settenario
1. Il s. è considerato da D. nel De vulg. Eloq. come il verso secondo per importanza soltanto all'endecasillabo: Et dicimus eptasillabum sequi illud quod maximum est in celebritate (II V 5). E anche il s. è preso in considerazione nell'ambito della stanza della canzone, nei suoi rapporti quindi con l'endecasillabo (v. CANZONE): questo superbissimum carmen, qualora si associ col s., sia pure mantenendo il predominio, può eccellere, quasi a contrasto, più splendidamente. Per di più, D. ritiene che il s. non debba mai essere, in una canzone ‛ tragica ', il primo verso della stanza (e se i poeti bolognesi e certi altri hanno cominciato con un s., rimane l'impressione che queste loro canzoni procedano non sine quodam elegiae umbraculo, II XII 6); anzi, D. comincia anche la sirma sempre con un endecasillabo, con l'unica eccezione di Poscia ch'amor.
Pare certo (nonostante i dubbi espressi dal Marigo) che D. conceda alla stanza della canzone illustre un massimo di cinque s. (Et sicut quaedam stantia est uno solo eptasillabo conformata, sic duobus, tribus, quatuor, quinque videtur posse contexi, dummodo in tragico vincat endecasillabum et principiet, II XII 6). Difatti non troviamo mai citate come esempi di eccellenza stilistica le canzoni Le dolci rime (Cv IV) e Tre donne intorno al cor (Rime CIV), ambedue con stanze comprendenti 7 s.; Poscia ch'Amor (Rime LXXXIII), ugualmente con 7 s., viene citata come esempio in cui sia presente il trisillabo; e soltanto Doglia mi reca (Rime CVI), con 9 s. su 21 versi, è ricordata come alto esempio di canzone intorno alla rettitudine (VE II II 9).
2. Dei 400 s. scritti più sicuramente da D., 22 appartengono a tre ballate, 18 ai tre sonetti rinterzati e 360 alle canzoni (compresi 12 nelle due stanze isolate); e anche questo computo porta ad accertare che il s. di D. è essenzialmente un problema della sua canzone.
3. I tre sonetti doppi o rinterzati sono, come ben si sa, fra le primissime cose scritte da D., anche tecnicamente collegati al momento guittoniano di D. (v. SONETTO). Il s. in questi sonetti s'intercala dopo il primo e il terzo endecasillabo di ogni quartina e dopo il secondo di ogni terzina, rimando sempre con il verso precedente, così da ottenere una risonanza più frequente della stessa rima. In tal modo, nel primo sonetto rinterzato della Vita Nuova, O voi che per la via, con la quartina dallo schema abab, si ha una rima ripetuta nelle due quartine ben otto volte (passate, guardate; sofferiate, imaginate; bontate, nobilitate; fiate, dignitate, VII 3 ss. 1-2, 4-5, 7-8, 10-11); e nel secondo sonetto rinterzato della Vita Nuova, Morte villana, di pietà nemica, e in Se Lippo amico, con la quartina dallo schema abba, l'inserzione del s. provoca tre volte tre rime consecutive (rispettivamente gravoso, doglioso, pensoso; s'affatica, mendica, dica; tortoso, nascono, cruccioso, VIII 8 ss. 3-5, 6-8, 9-11; e prometto, scritto, metto; eleggi, deggi, richeggi; 'ntelletto, sonetto, cospetto, Rime XLVIII 3-5, 6-8, 9-11).
4. Per quel che riguarda il s. nelle ballate, in Per una ghirlandetta (Rime LVI) occorrono i soli quattro s. tronchi usati da D.: ma anche per altri particolari tecnici tale ballata appare ben singolare nell'opera lirica di D. (v. BALLATA); e, osservato che Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore (Vn XII) ha uno schema vicinissimo a quello della cavalcantiana Quando di morte mi conven trar vita, ma con i due versi a rima baciata endecasillabi invece che s., ci si domanda se già a quell'altezza si abbia una prima manifestazione della preferenza dantesca per l'endecasillabo (v. BALLATA).
5. Per cogliere meglio la funzione del s. nella struttura della stanza della canzone dantesca, ne vedremo subito i casi di presenza limite, cioè la stanza con un solo s. (di tutti endecasillabi, D. ha scritto soltanto Donne ch'avete (Vn XIX 4 ss.) e Voi che 'ntendendo, Cv II) e quella col numero massimo.
È presente un solo s. nella stanza di ben cinque canzoni, sempre nella sirma, con tendenza ad assumere in essa una posizione mediana. Anzi in quella probabilmente più giovanile delle cinque, La dispietata mente (Rime L), il s. divide in due parti uguali la sirma (CDEeDFF), assumendo già in parecchie strofe la funzione d'inizio della parte conclusivo-oppositiva (però, se a voi convene nella prima; così e voi dovete nella seconda; poi non sa qual lo trovi nella terza; La fede ch'eo v'assegno nella quarta; onde ne la mia guerra nella quinta); quando più tardi D. riprenderà tale schema in Io son venuto al punto de la rota (Rime C) " l'unico settenario della strofe, introdotto sempre da un e energicamente avversativo " (Contini, Rime 150) segnerà la separazione, con un significato sintattico, semantico e ritmico-strutturale di altissimo valore (vedi l'esame di tale canzone in CANZONE, e in Baldelli, Ritmo e lingua). Anche nella sirma di Li occhi dolenti (Vn XXXI), il s. si pone in posizione mediana (cdeedeff); e similmente nella sirma (cddcee) dell'unica stanza della canzone della Vita Nuova, Sì lungiamente m'ha tenuto Amore (Vn XXVII; v. STANZA). Probabilmente il s. di Amor che ne la mente mi ragiona (Cv III), che si pone dopo tre versi della lunghissima sirma (CDEeDFDFGG; del resto anche la fronte di tale canzone appare piuttosto lunga, scandita com'è su due piedi di quattro versi l'uno), ha funzione più tenue, anche ai fini della struttura sintattico-ritmica.
6. Il caso del massimo uso del s. è, come si sa, in Doglia mi reca (Rime CVI), con 9 s. su 21 versi; cui si può avvicinare Poscia ch'amor (Rime LXXXIII), Tre donne intorno al cor (Rime CIV), e Le dolci rime (Cv IV), tutte con stanze di sette s., rispettivamente su 19 versi (con anche due quinari), su 18 e su 20.
In Poscia ch'amor, l'effetto ritmico generale si ottiene non solo e non tanto con i s. quanto con i quinari e i ternari, per cui nei due piedi in pratica si hanno soltanto due endecasillabi, uno di apertura e uno di chiusura; si aggiunga la disposizione delle rime ugualmente tendente a una diffrazione davvero impressionante, per cui si oppongono i primi quattro versi, con cinque rime, agli ultimi due, con rime che hanno rispondenza lontana negli ultimi due dell'altro piede: Aa5(a3)BbCD. Questa è anche l'unica canzone di D. in cui la sirma cominci con un settenario.
È da rilevare che la più notevole presenza di s. è caratteristica di alcune canzoni che hanno in comune il forte andamento discettante, in tre delle quali non pare negabile sin qualche ingorgo di un tale procedere concettoso e antitetico (Poscia ch'amor, Le dolci rime, Doglia mi reca). Il s., inteso anche come tempo ‛ rubato ' sull'endecasillabo (Pazzaglia, Note sulla metrica delle prime canzoni dantesche), può dunque portare come una congestione nell'andamento generale, col suo ‛ raccorciato ', anche avvicinando le rime, e insieme più di una volta il s. si presenta quasi soltanto elemento di concatenazione. Ma in più di un caso l'essenza appunto meno ‛ superba ' del s. dà alla stanza dantesca qualcosa di più arioso e vario, fin sintatticamente, specialmente là dove, come in Tre donne, il s. pare assumere una sua maggiore autonomia dall'endecasillabo. Si è detto che forse il caso più significante semanticamente, sintatticamente e ritmicamente di uso di un solo s. si ha in Io son venuto al punto de la rota (Rime c); e l'utilizzazione più significante di un numero alto di s. si ha probabilmente in Tre donne intorno al cor.
In Tre donne si reperiscono due coppie di s. a rima baciata nei due piedi, per cui le due coppie hanno per di più la stessa rima: Tre donne intorno al cor mi son venute, / e seggonsi di fore; / ché dentro siede Amore, / lo quale è in segnoria de la mia vita. / Tanto son belle e di tanta vertute, / che 'l possente segnore, / dico quel ch'è nel core, / a pena del parlar di lor s'aita (CIV 1-8). La disposizione delle rime è qui la stessa che si ha nei due piedi di Donne ch'avete (Vn XIX), di Amor che ne la mente (Cv III), di Così nel mio parlar (Rime CIII), e di Amor, che movi (Rime XC); ma nelle due ultime citate si ha un solo s. (rispettivamente ABbC e AbBC; si veda anche Le dolci rime [Cv IV]: AbBC, BaAC), e nessuno nei piedi delle altre due: ed è proprio confrontando i casi limite dei due piedi di quattro versi con identica disposizione di rime, ma con diverso rapporto di endecasillabi / s., di Donne ch'avete e di Tre donne intorno al cor, che si coglie quello che perseguiva D. nelle due coppie di s. nel senso di una maggior ariosità e rapidità, ottenendo anche, in ultima analisi, un grande rilievo agli endecasillabi che li comprendono. Da una parte il blocco solenne dei due piedi di Donne ch'avete intelletto d'amore, dall'altra " i quartetti nella lor mole s'inquadrano di due endecasillabi, uno iniziale e uno finale, spazieggiano con due eptasillabi " (Carducci, citato in Contini, Rime 173); i tre s. della sirma ritmicamente riprendono una consimile funzione, sì che gli endecasillabi stessi possano appunto clarius magisque sursum superbire (VE II V 5). Ed è probabile anche che in Tre donne si colgano i più bei s. di D.: alcune coppie di essi (e 'n su la man si posa / come succisa rosa; consolarsi e dolersi / così alti dispersi, Rime CIV 20-21, 74-75) nulla hanno di quel tono talora come di passaggio o di concatenazione che non infrequentemente D. attribuisce al suo s.; e così anche altri isolati (Queste così solette, v. 16; quivi dove 'l gran lume, v. 47; sovra la vergin onda, v. 49). E si badi alla loro notevole varietà posizionale: s. in forte enjambement (doglia e vergogna prese / lo mio segnore, e chiese / chi fosser..., vv. 38-40); s. spezzato dal dialogo (disse: " Drizzate i colli ... ", v. 60); s. che racchiude una battuta dialogica (Oh di pochi vivanda, v. 31); coppie in cui i s. sono sintatticamente congiunti (l'altra man tiene ascosa / la faccia lagrimosa, vv. 24-25); coppie sintatticamente scandite (e seggonsi di fore; / ché dentro siede Amore, vv. 2-3).
Due coppie di s. a rima baciata sono adoperate da D., oltre che in Tre donne, anche in Doglia mi reca (Rime CVI), ma ambedue nella sirma giungendo in un caso a far rimare una coppia con un endecasillabo, sì da avere tre rime consecutive, quel massimo biasimato nel De vulg. Eloq. (e da D. ottenuto, come si è detto, anche in Poscia ch'amor, Rime LXXXIII). Una coppia, sempre a rima baciata, si ha nella sirma di Lo doloroso amor (CDeeFEGG, Rime LXVIII): almeno in una stanza la coppia di s. raggiunge una notevole intensità (e per tal verrò morto, / e 'l dolor sarà scorto, vv. 23-24), sì da avvicinarsi al tono " da rime pietrose " che Contini (Rime 67) rilevava nei due versi immediatamente precedenti, e si noti che questa coppia, oltre che in rima imperfetta con ricolto (v. 26), è prossima all'endecasillabo di rara scansione con l'anima che sen girà sì trista (v. 25), come la terza coppia (sì che non ne paventa; / e starà tanto attenta, vv. 37-38) all'endecasillabo di ancor più rara scansione partirassi col tormentar ch'è degna (v. 36; cfr. ENDECASILLABO); ma tutta la canzone offre una serie di notevoli singolarità tecniche; v. CANZONE.
7. In VE II XII 9 D., per indicare come un s. inserito nel primo piede debba riprendere nel secondo lo stesso posto che ha in quello, esemplifica ampiamente con il piede di tre versi di cui il primo e il terzo siano endecasillabi e il secondo sia un s.; e aggiunge che la stessa posizione deve avere il o i s. in piedi di più versi. Ma costante della canzone dantesca è che la fronte è sempre costituita di due piedi, ognuno dei quali consta, in una canzone, di sei versi, di cui due s. e un quinario (Poscia ch'amor, Rime LXXXIII), in una canzone di cinque versi, di cui due s. (Doglia mi reca, Rime CVI), in sette canzoni di quattro versi (nessun s. in Donne ch'avete [Vn XIX], in Amor che ne la mente [Cv III], e in Sì lungiamente [Vn XXVII], un s. in Così nel mio parlar [Rime CIII] e in Amor, che movi [Rime XC], due s. in Le dolci rime [Cv IV], Tre donne intorno al cor [Rime CIV]), in tutte le altre canzoni, di tre versi, di cui si ha s. mediano in E' m'incresce di me (Rime LXVII), Quantunque volte (Vn XXXIII), Io sento sì d'amor (Rime XCI), Amor da che convien (Rime CXVI).
La rispondenza della posizione del s. nei due piedi trova talora una singolare equivalenza, per così dire, nella sirma, sì che i s. vengono a spaziare con respiro uguale tutta quanta la stanza della canzone. Abbiamo cioè visto canzoni in cui i s. hanno, o tendono ad assumere, una posizione mediana nei piedi o nella sirma, ma almeno in un paio di canzoni le due posizioni, per così dire, si sommano: in Quantunque volte (Vn XXXIII), il s. è mediano sia nei piedi sia nella sirma (AbC, acb, BDEeDFF); e così in Così nel mio parlar (Rime CIII), i tre s. vanno a disporsi in posizione quasi equipollente nei due piedi e nella sirma (la più breve delle sirme delle canzoni scritte da D.): ABbc, ABbc, CDdEE: è stato osservato (Momigliano) che la sirma si presenta con lo schema dei piedi, aggiuntovi un endecasillabo a chiusura sull'ultima rima (ed è ovvio che i tre s. prendano un maggior significato nella stanza di 13 versi). Del resto, in questa canzone si coglie in maniera del tutto palmare l'effetto di concentrazione che può avere il s. proprio perché le rime difficili evidenziano il ravvicinamento delle rime stesse (già nei due piedi della prima stanza: com'è ne li atti questa bella petra, / la quale ognora impetra [vv. 2-3]; tal, che per lui, o perch'ella s'arretra, / non esce di faretra [vv. 6-7]: v. RIMA).
Di " elegiacità che si rivela nei settenari della sirima " parla il Contini (Rime 60) a proposito di E' m'incresce di me sì duramente, Rime LXVII (e lo spunto sarà ripreso dal Pazzaglia [Note sulla metrica delle prime canzoni dantesche], che parla di " connotazione patetica del settenario ", a proposito di E' m'incresce di me, La dispietata mente, Lo doloroso amor).
8. Nelle due stanze isolate il s. ha un rilievo assai notevole. In Lo meo servente core (Rime XLIX), si hanno sei s. su tredici versi e per di più questa è l'unica stanza scritta da D. iniziante con un s.: D. nel De vulg. Eloq., come si è visto, ritiene non proprio dello stile tragico iniziare con un s.; va da sé che la teoria espressa nel De vulg. Eloq. è assai posteriore a questa stanza che va posta fra le prime prove dell'attività poetica di Dante. Sei s., ma su diciotto versi, ha anche l'altra stanza isolata, parimenti giovanile, Madonna, quel signor che voi portate (Rime LVII). Si noti che in questa seconda stanza si hanno nella sirma due coppie di s. diversamente rimanti (e si ha il solo caso di volte: v. STANZA); del resto, in Lo meo servente core si ha nella sirma un distico di s. come in canzoni più mature.
9. Con il Detto d'Amore, di 480 s., il patrimonio dantesco di s. diverrebbe più che doppio. Il Detto è in coppie di s. secondo lo schema d'illustri poemetti didascalici quali il Tesoretto e il Favolello di Brunetto (v. DETTO D'AMORE), accoppiati da parole rima, che talora generano (oltre che naturalmente di continuo la rima equivoca) la rima composta (logaggio: lo gaggio, vv. 23-24; amare: amar è, vv. 141-142; amante: ch'ha mante, vv. 263-264); e, per converso, scomposizione di parole (dis-fama: dif-fama, vv. 81-82; folle: af-folle, vv. 87-88; bella: ab-bella, vv. 173-174; parenti: ap-parenti, vv. 357-358; v. RIMA). Si notino alcune coppie di s. sdruccioli: Così sue cose livera / a chi l'amor non livera, vv. 157-158; a trarmi de la regola / d'Amor, che 'l mondo regola, vv. 127-128; se potesse aver termine, / ch'amar vorria san termine, vv. 231-232; corpo e avere e anima, / e con colui s'inanima, vv. 385-386; e anche tronchi: a lui se non, ciò ch'ho, / di lui non faccia co, vv. 377-378; Cortese e franco e pro' /convien che sie, e pro', vv. 403-404.
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