SEVERO da Ravenna
SEVERO da Ravenna. – Nacque tra il 1465 e il 1475 probabilmente a Ravenna, figlio dello scultore Domenico de Calcetis, ovvero anche Calzetta, prendendo il nome del primo vescovo della città; nulla è noto sulla madre.
La sua formazione può forse essere collocata sotto l’ala paterna, e nel primo documento nel quale compare il suo nome, registrato già come magister, è in veste di testimone alle ultime volontà della moglie del pittore Niccolò Rondinelli, depositate a Ravenna nel gennaio del 1496 (Grigioni, 1909). Il titolo di magister presupponeva il completamento della formazione e l’autonomia lavorativa, pertanto Severo doveva avere almeno superato i vent’anni.
Solo quattro anni più tardi, nel giugno del 1500, Severo stipulò un contratto con i massari della basilica del Santo di Padova, per la realizzazione di una statua in marmo raffigurante S. Giovanni Battista, ancora oggi collocata in una nicchia sulla facciata della cappella dedicata all’arca del Santo. L’opera, firmata dallo scultore, venne terminata nel luglio del 1501, ma fu al centro di un’accesa disputa per la sua valutazione pecuniaria e pagata solo nel giugno del 1503 (Sartori, 1976, p. 36). Una certa rigidità delle membra e i panneggi paralleli che si frangono in pieghe cartacee tradiscono l’osservazione, da parte di Severo, delle opere di Pietro Lombardo, come il rilievo per la tomba di Dante, realizzata nel 1483 per il convento di S. Francesco a Ravenna (Warren, 2001, p. 131).
La restante produzione degli anni padovani non è documentata, ma è certo che Severo si dedicasse a scolpire diversi materiali grazie a una testimonianza di Pomponio Gaurico (1504, 1999) nel suo trattato De sculptura. Lo scrittore campano fu a Padova tra il 1501 e il 1503 e, dando alle stampe il suo volume nel 1504, ricordava Severo come bronzista, cesellatore, modellatore e pittore, oltre che come scultore in marmo, riconoscendone però la scarsa cultura letteraria.
Il contesto padovano, dopo gli importanti lavori bronzei di Donatello per l’altare maggiore del Santo, era divenuto terreno fertile per la sperimentazione nel campo della fusione dei metalli e della realizzazione di piccoli oggetti da studiolo in bronzo. L’evoluzione della carriera di Severo e l’inizio della sua produzione di bronzetti devono collocarsi in questo contesto, il medesimo dal quale, negli stessi anni, emerse anche Andrea Briosco detto il Riccio.
Pochi appigli notarili documentano la permanenza veneta di Severo tra il 1505 e il 1509. Residenti presso la parrocchia di S. Prosdocimo, Severo e la consorte, Francesca Cassetta, avevano venduto un’abitazione a Ravenna e ne attendevano il pagamento (giugno del 1505), mentre solo nel dicembre del 1507 si chiarivano alcune questioni relative alla dote di Francesca, allora trasferitasi con Severo in una casa nella contrada di S. Giovanni Battista alle Navi, in Padova. Nello stesso luogo i coniugi risiedevano ancora nel gennaio del 1509, quando l’artista fu citato per l’ultima volta nelle carte padovane come magister sculptor (Sartori, 1976, pp. 36 s.).
Nel gennaio del 1511 Severo è documentato nella città natale, ormai passata dal dominio della Serenissima a quello della Chiesa, come artefice di alcune statue per la visita in città di papa Giulio II, probabilmente apparati effimeri, non conservatisi (Bernicoli, 1914, p. 555). Negli anni successivi lo scultore fu ancora impegnato per la città: nell’aprile del 1515 per un incarico come contestabile della Porta Adriana, e nel maggio del 1523 per alcuni lavori per il porto cittadino. Sono inoltre note una riduzione delle tasse sull’affitto nel 1520 e l’acquisizione di un terreno vicino alla basilica di S. Agata Maggiore portato in dote dalla nuova moglie, la ravennate Margherita de Bellinis (p. 556).
A Ravenna Severo dovette concentrare i suoi sforzi nella lavorazione di piccoli oggetti in bronzo, per i quali divenne presto famoso, tanto che un suo Ercole fu pagato 6 scudi d’oro dalla marchesa di Mantova, Isabella d’Este, forse per l’arredamento del suo studiolo personale (Warren, 2001, p. 134). Le redini della bottega di modellazione e fusione dovettero passare al figlio Niccolò Calzetta, citato come magister in un documento del marzo 1538.
Dopo la fugace citazione di Gaurico, Severo fu completamente dimenticato dalla critica ed escluso dai nomi degli ideatori di bronzetti nei repertori tedeschi di primo Novecento, concentrati più sulle figure del Riccio e di Bartolomeo Bellano o sulla generica Scuola padovana. Solo Leo Planiscig intuì l’esistenza di un altro maestro, definito Maestro del drago, fino a scoprire, nel 1935, la firma di Severo su un bronzetto raffigurante un mostro marino (Planiscig, 1935). La forma delle squame sulle creature marine, l’impostazione incerta delle pose dei corpi umani e alcuni particolari del modellato, come i capelli vermicolari o le pieghe tubolari delle vesti, permisero di ricondurre a Severo un corposo numero di bronzetti sacri e profani, fino al ritrovamento, nel 1981, della sigla del ravennate (SE) su un secondo bronzetto, un satiro genuflesso, forse di poco precedente le invenzioni del Riccio con il medesimo soggetto, che permise di includere un ulteriore gruppo di pezzi nel catalogo di Calzetta (Avery - Radcliffe, 1983).
La raccolta di un corpus di bronzetti sotto il nome di Severo ha però evidenziato un grado di qualità discontinuo, spiegabile attraverso le dinamiche di una bottega che rispondeva alla domanda di un mercato di piccole opere in bronzo sempre più vivace. I bronzetti di Severo si connotavano spesso come oggetti d’uso ed erano prodotti in maniera seriale da fonditori che replicavano, non sempre con lo stesso grado di perfezione, un primo modello fornito dal maestro. Passando alla sua morte nelle mani del figlio Niccolò, la bottega di Severo rimase attiva per un totale di circa settant’anni (Warren, 2001, pp. 135 s.).
L’interesse per la tecnica di riproduzione di questi oggetti portò, già dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, a condurre esami radiografici sui pezzi, permettendo di definire come i bronzetti fossero replicati per fusione indiretta e di scoprire un sistema di chiodi in ferro utilizzati solo dalla bottega del maestro ravennate (Severo Calzetta, 1978).
Il modello del maestro veniva impresso in uno stampo riempito con terra di Parigi, una particolare sabbia umida estremamente sottile; successivamente vi era colato uno strato di cera e infine erano inserite parti in terra cruda fissate con lunghi chiodi in ferro che le tenevano stabili. Nel momento della gettata, il bronzo si sostituiva alla cera e i riempitivi in argilla permettevano di avere fusioni cave, con un grande risparmio di materiale metallico (Stone, 1981 e 2006).
Il dato stilistico e i risultati forniti dall’analisi tecnica degli oggetti hanno permesso di ricostruire una successione cronologica dei tipi inventati da Severo a partire dal soggiorno padovano (Smith, 2008).
Un primo nucleo di bronzetti si avvicina alle forme del S. Giovanni Battista lapideo del Santo, influenzato dallo stile di Antonio Rizzo e dei Lombardo, ed è caratterizzato da uno scarso utilizzo di chiodi, restituendo teste e torsi cavi, e arti, invece, pieni. Di questo gruppo, creato probabilmente nel primo periodo veneto (1500-05 ca.), fanno parte bronzetti che non si connotano come oggetti d’uso, ma come suppellettili decorative da studiolo, spesso di natura religiosa. Si ricordano il S. Giovanni Battista (Oxford, Ashmolean Museum), il S. Sebastiano (Washington, National Gallery of art), il David (New York, Metropolitan Museum of art), il S. Gerolamo (Brescia, Musei civici) e il S. Cristoforo (Parigi, Musée du Louvre), con il Bambino separato e conservato a Washington (il riconoscimento dei due pezzi come parte di un unico nucleo si deve a Bertrand Jestaz, 1972). Alla prima produzione si possono aggiungere anche una Ninfa seduta (Washington, National Gallery of art) e un gruppo con Europa e il toro (Londra, Victoria & Albert Museum).
Un secondo nucleo di opere, create forse negli ultimi anni del periodo veneto (1505-10 ca.), si distingue per una maggiore sperimentazione tecnica, ovvero un più largo utilizzo di chiodi per ottenere parti cave, nonché per una presenza cospicua di soggetti arcadici, ricorrenti nella cultura padovana della prima decade del XVI secolo, che si tramutano in oggetti d’uso grazie a fori filettati che accolgono contenitori di sostanze da scrittoio (inchiostro per calamai, polvere per l’asciugatura delle pagine, olio per lucerne). Di questo nucleo fanno parte uno Spinario (Washington, National Gallery of art), il Satiro firmato (collezione privata; Avery - Radcliffe, 1983) e altri due tipi a esso simili, uno dei quali posseduto da Isabella d’Este (Ferrari, 2003), una Donna con cornucopia, un’Atalanta e un Corpus Christi (Berlino, Bode-Museum). Ancora una grande Cleopatra (New York, Metropolitan Museum of art) la Regina Tomiri (New York, Frick Collection), le Sirene reggi-candela (Washington, National Gallery of art), e, infine, i busti muliebri (Modena, Galleria Estense) e la testina di S. Giovanni Battista bambino (Oxford, Ashmolean Museum), fusi a partire da modelli di Antonio Lombardo.
Una terza fase produttiva, caratterizzata da bronzetti quasi completamente cavi, e pertanto di altissima fattura tecnica, è quella della maturità di Severo e degli anni della sua direzione della bottega ravennate (1510-30 ca.). Comprende un secondo Spinario, più grande del precedente (Venezia, Ca’ d’Oro), il Mostro marino d’ispirazione mantegnesca su cui fu rinvenuta la prima firma nel 1935 (New York, Frick Collection), il Nettuno su drago marino (sempre Frick Collection), un Tritone che combatte con un serpente, ispirato al Laocoonte vaticano (Londra, Victoria & Albert Museum), nonché il raffinato Atlante che sorregge la volta celeste (Frick Collection), forse identificabile con il bronzetto richiesto da Isabella d’Este nel 1527 (Smith, 2008, p. 66).
L’ultimo gruppo di bronzetti comprende oggetti realizzati dalla bottega dopo la morte di Severo e sotto la direzione di Niccolò, nei quali si nota un allentamento del magistero tecnico e il ritorno a parti piene per velocizzare la produzione, a scapito dell’utilizzo di una maggiore quantità di bronzo. In questa fase si collocano i cofanetti da scrittoio, spesso personalizzati con le imprese degli acquirenti (Roma, Museo nazionale di Palazzo Venezia), repliche meno rifinite del Satiro inginocchiato (Modena, Galleria Estense), versioni più corsive dei mostri marini (Brescia, Musei civici), o ancora esemplari tardi di invenzioni di inizio secolo, a testimoniare la fortuna della produzione seriale di questi oggetti.
Non si conosce la data di morte dell’artista, avvennuta certamente entro l’8 marzo 1538, come ricordato in un documento riguardante il figlio Niccolò (De Winter, 1986, p. 132 nota 41).
Fonti e Bibl.: P. Gaurico, De sculptura (1504), a cura di P. Cutolo, Napoli 1999, pp. 254 s.; C. Grigioni, Il testamento della moglie del pittore Niccolò Rondinelli, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, X-XI (1909), pp. 163 s.; S. Bernicoli, Arte e artisti a Ravenna, in Felix Ravenna, XIII (1914), pp. 555 s.; L. Planiscig, S. da Ravenna (Der ‘Meister des Drachens’), in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, XLV (1935), pp. 75-86; L. Planiscig, S. da Ravenna, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXX, Leipzig 1936, pp. 508 s.; B. Jestaz, Une statuette de bronze, le saint Christophe de S. da Ravenna, in La revue du Louvre, XXII (1972), pp. 67-78; A. Sartori, Documenti per la storia dell’arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976, pp. 36 s.; Severo Calzetta, called S. da Ravenna (catal.), a cura di E. Munhall, New York 1978; R.E. Stone, Antico and the development of bronze casting in Italy at the end of the Quattrocento, in Metropolitan Museum Journal, XVI (1981), pp. 87-116; C. Avery - A. Radcliffe, Severo Calzetta da Ravenna: new discoveries, in Studien zum europäischen Kunsthandwerk, a cura di J. Rasmussen, München 1983, pp. 107-122; B. Pagnin - A. Sartori, Documenti di storia e arte francescana, in Archivio veneto, CXX-CXXI (1983), pp. 125-129; P. De Winter, Recent accessions of Italian Renaissance decorative arts, incorporating notes on the sculptor S. da Ravenna, in The Bulletin of the Cleveland Museum of art, LXXIII (1986), pp. 75-138; J. Warren, Severo Calzetta detto S. da Ravenna, in Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattrocento e nel Cinquecento, a cura di M. De Vincenti, Milano 2001, pp. 131-143; D. Ferrari, Le collezioni Gonzaga. L’inventario dei beni del 1540-42, Cinisello Balsamo 2003, p. 347, n. 7295; S. Pierguidi, “Pan terrificus” a Padova: i satiri con conchiglia di Andrea Riccio e S. da Ravenna, in Bibliothèque d’humanisme et renaissance, LXVIII (2006), pp. 333-340; R.E. Stone, Severo Calzetta da Ravenna and the indirectly cast bronze, in The Burlington Magazine, CXLVIII (2006), pp. 810-819; D. Smith, I bronzi di S. da Ravenna: un approccio tecnologico per la cronologia, in L’industria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nell’Italia settentrionale. Atti del Convegno internazionale... Venezia 2007, a cura di M. Ceriana - V. Avery, Verona 2008, pp. 49-80; Id., Reconstructing the casting technique of S. da Ravenna’s “Neptune”, in Facture, I (2013), pp. 167-181; C. Kryza-Gersch, The production of multiple small bronzes in the Italian Renaissance: when, where and why (I), in Ricche minere, I (2014), pp. 21-41.