sforzare (isforzare)
Come transitivo vale ora " far violenza " (Se vïolenza è quando quel che pate / nïente conferisce a quel che sforza, ecc., Pd IV 74), ora " indurre qualcuno a fare una determinata cosa ": Ed elli a me: " Mal volontier lo dico; / ma sforzami la tua chiara favella... " (If XVIII 53); lo desio fa l'uomo migliorare, / che 'l più malvagio isforza di valere (Rime dubbie XXII 8).
Al participio passato qualifica l'atto virtuoso, che dev'essere libero e non sforzato (Cv I VIII 14), non cioè mosso da una forza estranea alla volontà: Atto libero [precisa D. nel medesimo paragrafo] è quando una persona va volentieri ad alcuna parte, che si mostra nel tener volto lo viso in quella; atto sforzato è quando contra voglia si va, che si mostra in non guardare ne la parte dove si va.
In costruzione intransitiva pronominale, seguito dall'infinito, o da ‛ di ' e infinito o anche con uso assoluto, ha il senso di " compiere uno sforzo ", sia fisico che spirituale, " ingegnarsi " per ottenere un certo risultato: e tal lodarsi d'esso [d'Amore], e tal biasmare / si sforza ciaschedun suo convenente (Rime dubbie XIX 4); e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa (Vn III 6: si allude a una ‛ visione ' dantesca in cui Amore fa sì che Beatrice mangi, pur se dubitosamente, il cuore del poeta); sì ch'io mi sforzava di parlare (XII 5); Poscia mi sforzo, ché mi voglio atare (Vn XVI 9 3, ripreso al § 11: qui precisamente " cerco di darmi animo, di farmi forza ", come notano Barbi-Maggini); Sì mi spronaron le parole sue, / ch'i' mi sforzai carpando appresso lui (Pg IV 50); E Malabocca si sforzava forte / in ogne mi' sacreto far palese (Fiore XXXII 5).