PALLAVICINO, Sforza
Dalla famiglia Pallavicino di Parma (v. pallavicini) nacque il 18 novembre 1607 in Roma, dove morì il 5 giugno 1667. Nel Collegio Romano studiò grammatica e belle lettere, legge alla Sapienza, laureandosi nel 1625; tornato al Collegio Romano, si addottorò in teologia nel 1628. Questi lieti successi accademici non valsero a ritenerlo, per allora, nel campo delle scienze. "Tirato, com'egli scrisse, dalla vaghezza e dal genio" e non meno dall'amicizia con l'applaudito verseggiatore mons. Giovanni Ciampoli, si diede tutto a coltivare la poesia sacra, frequentando assiduamente nel medesimo tempo l'adunanza letteraria in casa del cardinale Maurizio di Savoia, e l'Accademia degli Umoristi, dalla quale fu eletto, non ancora venticinquenne, preside o principe. Le Muse non estinsero nel giovane Sforza il fervore della pietà; nel 1630, infatti, con beneplacito di Urbano VIII, abbracciava lo stato ecclesiastico, ed era dal pontefice nominato referendario dell'una e dell'altra segnatura e membro delle congregazioni del Buon Governo e dell'Immunità ecclesiastica. Indi a un solo biennio lo troviamo governatore, prima a Iesi (1632), poi a Orvieto, da ultimo a Camerino; quattro anni di tranquilli governi che gli lasciarono agio di comporre in ottava rima i Fasti sacri. Già aveva incominciato a stamparli, quando all'improvviso per il mondo, non per lui che da lungo tempo ne maturava il proposito, il 21 giugno 1637, ordinatosi poco innanzi sacerdote, entrava nella Compagnia di Gesù, e trascorso un biennio nel noviziato di S. Andrea al Quirinale, iniziava nel Collegio Romano la vita di professore, prima con la filosofia (1639-1643), poi con la teologia, alternandola con i gravi lavori commessigli da Innocenzo X sopra l'Augustinus del Giansenio e con la pubblicazione di altre opere: tutto ciò avanti la porpora di che il 10 dicembre 1659 lo rivestì Alessandro VII, che l'ebbe intimo amico prima del pontificato, poi fedele e saggio consigliere. In questi quattro interi lustri, come negli otto anni di cardinalato, carichi del molto lavoro impostogli da cinque congregazioni romane, il P. trattò le lettere, la filosofia, la teologia dommatica e ascetica, la polemica, la storia.
Al genere letterario appartengono l'Ermenegildo, tragedia, recitata nel Seminario romano e subito pubblicata 1644), le Considerazioni sopra l'arte dello stile (1646), l'edizione delle rime e delle prose del Ciampoli (1648-1649), gli Avvertimenti grammaticali per chi scrive in lingua italiana (1661); al filosofico i quattro libri Del Bene (1644); al teologico gli otto tomi Assertionum theologicarum (1652), le Disputationes in primam secundae D. Thomae (1653) e i tre libri dell'Arte della perfezione cristiana; al polemico le Vindicationes Societatis Iesu (1649); allo storico finalmente l'Istoria del Concilio di Trento e la Vita di Alessandro VII incompiuta e pubblicata postuma (1839).
Queste le principali opere del P., nessuna delle quali gli fece tanto nome quanto l'Istoria del Concilio di Trento, incominciata a scrivere nel 1651. Fu essa, dal suo primo apparire ai dì nostri, encomiata altamente dagli uni, screditata, anzi vilipesa dagli altri.
Si deve riconoscere al P. accurata diligenza nella ricerca delle fonti di prima mano, buon uso di esse, e anche egregie doti di scrittore, per quanto non manchi una certa affettazione, soprattutto nello spesseggiare delle sentenze. Se non che dall'avere il P., per combattere la precedente Istoria di P. Sarpi (v.), inteso di fare (l'abbiamo da lui medesimo) "una istoria mista d'apologia", anzi più veramente un'apologia mescolata di storia (Lettere, Venezia 1669, p. 71), l'opera sua venne a rivestire un carattere piuttosto polemico che storico. Di qua parecchi critici, antichi e moderni, ripresero in lui un affievolimento del senso storico. Sta però nel fatto che se l'intento apologetico traviò il P. a un difetto, il modo col quale trattò l'apologia, vale a dire con diligenza scrupolosa di essere sempre veritiero, nonostante la gagliardia nell'incalzar l'avversario, gli acquistò gran lode e merito presso moltissimi dei contemporanei e dei posteri. Pertanto sotto questo punto di vista si può ben consentire col giudizio che del P. come storico diede Pietro Giordani, allorché scrisse: "Ben son fermissimo a credere che Sforza Pallavicino... potesse per avventura ingannarsi; ma adulare e mentire non potesse mai" (Discorso sulla vita e sulle opere del card. S.P., premesso alla Vita di Alessandro VII, Prato 1839, p. 11).
Per le opere del P. v. innanzi tutto il catalogo compilato da I. Affò, ripubblicato con erudite note da F. A. Zaccaria in fronte al tomo I dell'Istoria (Faenza 1792, pp. XLI-LII). Il Sommervogel, Biol. de la Comp. de Jésus, VI, coll. 120-143, dà anche l'elenco di quelle edite postume sino ai suoi giorni (1895).
Il P. curò due edizioni dell'Istoria: la prima in due tomi (1656-57), la seconda, da lui ritoccata, in tre (1664). Più pregevole di entrambe per le note e i prolegomeni è quella dello Zaccaria in sei tomi con copiosi indici (Faenza 1792-1797), ristampata in Roma (1833) e in Mendrisio (1836). Tre altre edizioni più maneggevoli si ebbero nel secolo XIX; due in Milano (Silvestri, 1831-32, e Pirotta, 1843-44); l'ultima in Napoli (1853-56). L'Istoria sin dal sec. XVII fu tradotta in tedesco, spagnolo, francese e latino.
Bibl.: Per la biografia il migliore lavoro è quello di I. Affò, Memorie della vita e degli studj di S. P., in Raccolta di opusc. scient. e lett., ecc., Ferrara 1780, V, pp. 1-64; ripubblicato con pregevoli note dallo Zaccaria (edizione sopra cit., I). Per altri lavori biografici sul P. cfr. Sommervogel, loc. cit., a cui va aggiunto il commentario del contemporaneo A. Oldoini, in Ciaconio, Vitae RR. PP. et Cardd., IV, coll. 738-741. Sul valore storico del P. v. F. A. Zaccaria, loc. cit., I, pp. liii-xcvi; L. Ranke, Die römischen Päpste, III, Berlino 1836, p. 270 segg.; C. Cantù, Storia Universale, Torino 1844, XV, n. xxvi, pp. 204-217; G. Calenzio, Esame critico letterario delle opere riguardanti la storia del concilio di Trento, Roma-Torino 1869, p. 117; E. Fueter, Geschichte der neueren Historiographie, Monaco-Berlino 1925, I. Cfr. pure S. Merkle, in Conc. Trid., nova Collectio, Friburgo in B. 1901, I, p. xiii; S. Ehses, ibid., IV, ivi 1904, p. vii.