sfavillare
È il " risplendere " delle cappe degli ipocriti, che sono di fuor dorate... sì ch'egli abbaglia (If XXIII 64), e che D. identifica senz'altro con la pena cui quei peccatori sono soggetti: che pena è in voi che sì sfavilla? (v. 99; per il significato della domanda, cfr. il Sapegno, cui sembra opportuno " supporre nella frase un'intenzione maliziosa e beffarda ").
L'immagine del ferro arroventato si presenta due volte alla fantasia di D. come termine di paragone, per rendere l'idea dello sfavillar del sole (per cui cfr. Pd I 59) o dell'intensa luminosità dei cerchi angelici: non altrimenti ferro disfavilla / che bolle, come i cerchi sfavillaro, " gettarono faville " (Buti, a Pd XXVIII 90). Qui dunque, oltre all'idea della luce, il verbo ha implicita quella dello sprizzare delle faville; e infatti l'incendio suo seguiva ogne scintilla (v. 91), " cioè ogni angelo, staccatosi a mo' di favilla.., seguiva l'incendio de' cerchi, cioè i cerchi fiammeggianti " (Scartazzini-Vandelli).
Lo stesso concetto è presente nelle altre occorrenze del verbo, sempre nel Paradiso. Nel passo di XIV 76 si è più vicini al senso concreto, giacché lo sfavillar del Santo Spiro (si noti l'infinito sostantivato) è costituito dagli spiriti dei beati che D. vede come lumi, simili alle stelle che appaiono al salir di prima sera (vv. 70-71). Sono, in sostanza, emanazioni della sapienza divina (siamo appunto nel cielo dei sapienti), vista nella consueta metafora della luce; emanazioni non dissimili - a parte la maggiore astrattezza dell'immagine - da quelle della divina bontà, che... ardendo in sé, sfavilla / sì che dispiega le bellezze etterne, " cioè produce fuor di sé lo suo splendore e la sua luce... per sì fatto modo... che... manifesta in diverse sembianze... le sue belle cose " (Buti, a Pd VII 65). " Pensier nobile e sovrano e nobilissimamente espresso! Essendo Dio dentro suo essere tutto fiamma, la schizza fuor di sé quasi in ‛ faville ' " (Cesari). Altre due occorrenze (XVIII 71 e XXI 41) si possono accostare, sia per il significato che per la forma sostantivata dell'infinito, a quella del c. XIV.
V. anche DISFAVILLARE.