ODDI, Sforza
ODDI, Sforza. – Nacque nel 1540 a Perugia, da Galeotto e da Virginia Della Penna. Ebbe due fratelli, Gerolamo e Cesare.
Appartenne alla nobile famiglia Oddi (chiamata anche, tra il XV e il XVI secolo, Oddi Novelli), residente a Perugia nella parrocchia di S. Cristoforo, nel rione di Porta S. Angelo: come osservato da Anna Maria Rati (2011B, p. 7), tale precisazione è necessaria a fronte della varietà di opinioni, fin nelle testimonianze più antiche, sull’appartenenza di Sforza alla famiglia Oddi o a quella Degli Oddi, considerate erroneamente derivanti da un ceppo comune, in realtà casate distinte, come risulta dall’esame della genealogia e delle insegne araldiche (Corrigan, 1934, p. 719). Nel periodo della sua nascita infuriava a Perugia la cosiddetta guerra del sale, e probabilmente Galeotto prese le parti di papa Paolo III; ciò trarrebbe conferma dal fatto che poco tempo dopo fu nominato governatore di Rieti e dalle forti e durature connessioni degli Oddi con la famiglia Farnese.
Si appassionò sin dalla gioventù alle lettere, come dimostra il suo scritto Eugenius seu de nobilitate, del 1559, rimasto inedito (Greco, 1977). Divenne socio delle Accademie perugine degli Unisoni (col nome di Intempestivo) e degli Insensati (col nome di Forsennato) e studiò legge nell’Università cittadina. Nell’agosto 1569 si laureò in entrambi i diritti e l’anno successivo ottenne la cattedra di diritto civile.
Nello stesso anno dovette precipitarsi a Parma per difendere il fratello Cesare, a servizio, probabilmente come militare, del duca Ottavio Farnese, incarcerato forse per aver ucciso un servitore della duchessa Margherita d’Asburgo. Riuscì a farlo liberare e a farlo reintegrare al suo posto (l’aneddoto trova conferma documentaria nell’inedita lettera dello zio paterno Marcantonio a Ottavio Farnese, inviata da Perugia il 19 marzo 1569, con cui lo scrivente supplicava il duca di liberare il nipote e comunicava che si sarebbe recato a Parma «a piede di V.E. Ill.ma ms. Sforza fratello di detto Cesare»: Arch. di Stato di Parma, Carteggio farnesiano estero, Perugia, b. 386). Cesare morì pochi anni dopo al comando di una compagnia di fanteria nella spedizione papale in Francia contro gli Ugonotti.
Nel 1571 Oddi pubblicò a Perugia (V. Panizza) il Compendiosae substitutionis tractatus, sulla tematica delle successioni ereditarie, al quale nel 1572, sempre per Panizza, seguì la prima commedia, l’Erofilomachia, rappresentata nel 1574 nel palazzo ducale di Pesaro. Fra il 1573 e il 1575 ebbe rilevanti incarichi di natura politica. Fu sovrintendente alla costruzione di edifici pubblici; venne poi inviato per una missione diplomatica presso il cardinale Alessandrino (Michele Bonelli) a Castel della Pieve. Si candidò in quegli anni come giudice alla Rota romana, ma papa Gregorio XIII, gli preferì Francesco Cantucci, forse perché, ligio alle regole della Controriforma, era diffidente verso un autore di opere teatrali.
Nel 1576 uscì a Perugia la sua seconda commedia, I morti vivi (a istanza di L. Pasini per B. Salviani) ma negli stessi anni non trascurò l’attività di giurista e cominciò a dedicarsi, nella quiete della sua villa del Murlo, non lontana da Perugia, all’elaborazione del trattato De restitutione in integrum, che concluse nel 1580e diede alle stampe quattro anni dopo (Venezia, L. Pasini e M. Amadori). Nel 1577 fu fra gli autori di un Consilium in una controversia fra Gregorio XIII e la famiglia Orsini su certi diritti territoriali e nel 1579 scrisse insieme con Giovanni Paolo Lancelotti, Marcantonio Eugeni e Rinaldo Ridolfi un Consilium a favore di Ranuccio Farnese, il quale rivendicava il trono di Portogallo, in quanto figlio di Maria d’Aviz, cugina del re deceduto di Portogallo Enrico I. In proposito elaborò il Tractatus sup. iur. Farnesiorum Regno Portugal(inedito e ad oggi irreperibile). Il contributo, nonostante il mancato conseguimento dell’ambizioso obiettivo, fu comunque apprezzato dai Farnese, se è vero che Oddi ebbe in dono in quell’occasione una coppa d’argento (Vermiglioli, 1829, p. 146). A sua volta il Collegio dei dottori di Perugia per il parere ricevette dal cardinale Alessandro Farnese una mazza (l’inedita lettera di ringraziamento al cardinale, del 24 agosto 1579, in Arch. di Stato di Parma, Carteggio farnesiano estero, Perugia, b. 386,).
Nel 1580 sposò Florida Ranieri, da cui ebbe presto il primogenito Galeotto. Nel 1583 divenne professore all’Università di Macerata, allettato da un salario di 350 scudi. Nel 1587 fu chiamato dal granduca Ferdinando I de’ Medici all’Università di Pisa, dove conobbe Galileo Galilei. Nel 1590, a Pisa, insieme con un gruppo di scolari allestì la rappresentazione della sua terza commedia, la Prigione d’amore. Il figlio Galeotto, neppure decenne, ne recitò il prologo. La commedia venne pubblicata per l’occasione a Firenze, da Filippo Giunti, con dedica a Lelio Gavardi, rettore dell’Università. Nello stesso periodo Oddi divenne cavaliere dell’Ordine di S. Stefano e acquisì una commenda nel territorio di Narni. Nel 1591 pubblicò a Venezia, presso i Giunti, la raccolta Consiliorum sive responsorum.
Nel 1592 fu chiamato all’Università di Pavia, dove rimase fino al 1597. Ivi, nell’aprile 1595, morì la moglie. A Pavia ebbe fra gli allievi il veneziano Giovanni Savio, che nella Apologia in difesa del Pastor fido (Venezia 1601) menzionò l’ultima commedia del suo maestro pavese. Nel 1598 tornò a insegnare nello Studio perugino; nello stesso anno fu anche inviato come ambasciatore della città presso papa Clemente VIII. Nel 1599 fu chiamato all’Università di Padova alla cattedra di diritto civile, dove sostituì il famosissimo Guido Panciroli, defunto nel marzo di quell’anno. A convincerlo fu probabilmente ancora una volta il lauto stipendio promesso: 1000 ducati l’anno più 200 per il viaggio. A Padova entrò di nuovo in contatto con Galileo: compare infatti quale socio fondatore dell’Accademia dei Ricovrati, di cui lo scienziato fu presidente. Si ha notizia, al riguardo, del discorso pronunciato da Oddi per l’inaugurazione dell’Accademia, il 9 gennaio 1600: «attione, che per esser stata da lui messa insieme, in pochissimo tempo et quasi, et secondo l’opinione de molti, all’improvviso, fu giudicata bellissima et al tempo, al luogo et a gli auditori accommodatissima» (Rati, 2011B, p. 13 n. 16). Fu anche incaricato di compilare lo statuto dell’Accademia.
Anche all’Ateneo patavino rimase per poco tempo. Nel 1599-1600 Ranuccio I Farnese rifondò l’Università di Parma, decaduta dopo periodi di antico splendore, e per darvi impulso e richiamare studenti decise di chiamare alcuni celebri docenti. Fra i giuristi puntò su Oddi, che la famiglia Farnese aveva già avuto modo di conoscere e di apprezzare. La battaglia per ottenere il professore da Padova non fu semplice, ma l’ostinato Ranuccio riuscì nell’impresa, anche grazie alla missione presso la Repubblica di Venezia dell’inviato Ranuccio Pico. Nel tardo autunno del 1600 Oddi raggiunse Parma, dove divenne subito il più importante e pagato lettore della rinata Università. Era lettore primario dell’ordinario civile la sera e in alcuni mandati di pagamento la sua veniva definita «cattedra sopraeminente» (Arch. di Stato di Parma, Comune, b. 1910).
Trascorse a Parma l’ultimo decennio della sua vita insieme con la seconda moglie, la milanese Ottavia Caimi, svolgendo delicati compiti di consigliere giuridico del duca e ottenendo notevoli successi anche in qualità di docente. Dopo oltre otto anni di insegnamento, nel 1609, gli fu donata per i suoi meriti una collana d’oro del valore di oltre 1300 lire. Risiedette a spese dello Studio in un palazzo adiacente alla sede della facoltà giuridica e medica dell’Ateneo.
La sua attività di consulente pratico del periodo parmense trova riscontro anche in un suo parere giuridico a stampa su di una questione di acque fra i Comuni di Reggio e di Guastalla, segnalato in una lettera dell’Affò ad Angelo Mazza del marzo 1777 (Vermiglioli, 1829, p. 147).
Morì a Parma il 30 dicembre 1611, nella parrocchia di S. Niccolò, dove risiedeva, come confermato dalla fede di morte (Parma, Arch. della curia vescovile, Libro I dei defunti della parrocchia soppressa di S. Niccolò) e dall’attestato di sepoltura (Arch. di Stato di Parma, Curia vescovile, Libro dei morti a Parma, 1611).
Il giorno dopo fu sepolto nella chiesa dei servi di Maria. Nella stessa chiesa si tennero i funerali con onori solenni. L’orazione funebre fu recitata dall’allievo prediletto, il milanese Girolamo Figini, e fu pubblicata a Perugia nel 1613. All’inizio del 1612 si tenne una celebrazione anche nella chiesa di S. Agostino a Perugia.
Nel testamento, rogato il 22 marzo 1611 (Ibid., Notai, Tito Livio Bianchi, filza 3384), nominò eredi i figli Galeotto e Cesare, ma lasciò al primo il titolo di baliato legato alla commenda di Narni dell’Ordine di S. Stefano. A Galeotto, laureato in legge, lasciò tutti i suoi libri legali, ma qualora egli non avesse intrapreso la carriera giuridica, i libri sarebbero passati al fratello Cesare, anche in questo caso con la condizione dell’esercizio di una professione legale. Quanto alle opere manoscritte, impose a Galeotto di farle pubblicare a sue spese. In effetti, nel 1622 a Venezia vennero pubblicati a spese dei figli i due trattati De fideicommissis, ultima fatica di Oddi. Galeotto compose due opere teatrali, la Griselda e il Gisippo, quest’ultimo pubblicata a Perugia nel 1613; nel 1619 fu ambasciatore di Perugia presso papa Paolo V ed ebbe così modo di entrare in contatto con i maggiori intellettuali romani del tempo.
Oddi fu sicuramente ai suoi tempi un giurista molto apprezzato, sia come pratico e consultore sia come teorico e professore: il formidabile stipendio che riceveva a Parma (1200 ducatoni annui più un’adeguata residenza e mobilio) ne è una conferma indiscutibile. La sua reputazione non fu però duratura. Nei secoli successivi fu ricordato soprattutto per le opere teatrali. La versatilità d’ingegno fu celebrata nell’elogio funebre di Figini, che gli riconobbe la capacità di dissertare «de motu, de tempore, de elementis, de anima» e ne sottolineò le doti poetiche «quem vel ex tempore optimos fundentem versus audivimus, vel tria illa comicorum poematum volumina vidimus florente, sed non luxuriante ingenio scribentem». Si dilettò pure di musica, anche in veste di compositore, sia da giovane a Perugia, sia negli anni parmensi.
Le commedie ebbero numerose edizioni fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento ed esercitarono una notevole influenza nella storia del teatro comico in Italia e all’estero. L’Erofilomachia è stata ripubblicata più volte nel XX secolo (a cura di B. Croce, Napoli 1946; in Scelta delle commedie del Cinquecento, a cura di A. Borlenghi, II, Milano 1959; in Il teatro italiano, III, La commedia del Cinquecento, a cura di G. Davico Bonino, Torino 1978). Tutto il corpus delle Commedie è stato ripubblicato a cura di A.R. Rati nel 2011.
Obiettivo di Oddi nelle commedie è potenziare la «dolcezza del diletto» tramite l’«amarezza delle lagrime», come si legge nel Prologo alla Prigione d’amore, dove Oddi mette a confronto la personificazione della Tragedia con quella della Commedia. In risposta agli attacchi della Tragedia, che pretende di muovere «gli affetti e le lagrime» del pubblico mostrando vicende piene di «eroica virtù» e accusa la Commedia in pratica di «rubarle il mestiere», la Commedia sostiene che in ogni popolo ci sono «tre condizioni di persone»: «potenti, che si riputano felici…; miseri, che son disperati quasi di mai più risorgere» e infine «mezzani, che né per l’una, né per l’altra faccia di fortuna si conturbono...». «Or, – conclude – lasciando da parte questi ultimi, che non han di bisogno né de’ vostri avvertimenti, né de’ miei, de’ primi lo specchio siete voi, de’ secondi son io». In una classifica di tutti gli spettacoli che possono insieme «utile e sollazzo recare», la Commedia – si legge nel Prologo dell’Erofilomachia – occupa il primo posto, perché in essa, «come in uno specchio di lucidissimo cristallo», si può vedere riflessa «l’immagine della vita nostra e della verità». Sotto questi e altri aspetti, la commedia di Oddi può ritenersi perfettamente in linea con le istanze controriformistiche dell’epoca.
Con tutto ciò, Oddi si presentò ufficialmente sempre soprattutto come giurista, quasi vergognandosi, talvolta, delle sua attività artistico-teatrale. Ancora qualche decennio dopo, secondo il senese Adriano Politi, al cospetto di Clemente VIII, che gli domandava se ancora si occupava di commedie, Oddi «s’arrossì di maniera, che, parendogli necessario lo scusarsene, come di cosa mal fatta, rispose: “Beatissime Pater, delicta iuventutis meae ne memineris”» (Rati, 2011B, p. 18). Una simile battuta, se vera, non deve tuttavia considerarsi la manifestazione di un pentimento nei confronti delle proprie passioni non solo giovanili, quanto, piuttosto, di una diplomatica presa di distanza, al cospetto del pontefice, verso un genere letterario certamente poco apprezzato nel clima controriformista dell’epoca.
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