rappresentazione (figure sedute ad arco di cerchio intorno ad un oggetto che attira la loro attenzione) si ritrova nel piccolo fregio dell'altare di Pergamo e frequentemente in rilievi sepolcrali della tarda età classica e dell'ellenismo. Da un epigramma di Agathion nell'Antologia (Anth. Gr., iv, 16, 35), che esalta Lisippo come creatore di Esopo al disopra dei Sette S. alcuni studiosi furono indotti a ritenere che i Sette S. fossero stati raffigurati anche dallo scultore sicionio. La realtà è che, all'infuori del ritratto di Solone nel Museo Naz. di Napoli, proveniente dalla Villa dei Pisoni di Ercolano - che è comunque d'identificazione non sicura e che risale ad originale della fine del IV sec. a. C., - tutti gli altri ritratti si riportano ad archetipi del tardo ellenismo ed anzi devono considerarsi senz'altro creazioni erudite di gusto classicistico, sicché deve escludersi per essi il supposto prototipo lisippeo. Le rappresentazioni d'insieme sopra citate hanno soltanto un valore per lo schema della composizione, non per l'iconografia dei singoli personaggi effigiati. A Ostia, nelle terme adrianee, si ha la rappresentazione dei Sette, dei quali solo tre conservati, dipinti sulle pareti di un locale adibito a latrina, con motti scurrili e con evidenti intenzioni satiriche e, naturalmente, ciò non aiuta a conoscere la fisionomia dei Sette S.; infine il mosaico di Colonia della fine del II sec. d. C. raffigura soltanto due dei Sette S.: Chilone e Cleobulo. Nei sarcofagi i Sette S. son rappresentati con spirito assai differente da quello delle pitture ellenistiche: nel sarcofago di L. Publio Peregrino a Roma nel Museo Torlonia, databile alla metà del III sec. d. C., i Sette S. hanno assunto un aspetto sacerdotale e nello sguardo intenso esprimono la pensosità dei volti (vol. iii, fig. 841).
Bibl.: Barkowski, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, c. 2242 ss., s. v. Sieben Weise; W. Helbig-W. Amelung, Führer3, II, n. 1934; E. G. Suhr, Sculpt. Portr. of Gr. Statesmen, Baltimora 1931, pp. 7-10; O. Brendel, in Röm. Mitt., LI, 1936, p. i ss.; G. Rodenwaldt, in Jahrbuch, LI, 1936, p. 101 ss., tav. 5; W. Elderkin, in Röm. Mitt., LII, 1937, p. 223 ss.; K. Schefold, Bildnisse der ant. Dichter, Redner u. Denker, Basilea 1943, pp. 154; 182; 194; 214; M. Chehab, Bull. Musée de Beyrouth, XIV, 1958, p. 32, tav. XV-XX.