SFERA
(gr. σϕαῖρα; lat. sphaera; fr. sphère; sp. esfera; ted. Kugel; ingl. sphere). -1. È la figura solida racchiusa da una superficie curva, detta superficie sferica, luogo dei punti dello spazio che hanno una data distanza da un dato punto, detto centro. Spesso anche la superficie sferica viene indicata col nome di "sfera". La definizione suddetta, che nei trattati moderni viene stabilita in rapporto ad un'esposizione logica della geometria, si trova già nella Sferica di Teodosio (sec. II a. C.?), mentre negli Elementi di Euclide (libro XI, def. 14) si dà una definizione genetica: la sfera è generata da un semicerchio, con una rotazione completa intorno al suo diametro.
Molte definizioni, e proprietà, riguardanti il cerchio (v.) trovano esatta rispondenza per la sfera. Così raggio è il segmento che congiunge il centro con un punto qualsiasi della superficie sferica (o anche la lunghezza di detto segmento); corda è ogni segmento avente gli estremi sulla superficie sferica; le corde di lunghezza massima son quelle passanti per il centro della sfera, cioè i diametri. Piano diametrale è ogni piano passante per il centro. Per quattro punti non complanari passa una superficie sferica e una sola.
Una retta è secante, tangente o esterna alla sfera secondoché la sua distanza dal centro è minore, uguale o maggiore del raggio. Tutte le sezioni piane d'una sfera sono cerchi; e perché un piano seghi una sfera occorre e basta che la sua distanza dal centro sia minore del raggio. Se, in particolare, il piano secante passa per il centro, la sezione piana si dice cerchio massimo: in caso contrario cerchio minore. In ogni caso, si dicono poli di un cerchio sezione di una sfera gli estremi del diametro della sfera che è perpendicolare al piano del cerchio sezione e perciò passa per il centro di questo. Se un piano ha dal centro della sfera distanza uguale al raggio, esso è tangente alla sfera, con cui ha un sol punto comune (punto di contatto), nel quale è perpendicolare al raggio. Finalmente il piano è esterno se la sua distanza dal centro è maggiore del raggio.
Due sfere secantisi hanno comune un cerchio. Perché due sfere siano secanti occorre e basta che la distanza dei loro centri sia minore della somma dei raggi e maggiore della loro differenza. Anche gli altri casi che possono presentarsi nella posizione reciproca di due sfere sono esattamente corrispondenti a quelli che si verificano per i cerchi: due sfere (di raggi r, r′, con r > r′) sono tangenti esternamente o internamente, secondoché la distanza d dei loro centri è uguale a r + r′ o a r − r′; e finalmente le due sfere sono esterne se d > r − r′, mentre la minore è interna alla maggiore se d 〈 r − r′.
2. Il volume V della sfera di raggio r è dato da
ossia è il quadruplo del volume del cono che ha per base il cerchio massimo e per altezza il raggio. Si può anche dire che esso è uguale ai 2/3 del volume del cilindro (equilatero) circoscritto alla sfera (fig. 1). L'area S della superficie sferica di raggio r è
cioè il quadruplo dell'area del circolo massimo. Questo risultato si può enunciare anche dicendo che l'area della sfera è uguale a quella della superficie laterale del cilindro circoscritto o, ciò che è lo stesso, ai 2/3 dell'area della superficie totale di codesto cilindro.
La determinazione del volume e dell'area della sfera costituisce una delle maggiori scoperte di Archimede, il quale, a quanto narra Plutarco (Marcello, 17), volle che, come iscrizione sul suo cippo sepolcrale, si incidessero soltanto una sfera col cilindro circoscritto (fig. 1) e il rapporto 2/3; ed è con questo indizio che Cicerone afferma (Tusculane, V, 64 e segg.) d'essere riuscito, durante la sua questura in Sicilia, nel 75 a. C., a scoprire alle porte di Siracusa la tomba di Archimede, oramai occultata da sterpi e dimenticata dai Siracusani.
Nel Metodo Archimede espone come sia pervenuto alla sua scoperta per mezzo del cosiddetto "metodo meccanico", nel quale è in qualche modo implicito il concetto degli indivisibili di B. Cavalieri. Dato un cerchio di centro O e diametro orizzontale AC (fig. 2), Archimede considera il rettangolo concentrico EFGH, in cui i lati EH e FG sono tangenti in A e C al cerchio e l'altezza EH è doppia del diametro AC, e il triangolo rettangolo isoscele ECH. Il cerchio, il rettangolo e il triangolo, rotando intorno ad AC, generano rispettivamente una sfera, un cilindro e un cono; e si riconosce facilmente che ogni piano perpendicolare al diametro AC in un suo punto P sega i tre solidi secondo cerchi tali che quello corrispondente al cilindro sta alla somma degli altri due in ragione inversa di CP a CA. Preso allora CK = CA, e immaginati i tre solidi costituiti di materia pesante uniforme, si consideri AK come una leva col fulcro in C; il cerchio sezione del cilindro, pensato come una sottile lamina e lasciato dov'è, equilibra, per quanto si è or ora detto, gli altri due trasportati parallelamente a sé stessi fino ad avere il centro in K. E poiché ciò si può ripetere per ogni sezione, si ha, considerando i solidi come somme dei cerchi-sezione, che il cilindro, lasciato dov'è, o anche concentrato in O, fa equilibrio al cono e alla sfera concentrati in K. Si ha dunque
e di qui si deduce senz'altro il volume della sfera.
Al metodo meccanico di Archimede si può ricondurre, nonostante la profonda differenza formale, quello di Luca Valerio (De centro gravitatis solidorum, 1604), specialmente nella forma ad esso data da B. Cavalieri, per quanto né l'uno né l'altro abbia potuto conoscere il "metodo" di Archimede, il cui manoscritto fu scoperto solo recentemente (1906) da J. L. Heiberg nella Biblioteca di Costantinopoli.
Luca Valerio e B. Cavalieri considerano una semisfera di diametro AB, il cilindro ABCD ad essa circoscritto (avente per base un circolo massimo) e il cono ODC avente il vertice nel centro della sfera e la stessa base del cilindro (fig. 3). Il solido differenza tra il cilindro e la semisfera costituisce la cosiddetta "scodella" di Galileo. Si riconosce che, sezionando cono e scodella con un qualsiasi piano normale all'asse OH, si ha sempre uguaglianza tra le aree delle sezioni; e di qui si deduce, per il principio di Cavalieri (che in sostanza considera i solidi come somme delle loro sezioni piane) che cono e scodella hanno volumi uguali. Segue il calcolo immediato del volume della scodella, e quindi (per differenza) quello della semisfera.
Archimede riporta anche un secondo metodo per la determinazione del volume della sfera, anzi per il caso più generale dell'ellissoide di rotazione, calcolando il detto volume come somma d'una serie di scaloidi (somme di cilindri) e ricorrendo al metodo di esaustione (Conoidi e sferoidi, Prop. XXVII). Dalla conoscenza del volume Archimede deduce "per analogia" il valore della superficie, eonsiderando la sfera come un poliedro a facce piccolissime: il volume risulta allora quello d'una piramide avente per base la superficie S della sfera e per altezza il raggio di questa, sicché si deve avere:
La sistemazione di tutta la teoria si trova nel libro I del De sphaera et cylindro, in cui Archimede determina parallelamente volume e superficie, ricorrendo, come ancora oggi si fa nella maggior parte dei trattati di geometria elementare, al confronto della superficie e del solido della sfera con le superficie e i solidi rotondi, generati dai poligoni regolari iscritti e circoscritti al cerchio (massimo) generatore della siera.
3. Sono notevoli le seguenti formule ríguardanti volumi e superficie di parti della sfera di raggio r:
Area della zona (o della calotta) di altezza h:
zona è (fig. 4) la parte di superficie sferica compresa tra due piani secanti paralleli distanti h; calotta è una delle due parti in cui la superficie sferica è divisa da un piano secante: le parti di solido sferico corrispondentemente individuate si dicono segmenti sferici, rispettivamente a due basi o a una base.
Volume del segmento sferico a due basi:
oppure:
dove h è l'altezza, a, b sono i raggi delle basi, r0 il raggio della sezione mediana. La prima formula, per b = 0, vale anche per il segmento sferico a una base.
Volume del segmento sferico a una base (d'altezza h e di raggio di base a):
Area del fuso, cioè (fig. 5) d'una parte di superficie sferica compresa tra due semicircoli massimi aventi lo stesso diametro, i cui piani formino un angolo diedro d'ampiezza α, espressa in gradi e frazioni decimali di grado:
Volume del corrispondente spicchio sferico, cioè della parte di solido sferico compresa tra il fuso e i due semicircoli massimi che l'individuano:
Volume del settore sferico, corrispondente a una zona d'altezza h, cioè della parte di solido sferico compresa tra le superficie laterali di due coni finiti coassiali, aventi per vertice il centro della sfera e per basi ciascuna base della zona:
La stessa formula vale anche per il settore sferico, similmente definito, corrispondente a una calotta d'altezza h.
4. La sfera gode della proprietà di avere volume massimo fra tutti i solidi di uguale superficie. La dimostrazione di questa classica proprietà isoperimetrica (o "isofanica") non offre difficoltà se si considerano soltanto solidi convessi (J. Steiner: v. isoperimetri). Solo recentemente (L. Tonelli, 1913) è stata soddisfacentemente sistemata la teoria nel caso più generale di solidi presentanti concavità (anche se queste non si suppongono costituite tutte da punti ellittici).
5. Ha origini molto antiche lo studio della geometria sulla sfera, ossia lo studio delle figure geometriche tracciate sulla superficie sferica; e ciò si comprende facilmente se si pensa all'importanza che tale studio ha per l'astronomia: le stelle vengono infatti proiettate sulla cosiddetta "sfera celeste". Più tardi l'interesse per la geometria sulla sfera si accrebbe anche per il fatto che, essendo la Terra sferica, a quella si deve ricorrere ogniqualvolta si considerino estensioni di superficie terrestre tali da non poter essere assimilate al piano senza errore sensibile.
Nello studio della geometria sulla sfera, la prima questione è di trovare una famiglia di linee, che vi compiano lo stesso ufficio, che nella geometria del piano spetta alle rette. Queste linee sono i circoli massimi, i quali costituiscono le geodetiche della sfera (v. geodetiche, linee); si ha cioè che, comunque si prendano su di un circolo massimo due punti, l'arco fra essi compreso, che non supera la semicirconferenza, segna fra quei due punti, sulla sfera, il minimo cammino.
Alla nozione di angolo di due rette corrisponde quella di angolo di due circoli massimi, che si precisa come segue. Anzitutto si fissi uno qualsiasi dei due punti d'intersezione dei due circoli massimi come vertice dell'angolo: su ciascun circolo massimo si fissi inoltre il verso positivo, e infine sulla sfera si fissi un verso positivo di rotazione (che porti, ad es., uno dei circoli massimi a sovrapporsi all'altro). Sì considerino le due rette tangenti a ciascun circolo massimo nel vertice dell'angolo, e di tali rette si fissino le semirette t, t′ corrispondenti ai versi positivi di ciascun circolo massimo a, a′. L'angolo di cui deve rotare la semiretta t, nel verso positivo di rotazione della sfera, per sovrapporsi a t′, si chiama angolo aa′ dei due circoli massimi. Esso è la sezione normale di uno (ben definito) dei diedri formati dai piani dei due circoli.
Ai triangoli piani corrispondono i triangoli sferici. Essi si definiscono come l'insieme di tre punti (vertici) della superficie sferica non appartenenti allo stesso circolo massimo, e degli archi di circolo massimo (lati) che li congiungono a due a due (fig. 6). Se si pone la condizione che gli archi congiungenti debbano rappresentare la minima distanza (sulla sfera) tra i vertici, occorre scegliere gli archi minorì di π (cioè del semicircolo massimo).
I triangoli che rispondono a quest'ultimo requisito sono quelli comunemente considerati nella geometria elementare, e sono detti "triangoli convessi" o talvolta "triangoli di Eulero". Se si rinuncia alla suddetta condizione, i lati possono anche essere maggiori del semicircolo massimo, e si hanno allora i cosiddetti "triangoli di Möbius". In ogni caso, nei triangoli sferici, oltre ai tre lati si considerano tre angoli, che sono gli angoli dei circoli massimi (lati) sopra definiti.
Dati tre punti sulla superficie sferica, purché non appartenenti allo stesso circolo massimo, e purché due di essi non siano dìametralmente opposti, resta determinato un unico triangolo sferico convesso avente quei tre punti come vertici. Dagli stessi dati risultano invece individuati 24 = 16 diversi triangoli di Möbius, potendosi fissare su ciascun circolo massimo il verso positivo, e inoltre il verso positivo di rotazione della sfera.
L'estensione al caso di poligoni a più di tre lati è immediata: di solito si considerano i poligoni sferici convessi, in cui ogni lato è minore della semicirconferenza, e lascia tutto il poligono in uno stesso emisfero (da esso determinato).
6. Ad ogni poligono sferico corrisponde un angoloide: quello proiettante dal centro della sfera i vertici del poligono. Si noti anzi che dalle proprietà degli angoloidi si possono dedurre proprietà dei poligoni sferici, e viceversa, purché si scambino tra loro le parole "facce" e "lati", "diedri" e "angoli".
La teoria dell'uguaglianza dei poligoni sferici (come quella degli angoloidi) si differenzia da quella dell'uguaglianza dei poligoni piani principalmente su due punti: per la questione del "verso" e per quelle questioni che si riconnettono alla "polarità". Per semplicità le considerazioni verranno qui limitate al caso dei triangoli sferici, che sono i poligoni maggiormente interessanti.
Nel piano, due triangoli aventi rispettivamente uguali tutti gli elementi (lati e angoli) sono sempre sovrapponibili. Nel caso dell'uguaglianza diretta (cioè se i vertici corrispondenti si susseguono nello stesso verso) basta un semplice scorrimento sul piano; nel caso dell'uguaglianza inversa occorre uscire dal piano con un ribaltamento, per operare la sovrapposizione. Per i triangoli sferici un tale ribaltamento non è possibile: esistono cioè triangoli sferici aventi tutti gli elementi rispettivamente uguali, ma pure non sovrapponibili (uguaglianza inversa, o simmetrica). Tale è, ad esempio, il caso di due triangoli sferici ciascuno dei quali abbia come vertici i punti diametralmente opposti dei vertici dell'altro; essi risultano sovrapponibili soltanto se sono isosceli.
Mentre per i triangoli piani si hanno solo tre criteri fondamentali d'uguaglianza, per i triangoli sferici esiste anche un quarto criterio, che riconosce l'uguaglianza dei triangoli a partire dalla uguaglianza dei soli angoli.
7. Nella teoria dell'uguaglianza dei triangoli sferici, lati e angoli si presentano dunque simmetricamente. E invero si può stabilire sulla sfera una corrispondenza tra i lati d'un triangolo sferico (ossia tra archi di circolo massimo: circoli polari) e i vertici di un altro triangolo (ciascun vertice essendo uno dei poli di quei circoli polari). Questa corrispondenza dà luogo a una vera e propria legge di dualità sulla sfera (v. dualità), che viene considerata in ispecial modo come relazione fra i cosiddetti "triangoli polari".
Dato un triangolo sferico ABC, risulta determinato un altro triangolo A′B′C′ (figura 7), ciascun vertice del quale (ad esempio A′) è uno dei poli d'un lato di ABC (ad esempio di BC), e precisamente quel polo che rispetto al lato suddetto (BC) cade dalla stessa parte del vertice opposto (A).
Si dimostra facilmente che la relazione fra i triangoli ABC, A′B′C′ è reciproca, cioè che partendo da A′B′C′ e operando analogamente s'ottiene ABC. I due triangoli sono detti polari, o anche supplementari, per il fatto che ciascun angolo dell'un triangolo ha per misura la differenza tra la semicirconferenza massima e ìl lato opposto dell'altro triangolo.
Si osservi che il quarto criterio d'uguaglianza dei triangoli sferici si riporta immediatamente al terzo (che parte dall'uguaglianza dei soli lati), se si considerano i triangoli polari dei dati: ciò similmente a quanto si fa per i triedri. Si osservi inoltre che il quarto criterio fa vedere che sulla sfera non si hanno figure simili: così i triangoli equiangoli sono senz'altro uguali. La geometria sulla sfera offre quindi un esempio di geometria non-euclidea (v. parallele).
Un altro punto che differenzia la teoria dei triangoli sferici da quella dei triangoli piani consiste nel fatto che il perimetro di un triangolo sferico (e in genere di ogni poligono sferico) ha un limite superiore che non può raggiungere, e che è uguale alla circonferenza massima. Come conseguenza di questa proposizione, applicata al triangolo polare del dato, si può subito ricavare la proposizione fondamentale: la somma degli angoli di un triangolo sferico non è, come quella dei triangoli piani, costante, ma resta (nei triangoli convessi) sempre maggiore di due retti e minore di sei. Esistono dunque triangoli sferici con due o tre angoli retti (triangoli birettangoli o trirettangoli) od ottusi. Ad esempio, tre circoli massimi, a due a due perpendicolari (quali si ottengono conducendo per il centro della sfera tre piani a due a due perpendicolari) dividono la superficie sferica in otto triangoli trirettangoli uguali (ottanti).
Si dice eccesso sferico la differenza tra la somma degli angoli di un triangolo sferico e due retti, e si dimostra che l'area di un triangolo sferico è proporzionale al rispettivo eccesso sferico: precisamente l'area risulta uguale all'eccesso se come unita di misura per le aree si assume l'ottante e come unità di misura per gli angoli l'angolo retto.
Questi risultati sono estendibili ai poligoni sferici a un numero qualsiasi n di lati, per i quali l'eccesso sferico è la differenza tra la somma degli angoli e (2n − 4) retti.
Fra i tanti teoremi di geometria sulla sfera che trovano rispondenza nella geometria piana, basti enunciare il seguente teorema del Lexell: il luogo geometrico dei vertici C dei triangoli sferici aventi la stessa area e le stessa base AB, è un arco di circolo minore passante per i punti diametralmente opposti ad A, B.
8. Presso i Greci lo studio della geometria sulla sfera forma già una speciale disciplina (la Sferica), che viene piuttosto considerata come parte dell'astronomia, anziché della geometria pura. Il più antico trattato giunto a noi su tale argomento è quello (περὶ κινουμένης σϕαίρας = sulla sfera moventesi) di Autolico di Pitane, fiorito intorno al 330 a. C. In Autolico già si trovano le denominazioni di "circolo massimo" (o ὁ μέγιστος κύκλος) e di polo (πόλος).
Si hanno poi delle nozioni di Sferica nei Phaenomena di Euclide (circa 300 a. C.): inoltre ci è giunto il trattato di Teodosio da Tripoli (prima metà del sec. II a. C.?). In detto trattato si trova sviluppata la teoria geometrica della sfera, ma senza alcun accenno esplicito ai triangoli sferici, sebbene dalle sue proposizioni se ne possano facilmente dedurre (come fece Menelao) alcune proprietà. Va accennata l'ipotesi, che sembra abbastanza ben fondata, secondo la quale Autolico, Euclide e Teodosio avrebbero attinto a un'opera anteriore sulla Sferica, andata perduta, che verrebbe attribuita a Eudosso di Cnido.
Lo studio dei triangoli sferici si trova ampiamente sviluppato nella Sferica di Menelao (fine del sec. I d. C.), il quale, fondandosi sulle proposizioni di Teodosio, espone anche i criterî d'uguaglianza di dette figure. Menelao impiega per primo il vocabolo τρίπλευρον per indicare il triangolo sferico: tale vocabolo si trova (a dir vero) già in una definizione di Euclide, accanto all'altro τρίγωνον, per indicare il triangolo piano, ma non viene poi da Euclide mai adoperato. Va infine notato che a Ipparco si fa risalire l'inizio della trigonometria sferica (v. trigonometria), né va taciuta l'opera organizzatrice di Tolomeo.
Il riconoscimento della non-sovrapponibilità di triangoli sferici simmetrici si trova già implicitamente in Menelao, come si può rilevare dai procedimenti dimostrativi di questo geometra: venne poi esplicitamente richiamata l'attenzione sulla distinzione del verso in tempi relativamente recenti (J. A. Segner, 1741; A.-M. Legendre; A. F. Möbius).
La costruzione del triangolo sferico polare si trova per la prima volta (a quanto pare) presso il persiano Naṣīr ad-dīn Ṭüsī (1201-1274) e la relazione di polarità si trova più tardi (sembra indipendentemente) in F. Vieta, sotto forma alquanto oscura (Variorum de rebus mathematicis responsorium, 1593, VIII), e assai più chiaramente in W. Snellio (Doctrinae triangulorum canonicae libri quattuor, 1627, opera postuma, III, prop. 8ª).
9. Alla considerazione dei poligoni sferici si può riattaccare il problema dei poliedri regolari, ai quali corrispondono divisioni della sfera circoscritta in parti poligonali congruenti. Qui basti rilevare esplicitamente che codesti poliedri dànno luogo a tre tipi di gruppi finiti di rotazioni della sfera, che la sovrappongono a se stessa. D'altra parte, l'analisi dei gruppi finiti di sostituzioni lineari sopra una variabile complessa, o di proiettività sulla retta (complessa), porta a riconoscere l'esistenza di tre tipi di gruppi, che rispondono precisamente a quelli dei poliedri regolari sopra menzionati (F. Klein). Emerge di qui che anche la determinazione di tutte quelle classi di poliedri semiregolari, che sono state considerate dai geometri a partire da Archimede, si collega sempre a codesti gruppi, e viene quindi a dipendere in ultima analisi dalla determinazione dei poliedri regolari (v. poliedro).
10. Per la rappresentazione della sfera sul piano, merita menzione speciale la cosiddetta proiezione stereografica, che già era nota a Ipparco e Tolomeo, mentre il nome sembra risalire ad Aquilonius (Fr. von Aiguillon) in Opticorum libri sex (Anversa 1613). Si tratta della proiezione centrale, il cui centro (polo) è un punto P della sfera e il cui quadro è un piano parallelo al piano tangente in P, per es. il corrispondente piano equatoriale (come nell'annessa figura 8, in cui è rappresentata una sezione meridiana per P della figura obiettiva). La proiezione stereografica è isogonale (o conforme) e omociclica, cioè conserva gli angoli e fa corrispondere ad ogni circolo della sfera un circolo del piano (eccettuati, sulla sfera, i circoli passanti per il polo P, cui corrispondono sul piano le rette). Essa ha trovato, fino dall'antichità, importanti applicazioni nella cartografia. Si può notare che ogni lossodromica sferica relativa al polo P (cioè ogni curva che incontri i successivi meridiani per P sotto un angolo costante) - qual'è, sul globo terrestre, supposto sferico, la rotta di una nave, la cui direzione formi un angolo costante con l'ago della bussola (P. Nuñes, 1492) - ammette come immagine stereografica una spirale di Archimede.
11. Riferita a una terna di assi cartesiani ortogonali in posizione generica, la sfera ha l'equazione:
x2 + y2 + z2 + ax + by + cz + d = 0
dove − a/2, − b/2, − c/2 sono le coordinate del centro, e
è il raggio. Quest'equazione, rispetto all'equazione generale di secondo grado a tre variabili x, y, z, presenta la duplice particolarità di avere uguali i coefficienti dei termini in x2, y2, z2 e di mancare dei termini in xy, xz, yz. La sfera figura dunque tra le superficie del second'ordine (v. quadriche) come una superficie particolare.
Le particolarità della sua equazione si lasciano interpretare cercando la curva (immaginaria) intersezione della superficie col piano all'infinito. Per ciò si renderà omogenea l'equazione ponendo x/t, y/t, z/t al posto di x, y, z e moltiplicando per t2: allora per t = 0 si avrà la curva intersezione cercata. Essa è il cerchio assoluto (immaginario), cioè il luogo dei punti ciclici di tutti i piani dello spazio (v. cerchio; ciclici punti; geometria, n. 32). Pertanto la sfera sarà caratterizzata come quella quadrica che passa per il cerchio assoluto. Ciò anche se la sfera ha raggio nullo; si osservi infatti che una tale sfera (ted. Nullkugel), la quale nel campo reale si riduce a un sol punto P, è nel campo complesso il cono isotropo di vertice P, cioè il cono che da questo punto proietta il cerchio assoluto. Si osservi che il cerchio assoluto si presenta pure come conica fondamentale della polarità subordinata sul piano all'infinito dalla polarità definita dalla sfera (v. quadriche).
Per trovare un'altra proprietà che valga a caratterizzare la sfera, si ricordi che un piano si dice tangente a una quadrica quando la sega secondo una conica degenere, ossia secondo una coppia di rette (reali distinte, o reali coincidenti, o immaginarie). Per il punto di contatto passano infinite rette tangenti alla quadrica, le quali giacciono tutte sul piano tangente e costituiscono le coppie d'una involuzione (detta delle tangenti coniugate), le cui rette doppie sono quelle d'intersezione tra il piano tangente e la quadrica. Per la sfera, un piano tangente ha comune con la superficie, nel campo reale, soltanto il punto di contatto; ma nel campo complesso ha comuni con la sfera le due rette isotrope uscenti dal detto punto di contatto. Poiché le rette isotrope sono le rette doppie dell'involuzione circolare, segue che in ogni punto della sfera l'involuzione delle tangenti coniugate è circolare (proprietà caratteristica). Si può anche dire che la sfera è caratterizzata dall'indeterminazione delle sue linee di curvatura, cioè delle linee la cui tangente è ortogonale alla tangente coniugata (v. superficie, n. 10).
12. Una sfera è individuata nello spazio dai quattro valori, che si possono prefissare ad arbitrio, per le coordinate del centro e per il raggio; e ciò si rispecchia nel fatto che nella corrispondente equazione generale:
compaiono quattro coefficienti indipendenti. Si ha dunque che le sfere dello spazio costituiscono una varietà ∞4 o a quattro dimensioni.
Ogni combinazione lineare delle equazioni di due o più sfere, per la sua stessa forma, rappresenta ancora una sfera, onde vi è luogo a considerare i sistemi lineari di sfere, ossia quei sistemi, le cui equazioni si ottengono come combinazioni lineari delle equazioni (supposte linearmente indipendenti) di due o tre o quattro sfere e sono costituiti, rispettivamente, da ∞1 sfere (fasci) o da ∞2 (reti) o da ∞3 (complessi lineari).
Questi tre tipi di sistemi godono di notevoli proprietà in relazione al concetto di potenza di un punto rispetto a una sfera, che si definisce in modo analogo al caso del cerchio nel piano (v. potenza): se da un punto P si conduce una secante ad una data sfera e sono Q e Q′ le rispettive intersezioni, il prodotto PQ•PQ′ delle misure (relative) dei due segmenti orientati PQ, PQ′ non varia al variare della secante per P, e il valore costante di questo prodotto si dice appunto potenza di P rispetto alla sfera considerata.
Orbene, quando è dato un fascio di sfere, il luogo dei punti che hanno ciascuno ugual potenza rispetto a tutte le ∞1 sfere, è un piano, che si dice piano radicale del fascio. Se due delle ∞1 sfere si segano, per il loro circolo comune passano anche tutte le altre sfere del fascio e il piano di codesto circolo (circonferenza-base del fascio) è il piano radicale. Nel caso di una rete, i piani radicali degli ∞2 fasci in essa contenuti appartengono ad uno stesso fascio, il cui asse - luogo dei punti, ciascuno dei quali ha potenza uguale rispetto alle ∞2 sfere - si chiama asse radicale della rete. Se tre sfere della rete, le quali non appartengano ad uno stesso fascio, hanno comuni due punti A, B, passano per essi anche tutte le altre sfere del sistema, e la retta AB è l'asse radicale della rete. Infine se si considera un complesso lineare ∞3 di sfere, i piani radicali degli ∞3 fasci e gli assi radicali delle ∞3 reti del sistema appartengono ad una stessa stella, il cui centro - unico punto avente ugual potenza rispetto alle ∞3 sfere - si dice centro radicale del sistema.
13. Le trasformazioni fra punti dello spazio, che mutano sfere in sfere, costituiscono un gruppo ∞10, che vien generato dalla combinazione, per moltiplicazione operatoria, dei movimenti e delle similitudini con le inversioni o trasformazioni per raggi vettori reciproci, rispetto alla sfera, che si definiscono come rispetto al cerchio; cioè ad un qualsiasi punto P si fa corrispondere come inverso, rispetto ad una sfera di centro O e raggio r, il punto P′ della retta OP, per cui risulta OP•OP′ = r2 (ove si valutino i segmenti OP, OP′ in valore e segno). Questo gruppo ∞10 è il più ampio gruppo di trasformazioni conformi o isogonali dello spazio (J. Liouville, 1850), mentre nel piano il gruppo conforme totale dipende da funzioni arbitrarie (v. funzione, n. 31).
La geometria, che, secondo le vedute del programma di Erlangen di F. Klein (v. geometria, nn. 31, 33; klein), ammette come fondamentale il gruppo ∞10 dianzi caratterizzato - cioè l'insieme di quelle proprietà delle figure, che risultano invarianti rispetto ad un tal gruppo - è la cosiddetta geometria elementare delle sfere (ted. Niedere Kugelgeometrie). Ove ad elementi generatori dello spazio si adottino le sfere e ad individuarle si assumano opportune coordinate (coordinate pentasferiche), le ∞4 sfere risultano rappresentabili coi punti di uno spazio S4 a quattro dimensioni, nel quale i punti dello spazio ordinario - considerati come sfere di raggio nullo - sono rappresentati dai punti di una quadrica a tre dimensioni, non degenere, Q32 (v. iperspazio), e i piani - considerati come sfere di raggio infinito - dai punti di un iperpiano S3. In questo S4 al gruppo conforme dello spazio ordinario corrisponde il gruppo delle ∞10 proiettività che trasformano in sé la quadrica Q32 (non l'iperpiano S3), sicché la geometria elementare delle sfere risulta - secondo le vedute del Klein - equivalente alla geometria proiettiva dello spazio a quattro dimensioni, in cui sia fissata, come invariante, una quadrica a tre dimensioni, non degenere.
Sempre nell'ordine di idee del Klein, la geometria elementare delle sfere è subordinata alla cosiddetta geometria delle sfere superiore o del Lie (ted. Höhere o Liesche Kugelgeometrie), che ha come fondamentale il gruppo ∞15 - contenente come sottogruppo il gruppo (puntuale) conforme - delle trasformazioni di contatto (v. trasformazione: Trasformazioni di contatto), che mutano sfere in sfere (considerate, ciascuna, come insieme dei suoi ∞2 elementi superficiali o faccette). Una opportuna scelta di coordinate (coordinate sovrabbondanti esasferiche) conduce a rappresentare le ∞4 sfere dello spazio ordinario coi punti di una quadrim a quattro dimensioni, non degenere, Q42 dello spazio a cinque dimensioni S5, nel quale al gruppo di trasformazioni di contatto or ora considerato corrispondono le ∞15 proiettività, che trasformano in sé codesta quadrica Q42. Poiché anche la geometria proiettiva dello spazio rigato si può interpretare come geometria proiettiva di una quadrica non degenere dello Spazio a cinque dimensioni (v. retta, n.1), si stabilisce così un nesso, profondo e suggestivo, fra la geometria superiore delle sfere e la geometria proiettiva dello spazio rigato. Il raffronto di queste due diverse interpretazioni, di cui risulta suscettibile, nello spazio ordinario, la geometria proiettiva di una quadrica non degenere di S5, conduce alla celebre trasformazione di contatto del Lie (1870), che trasforma le rette in sfere e fa corrispondere alle asintotiche di ogni superficie dello spazio rigato le linee di curvatura della superficie omologa dello spazio delle sfere.
Bibl.: Per le proprietà elementari della sfera, v. i trattati di geometria elementare. Per le questioni storiche e critiche che si riattaccano alla determinazione del volume e della superficie: F. Enriques (e collaboratori), Gli elementi d'Euclide e la critica antica e moderna, IV, Bologna 1935; O. Chisini, Lunghezze, aree e volumi, in F. Enriques, Questioni riguardanti e matematiche elementari, II, ii, Bologna (1925). Per la geometria sulla sfera: E. Rouché e Ch. de Comberousse, Traité de Géométrie, II, 5ª ed., Parigi 1883. Per i sistemi lineari di sfere: B. Colombo, Sistemi lineari di cerchi le sfere, in Enciclopedia delle matematiche elementari, II, i, Milano 1936. Per la geometria delle sfere: J. Reye, Synthetische Geometrie der Kugeln und linearen Kugelsysteme, Lipsia 1873 (trad. it. di M. Misani, Milano 1881); S. Lie e G. Scheffers, Geometrie der Berührungstransformationen, Lipsia 1896; F. Klein, Vorlesungen über höhere Geometrie, 3ª ed., Berlino 1926; W. Blasche, Kreis und Kugel, Lipsia 1961; J. C. Coolidge, A Treatise on the circle and the sphere, Oxford 1916.