SETTIMANA (dal lat. septimāna, aggettivo sostantivo; in lat. anche hebdomada, dal gr. ἑβϑομάς "gruppo di sette" fr. semaine; sp. semana; ted. Woche; ingl. week)
È il periodo di sette giorni, del quale tutti i popoli di civiltà occidentale, e parecchi altri, si servono ordinariamente, come suddivisione del mese e per la designazione dei varî giorni, ciascuno distinto con un nome; inoltre è la base generalmente seguita per il computo delle ore di lavoro nelle industrie ("settimana di 48 ore, di 42 ore, di 40 ore") e molto spesso anche delle mercedi.
La settimana è ora, in Occidente, un periodo di tempo strettamente collegato con il cristianesimo, mediante la celebrazione periodica di un giorno dedicato particolarmente al culto (il giorno del Signore, o "domenica": v.) e al riposo, o per lo meno all'astensione da certe attività e anche, soprattutto nei paesi anglosassoni e in ambienti puritani, da certi svaghi, e divenuto in seguito anche festa civile; mediante digiuni periodici (mercoledì e venerdì), ecc.
Questo carattere cristiano della settimana non è che la trasformazione di un suo carattere religioso più antico, che ci riporta alle origini stesse della settimana, antichissime certo, ma non tanto quanto si afferma generalmente. Infatti caratteristica della settimana non è tanto l'essere essa un periodo di tempo che si può considerare come una suddivisione del mese - si sono avute e si hanno suddivisioni, e si parla talvolta, impropriamente (almeno nelle lingue neolatine) di "settimana di tre (Indiani dell'America Meridionale), cinque (Negri; Messico), nove (India; Celti: forse in origine tre), dieci (v. appresso) giorni" - quanto il suo carattere sacro, che si estende non solo al periodo nel suo complesso, ma ai singoli giorni. Conviene perciò distinguere tra la settimana babilonese o semitica più antica, e la "settimana astrologica", che rappresenta una fase ulteriore di quella, e che, accolta nel mondo ellenistico romano e poi cristiano, si è diffusa presso altri popoli e tramandata al mondo moderno.
Per i Babilonesi, il cui mese lunare comprendeva 29 o 30 giorni, il primo giorno di ogni mese era il giorno del novilunio e di festa religiosa: altri giorni sacri erano il 7°, il 14° (festa del plenilunio, celebrata anche il 13° e il 15°), il 21° e il 28°: se ne è dedotto che le settimane avessero una connessione con le fasi della luna, e dal fatto che negli emerologi della biblioteca di Assurbanipal il dì della luna piena è il 1° del primo mese dei mesi dispari successivi, mentre appare sacro anche il 19° giorno, si è arguito che il computo settimanale continuasse nei mesi pari, con celebrazioni al 5°, al 12° e al 19° giorno. Ma vi è anche traccia di un'altra divisione del mese in sei parti, di cinque giorni ciascuna; alla quale divisione è stata avvicinata quella dell'Egitto antico, dove l'anno era diviso in 36 decadi (ciascuna sotto la tutela di una delle 36 stelle fisse), più 5 giorni intercalari o supplementari; le decadi stesse sono ritenute da taluno il risultato dell'unione di due gruppi di 5 giorni.
L'esistenza di un periodo di 7 giorni chiuso con una ricorrenza sacra ha anche indotto molti a ricollegare il giorno sacro babilonese al sabato degli Ebrei e a ritenere che anche questi avessero una vera e propria settimana. Ma - a parte il fatto che nella Bibbia (Genesi, II, 3; Esodo, XX, 10: attribuiti dalla critica indipendente al cosiddetto "codice sacerdotale", P: v. pentateuco) il sabato non appare menomamente collegato con le fasi della Luna - altri non ritiene affatto dimostrata la derivazione diretta del sabato ebraico dallo shapattu (giorno del plenilunio) babilonese e pensa piuttosto che si tratti d'istituzione pansemitica, adducendo anche l'importanza, per i Semiti, del numero sacro 7. Né è da trascurare il fatto che presso gli Ebrei i giorni tra un sabato e l'altro sono semplicemente contati (cfr. εἰς μίαν [scil. ἡμέραν] σαββάτων, Matteo, XXVIII,1; πρώτῃ σαββάτου, Marco, XVI, 9).
Ma, checché sia di ciò, è ormai assodato che la cosiddetta "settimana astrologica", cioè la settimana autentica, ha le sue origini in quella teologia astrale, scientifico-religiosa, che, ben lungi dall'essere straordinariamente antica, come volevano i cosiddetti panbabilonisti, non è sorta prima del sec. VI a. C., durante il secondo impero babilonese e il persiano, e non si è diffusa in Occidente che più tardi, giungendo a dominare le menti durante l'età ellenistica e sotto l'impero romano. Essa è collegata con la concezione del tempo come un essere divino (divinità sono le ore, il mese, la notte e il giorno: Proclo, In Tim., 248 d; cfr. la figura del "Tempo illimitato", pers. Zerwan akarana), e con quella che pone ogni divisione del tempo sotto la tutela di una divinità astrale, concepita come cronocratore ("signore del tempo"). L'aver dedicato ciascun giorno della settimana a uno dei pianeti che dominano le sfere celesti al disotto di quella delle stelle fisse, presuppone appunto quell'ordinamento dei pianeti che colloca il Sole al centro delle sfere celesti, re dei pianeti, tra Marte, Giove e Saturno, al disopra, e Venere, Mercurio e la Luna al disotto. "Ora questo ordinamento non si trova in alcun luogo prima del sec. II a. C. e si può considerare certo che la nostra settimana è una creazione del periodo ellenistico" (F. Cumont). Posti i 7 pianeti nell'ordine: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna, e le ore sotto la tutela di ciascuno, è chiaro che, se Saturno domina la prima ora del giorno (e quindi il giorno), poiché 24 diviso per 7 dà come resto 3, la ventiduesima sarà di Saturno e la venticinquesima, prima del secondo giorno, spetterà al Sole; e così la prima del terzo giorno alla Luna, e così via (v. anche astrologia, V, p. 101).
La settimana si diffuse presto anche in Occidente, e Orazio rappresenta (Sat., I, iii, 288 segg.) la madre del bambino ammalato di quartana che fa voto a Giove di tuffare il figlio nel Tevere illo mane die, quo tu indicis ieiunia. E Dione Cassio (Hist. Rom., XXXVII, 18) dice che la dedicazione dei giorni ai sette pianeti, originaria secondo lui dell'Egitto, è stata accolta dai Romani, e Giustino martire (Apol., I, 67) parla del sabato come del "giorno di Saturno" (ἡ Κρονιχή) e della domenica come del "dì del Sole" (ἡ ‛Ηλίου ἡμέρα). Ma non è forse da trascurare neppure il fatto, che appunto verso la metà del sec. II a. C., attraverso i Giudei della Diaspora, si cominciò a conoscere in Roma anche il sabato della religione d'Israele (cfr. Tibullo, I, iii, 18; Ovidio, Ars. amat., I, 415; Orazio, Sat., I, ix, 69) e il giorno precedente, che venne tradotto nella Settanta προσάββατον: denominazione cui si affiancò, per poi prevalere, quella di παρασχευή (cfr. anche Marco, XV, 42), in latino cena pura (o anche parasceve).
La storia ulteriore della settimana non è meno interessante. La Chiesa celebrò la risurrezione del Signore nel giorno a lui dedicato (κυριακὴ ἡμέρα, dominicum), che religiosamente continuò il sabato, ma cadeva nel giorno dedicato al Sole, dies Solis e ne prese il posto, così come il Natale si sovrappose al dies natalis Solis invicti; ma non accolse le designazioni astrologiche degli altri giorni. Sicché nei nomi dei giorni della settimana nelle principali lingue europee si ravvisano le tracce di una duplice tradizione, ecclesiastica e civile. Alcuni popoli - come i Germani - ricevettero la settimana dall'uso civile romano e presso di loro si verificò un altro fenomeno interessante, che si può considerare come in certo modo in rapporto di reciprocità con l'interpretatio romana: cioè, mentre mantennero le norme di questa quanto all'identificazione dei loro dei con quelli del pantheon romano (che già s'erano sostituiti ai nomi greci, come questi a quelli delle divinità astrali babilonesi), indicarono però i giorni con il nome germanico delle divinità, anziché con quello romano. Fa eccezione il sabato, che in inglese conserva il nome di Saturno (mentre il ted. merid. Samstag mantiene il nome ebraico); per contro, la domenica è designata ancora come giorno del Sole, anziché col nome cristiano. Gli Slavi invece ricevettero la settimana ecclesiastica, e si limitarono a numerare i vari giorni: e così anche i Portoghesi. Anche presso i Greci è prevalso l'uso ecclesiastico, eccetto che per i nomi del venerdì, del sabato e della domenica. Il fatto che la domenica fosse giorno di preghiera e di riposo (dando quindi il senso di un ricominciamento con la ripresa delle occupazioni il lunedì) e forse anche un certo carattere festivo del giovedì, giorno dell'Ascensione, ha indotto molti a considerare la domenica come l'ultimo giorno della settimana, anziché il primo come appare, per es., dal computo ecclesiastico (cfr. S. Agostino, In ps. XVIII, 3: "Una sabbati dies dominicus est, secunda sabbati... quem saeculares diem Lunae vocant, ... quarta qui Mercurii dies dicitur a paganis et a multis christianis") e dalla designazione tedesca del mercoledi come "metà settimana" (Mittwoch, comune anche alle lingue slave), in cui pure il martedì è il secondo giorno (cfr. l'antico italiano: mezzèdima cioè media nebdomas). L'uso di chiamare i giorni della settimana col nome di feria (onde il paradosso linguistico che i "giorni feriali" sono quelli non festivi) sembra antico (Tertulliano, De ieiu., 2, parla dei digiuni nei giorni quartae feriae et sextae; cfr. ibid., 14, dove la designazione quarta et sexta sabbati fa pensare che sia sottinteso dies; in ogni modo cfr. Isidoro, De nat. rer., 3); la ragione è incerta.
Dall'uso ellenistico, ebraico e cristiano trassero la settimana anche gli Arabi, che numerano i giorni della settimana dalla domenica al giovedì; il venerdì, giorno destinato al culto, ha tratto da ciò il nome (yawm al- ǵum'ah "giorno dell'adunanza [sacra]"); il sabato ha conservato il nome ebraico (as-sabt). Probabilmente per il tramite dei musulmani la settimana è penetrata anche in India e fino tra i musulmani dell'Indocina, i quali adottarono i nomi dei giorni arabi, ma anche quelli della settimana astrologica. Anche nel Giappone la settimana è penetrata con la recezione della civiltà occidentale, con nomi, per i varî giorni, tratti da quelli dei corpi celesti. La settimana è stata sacrificata in progetti modernissimi di riforma del calendario, che finora non hanno avuto fortuna.
Bibl.: articoli Calendar e Chronology, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, III e IV, Edimburgo 1910 e 1911; G. Furlani, La civiltà babilonese e assira, Roma (1929), pp. 233 segg., 357 segg.; F. Cumont, Astrology and religion among the Greeks and Romans, Londra e New York 1912, specie p. 164 segg.; F. H. Colson, The week, Cambridge 1926; E. Przybyllok, Unser Kalender in Vergangenheit und Zukunft, Lipsia 1930 (divulgativo). V. anche: astrologia; assiria; calendario; domenica; germanici, popoli: Religione; ecc.