DONNOLO, Shabbĕtay Bar Abrāhām
Medico e uomo di scienza ebreo, figlio di Abrāhām, nato ad Oria, oggi in provincia di Brindisi, nel 913 o poco dopo. I principali dati della sua biografia si ricavano dalle sezioni introduttive ch'egli stesso premise al Sēfer ha-Mirqāḥōt e sopratutto all'opera maggiore, il Sēfer ha-Ḥakmōnī, ov'èconcisamente rievocata la prima parte della sua esistenza. Altre brevi notizie fornisce la Vita greca di s. Nilo di Rossano, morto nel 1004 (Bibl. Hagiogr. Gr.³, 1370), col quale D., "assai rinomato ed esperto nell'arte medica", ebbe consuetudine fin dagli anni della sua giovinezza.
Il 4 luglio 925 l'emiro Gia‛fār ibn ‛Ubayd conquistò Oria, togliendola ai Bizantini in nome del califfò fatimida ‛Ubayd Allāh al-Mahdī. D., a quell'epoca dodicenne, fu catturato dai Saraceni: fra i dieci "dottori" e gli altri pii "anziani" della comunità giudaica messi allora a morte dai vincitori, egli ricorda rabbi Ūrī'ēl, "mio venerato maestro", e rabbi Ḥasādiyā ben rabbi Ḥănān'ēl, congiunto dell'avo suo rabbi Yō'ēl. D. fu poi riscattato a Taranto col denaro dei genitori: mentre questi vennero deportati e costretti all'esilio a Palermo e quindi in Africa insieme con il resto della famiglia, il giovinetto poté rimanere, com'egli stesso dichiara, "in territori sottoposti all'Impero bizantino", ossia in Puglia e in Calabria. Là spiegò molto zelo per acquistare le cognizioni necessarie "a intendere la scienza della medicina, la scienza dei pianeti e delle costellazioni", studiando e copiando gli scritti dei dotti ebrei che lo avevano preceduto. Deluso tuttavia dall'inadeguatezza degli esegeti coevi, pensò allora d'istruirsi da sé nella scienza dei Greci, dei Babilonesi (Caldei o Persiani) e degl'Indiani: avrebbe anzi trascritto - così riferisce - "in lingua originale, coi relativi commentari" libri d'autori greci e bizantini "macedoni", dal nome della dinastia regnante a Costantinopoli), babilonesi ed indiani. Viaggiò quindi "nel paese" - ossia l'Italia meridionale bizantina - alla ricerca di sapienti non ebrei, finché incontrò il "babilonese" B(a)gd(a)s(h) o B(a)gd(a)t, perfetto esegeta della Bāraytā dĕ-Shĕmū'ēl, l'oscuro e prestigioso midrāsh nel quale D. ravvisava la fonte di tutte le successive dottrine astronomiche ed astrologiche del giudaismo, nonché una singolare facoltà d'accordo coi libri dei Gōyīmo "Gentili". In Bagdash (la vocalizzazione del nome èpuramente convenzionale), che subito D. elesse a maestro, si èvoluto riconoscere il medico tunisino Abū Gia‛fār ibn Aḥmad ibn Ibrāhīm ibn Abī Khālid al-Giazzār, morto verso il 1004-05, autore di scritti diffusi in Occidente dalle versioni greche e latine di Costantino da Reggio e Costanfino Africano.
A tale identificazione osta però la qualifica di "babilonese" (bablī), che per Bagdash, contemporaneo di D., può indicar solo un'origine dalle province del ‛Irāq abbaside o una pur vaga relazione con queste (di Baghdād era, p. e s., il mistico "babilonese" Abū Ahărōn, venuto in Italia nel sec. IX): non certo una relazione con Qayrawān, città nativa e residenza di Ibn al-Giazzār, che, per altro, non lasciò mai l'Ifrīqiyyah.
Non èimprobabile che D. abbia soggiornato per qualche tempo a Otranto. A lui, infatti, sembra riferirsi una lettera inviata presumibilmente dalla comunità ebraica di Bari, retta dal medico Abrāhām ben Sāssōn, al celebre medico andaluso Ḥasdāy ibn Shaprū-ṭ, visir dell'umayyade ‛Abd ar-Raḥmān III. Fra i notabili di Otranto scampati a una persecuzione che rifletterebbe localmente misure antigiudaiche adottate da Romano I Lecapeno nel 943-44, il documento (dalla Gĕnīzāh del Cairo: New York, Jewish Theological Seminar, ms. Adler 2156r , l. 20 s.) include infatti un "R. Shabbĕtay | [bar A]brāhām bar...", forse identico a Donnolo.
Per l'ultimo nome della sequenza, letto "‛Ezrā" (‛zr') da alcuni, ma quasi indecifrabile sul facsimile del m s., e senz'altro diverso da "Yō'ēl" (che potrebbe essere il nome dell'avo materno), si è tentati di proporre "Ēl‛āzār" ('l‛zr): in accordo con l'ipotesi, avanzata da tempo, secondo cui il padre di D., Abrāhām, sarebbe stato figlio di rabbi Ēl‛āzār e pertanto come nipote di quell'Ămittay (I) che figura come capostipite nel SēferYūḥāsīn ('Libro delle Genealogie') la cronaca familiare stesa dal rabbino Aḥīma‛aṣ di Oria nel 1054. Ipotesi e congettura suggestive ma deboli, poiché implicherebbero una tacita e non convincente assimilazione di D. a Shabbĕtay (I) padre di Ester andata sposa a Ḥānān'ēl (III), l'una e l'altro bisavoli di Aḥīma‛aṣ.
Libri e dotti greci coi quali confrontarsi e discutere non mancavano comunque in Terra d'Otranto, ove le tradizioni dell'antico ellenismo si mantennero vive fino al Rinascimento. La stessa Oria, la bizantina ῟Ωραι, già municipio romano, col ruolo mercantile e strategico assicurato dalla posizione geografica, conservò nel Medioevo le ampie relazioni "mediterranee" imposte dalla presenza d'una comunità ebraica fra le più vive di Puglia, attestata ininterrottamente dal sec. VII al sec. XI (dunque ben oltre il 925, quando la città fu "distrutta" dai Saraceni), come provano i documenti epigrafici e le genealogie del ricordato Sēfer Yūḥāsīn. Un antenato di Aḥīma‛aṣ, rabbi Palṭī'ēl, fatto prigioniero dagli Arabi intorno alla metà del sec. X, grazie ad invidiabili conoscenze d'astronomia e d'astrologia, finì consigliere del califfo al-Muīzz di Qayrawān (952-975). In quest'ambiente cosmopolita, profondamente ellenizzato e insieme partecipe della rinnovata fioritura intellettuale e letteraria delle comunità giudaiche di Puglia, che dal sec. VIII-IX tornarono a servirsi dell'ebraico come lingua scritta, D. - talvolta confuso con Shabbĕtay il Greco, vissuto in realtà nel sec. XIII (Starr, The Jews..., p. 238 n. 186) - ebbe la sua formazione, e una fama precoce di dotto ch'è forse all'origine del cognomen Donnolo (ebr. Dōn(n)ōlō, gr. Δόμνολος), dal latino Domnulus, diminutivo di dom(i)nus ('signore') già vivo nell'onomastica d'età imperiale: sempre che tale cognomen non rifletta una banale quanto diffusa interpretatio Christiana dell'ebr. Shabbĕtay ('Sabbaticus') equivalente, come il sir. Ḥadhbĕshabbā, a Κυριακός/ Dominicus (non v'è dunque ragione d'accostarlo all'arabo Dūnāsh, pure derivato da Dominus attraverso lo spagnolo Dueños). Della vitalità d'interessi speculativi a lui congeniali è segno nell'episodio di rabbi Palṭī'ēl, e ancora in quel che scrive Aḥīma'aṣ di rabbi Shĕfaṭyā, poeta e medico presso Basilio I (867-886), di rabbi Ḥānān'ēl e del già citato Ēl'āzār - i tre figli di rabbi Ămittay (I), tutti versati nelle discipline cabalistiche del Ma‛ăsēh Merkābāh ('Opera del Carro') interpretazione mistica della visione di Ezechiele, e d'un trattato congenere, il Sēfer ha-Yāshār ('Libro del Giusto') silloge di racconti biblici e aggadici dalla creazione all'epoca dei giudici. D. fu ad ogni modo tra i primi occidentali, se non il primo, a scrivere d'argomenti scientifici in ebraico. Il Sēfer ha-Mirqạḥōt, opera tutt'altro che derivata o compilativa, è di fatto un originale compendio dell'esperienza farmacologica da lui acquisita in quarant'anni d'esercizio della professione: "Questo è il libro dei rimedî, pozioni, polveri, impiastri, frizioni ed unguenti noti come 'Seplasia' [dall'omonima piazza di Capua, mercato d'unguenti e profumi] al quale Shabbĕtay il Medico, detto Donnolo, figlio di Abrāhām, che fu rapito dalla città di Oria [Ōryas], ha posto mano per istruire i medici d'Israele, e insegnar loro ad approntare i rimedi secondo la dottrina dei medici ebrei [ha-Yiśrā'ēl, ha-Yishmā‛ēl 'arabi' è correzione gratuita] e bizantini, e l'esperienza della pratica sua personale, raccolta con l'aiuto di Dio, indagando ed esplorando per quarant'anni gli arcani della salute".
Una persistente quanto infondata tradizione bibliografica associa D. agl'inizi, di per sé oscurissimi, della Scuola medica di Salerno. Se non esiste prova ch'egli mai si sia recato nella città campana per insegnarvi l'arte medica, è tuttavia degno di nota che dalla biblioteca d'un umanista salernitano venga il primo testimone del Sēfer ha-Mirqāḥōt, il Laur. plut. LXXXVIII, 37. Ad errore materiale di A. M. Biscioni, che descrivendo il codice lesse "Mōdīn" (mwdyn) per "Ōryas" ('wrys, cfr. lat. Urias) nel citato preambolo del libro. si deve la connessione con Modena, poi abbinata dalla critica a quanto afferma l'autorevole talmudista francese Rāshī (Shĕlōmōh ben Yiṣḥāq, morto nel 1105), per cui D. fu tra "gli eminenti dottori [gĕ'ōnīm] di Langobardia".
L'indicazione è vaga, ma senza dubbio essa deve riferirsi all'omonimo 'tema' bizantino (θέμα Λογγιβαρδίας), che comprendeva le zone della Puglia e della Lucania "direttamente sottoposte ad amministrazione bizantina e rette da Bari, sede dello stratega di Langobardia", nonché, in senso lato, "i territori di organizzazione eterogenea come i principati di Benevento, Capua e Salerno e le città marinare campane di Napoli, Amalfi e Gaeta" (V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell'Italia meridionale, Bari 1978, pp. 31 ss.). L'orizzonte geografico della vita di D., circoscritto all'Italia meridionale bizantina, includeva naturalmente il tema di Calabria, ove il retaggio dell'antico ellenismo non era meno vivo e operante che in Terra d'Otranto. Accanto a Otranto e ad Oria, fra i luoghi ricchi di miele simile all'attico "prescritto da Ippocrate", il Sēfer ha-Mirqaḥōt ricorda infatti "Marṭēs" (mrtys), "non lungi da Rossano": con lieve correzione, potrebbe leggersi "Mirṭōs" (mrṭws), nome 'greco' dell'odierno villaggio di Mirto (frazione di Crosia), circa 20 km a nordest di Rossano, sulla statale per Calopezzati (cfr. G. Rohlfs, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, Ravenna 1974, p. 197, sub voce).
A Rossano D. fu certamente verso il 970: s. Nilo, il futuro fondatore di Grottaferrata, avrebbe rifiutato di giovarsi d'un suo farmaco, infliggendo così al medico ebreo una lezione d'ascesi e di fiducia in Dio. Sempre a Rossano, D. assistette qualche tempo dopo "in qualità di medico" alla monacazione di Euprassio, giudice imperiale (βαοιλκὸς κριτής) di Calabria e Langobardia, per mano di Nilo, che ne aveva operato la miracolosa conversione. Che D. partecipasse alla cerimonia a motivo della sua professione suggerisce di vedere in lui il medico personale del giudice, infermo da tempo ("...per molti giorni non s'era potuto levare dal letto": morì di lì a poco), e mostra quanto alta fosse ormai localmente la fama delle sue prestazioni.
Oltre all'ebraico, D. conobbe certamente il greco e il latino. Il suo ebraico, duro e difficile, fa ampio sfoggio di termini greci, latini e volgari (il carattere approssimativo o inesatto di alcune trascrizioni potrebbe esser dovuto a successivi interventi di copisti). Questi ultimi non sempre chiaramenti distinguibili - per fonetica e morfologia - dai latini: ma con il notevolissimo fiyēnō grēqō ('fieno greco', fiengreco), sembrano 'italiani' tipi come ōlībanō ('olibano', incenso), albūṣō ('albuzzo', asfodelo) e lawrō ('lauro'); fra i nomi geografici, Rōssanō (Rossano) e Ōdranṭō (Otranto). Non risulta ch'egli abbia mai appreso l'arabo, parlato nella vicina Sicilia. Gli arabismi sono piuttosto rari nelle sue opere. Quelli medici si rivelano prestiti già consacrati dall'uso ebraico, in specie talmudico; e dei nomi arabi d'Arturo e delle Pleiadi, "Ra's ath-Thawr" (r's 'ytwr) e "Banāt Na‛sh" (bntn‛sh), o d'altre nozioni 'etimologiche' come l'unicità dei radicali, shml e ymn, a indicare 'nord' e 'parte sinistra, infausta' e, rispettivamente, 'destra, fausta', 'Yemen' (a destra del Ḥigiāz per la cartografia araba) e 'felicità', dà conto il magistero dell'iracheno Bagdash, che non fu forse estraneo alla grandiosa figurazione del Tĕli ('Dragone celeste'): axis mundi dell'universo tolemaico e insieme luogo dei "nodi ascendente e discendente", ossia dei punti d'incontro delle traiettorie del Sole e della Luna, in arabo ra's e dhanab al-giawzahr ('caput' e 'cauda draconis' della tradizione occidentale). Ad ogni modo, il Sēfer Ḥakmōnīs'inserisce in una linea di pensiero assai diversa da quella che andava sviluppandosi tra i filosofi ebrei di lingua araba: intorno alla metà del sec. X la cultura filosofica delle comunità ebraiche stanziate in area bizantina (o latina) si alimentava di temi e motivi ch'eran stati correnti nelle scuole platoniche e neoplatoniche della tarda antichità.
Né D. ebbe alcuna familiarità con la medicina o la farmacopea araba, della quale non è traccia nel Sēfer ha-Mirqāḥōt, che rivela se mai puntuali analogie con testi greci, latini ed ebraici: in particolare col Sēfer Refū'ōt ('Libro di medicamenti') ascritto al 'saggio' Āsāf, ma composto in ambito bizantino entro e non oltre gl'inizi del sec. X. Incertissimo è se D. conoscesse la produzione, ben più sistematica e rigorosa, del contemporaneo Sa‛adyāh ha-Gā'ōn. La teologia di D., volta ad eliminare l'antropomorfismo della concezione divina elaborata dalla primitiva mistica ebraica sul fondamento di versetti biblici come Gen., I, 22 "Faciamus hominem..." (Shī‛ūrQōmāh 'Misura del corpo' s'intitola il trattato più illustre), non diverge negli scopi da quella di Sa‛adyāh. Ma per D. i versetti in esame alludono alla somiglianza non tanto fra Dio e l'uomo, quanto fra l'uomo e il mondo creato. Con accenti che richiamano il De opificio hominis di Gregorio di Nissa, introdusse così nel pensiero ebraico l'idea neoplatonica dell'uomo quale microcosmo - e di fronte al creato inteso quale macrocosmo; e saldò all'indagine sul processo creativo, risolto in termini fisici (anatomici e astronomici), "i grandi temi dell'astrologia e della melotesia, gli insegnamenti di Galeno, la simpatia cosmica e la teoria degli umori" (Sermoneta, Il neo-platonismo, p. 875). Fra le parti del corpo umano e i diversi elementi e forze del creato, in primis gli astri (secondo gli schemi della classica μελοθεσία), istitui una serie di paralleli ora più ora meno evidenti: ad esempio, gli occhi corrispondono al Sole e alla Luna; il pelo e i capelli all'erba e alle foreste che coprono la terra. L'uomo fu dunque creato a immagine non di Dio, ma della creazione. Di qui, sulla scorta delle medesime fonti alle quali attinse Hāy Gā'ōn (939-1038), la possibilità di predire il futuro d'un individuo osservando "le linee e l'aspetto del suo vólto"; la fisiognomica entrava ormai nell'astrologia.
Al pari di Sa‛adyāh, D. ritenne che Dio, privo di forma, fosse per definizione invisibile: non lui si era manifestato, ma la sua gloria (kavōd), e in varie forme ai diversi popoli, affinché non concepissero il divino in termini umani. Le teorie del D., autorevolissimo interprete della scienza degli astri, vennero poi utilizzate e fatte proprie dai hasidim aschenaziti e dai cabalisti dei secoli XII e XIII, quando il Sēfer Ḥakmōnīsembrò eguagliare il prestigio del Ma‛ăsēh Merkābāh o delle stesse Hēkālōt ('Templi' o'Palazzi' equivalenti ai 'sette cieli' o 'pianeti'), e il 'Commento' di D. fu reputato parte originale del Sēfer Yĕṣīrāh, ilmitico 'Libro della creazione' attribuito al patriarca Abramo (composto con buona probabilità fra i secoli III e VI d.C.).
S'ignora l'anno preciso della morte di Donnolo. Non ha alcun valore la pretesa iscrizione funeraria in data 28 ott. 959 rinvenuta presso i Caraiti di Crimea; il falso è comunque indicativo della fortuna di D. nella regione. Un attendibile terminus post quem offre l'introduzione al SēferḤakmōnī, stesa "l'anno del mondo 4742", vale a dire nel 982 d.C.
Delle sue opere mancano edizioni critiche degne del nome, anche per l'assenza di studi adeguati sulla tradizione diretta e indiretta dei singoli testi. Si hanno di lui i titoli seguenti:
Sēfer Ḥakmōnīo Taḥkĕmōnī ('Il Sapiente', con riferimento a IChr., XI, 11 e XXVII, 32 o a IISam., XXIII, 8): commentario al citato Sēfer Yĕṣīrāh. Edizioni: D. Castelli, Il Commento di S. D. sul Libro della Creazione, Firenze 1880 (con importante Introduzione, pp. 1-72 della parte italiana); il solo testo ebraico, pp. 1-86, apposto in calce alle due ristampe dell'edizione mantovana (1562) del S. Yĕṣīrāh, Varsavia 1884 e Gerusalemme 1962, pp. 123.148. Un nuovo frammento fu reso noto da A. Neubauer, Un chapitre inédit de S. D., in Revue des études juives, XXII (1891), pp. 213.218. Della parte relativa a Gen., I, 26, già pubblicata da A. Jellinek, Der Mensch als Gottes Ebenbild. Von dem Arzte und Astronomen Rabbi Shabtai Donolo (geb. 913.), Leipzig 1854, pp. 1-16, e riprodotta da Muntner, R. Sh. D., I, pp. 24- 38, ha fatto conoscere una nuova redazione A. Scheiber, in Sinai, XXX (1952), pp. 62 ss. (ora in Id., Geniza Studies, Hildesheim-New York 1981, pp. 2622 ebr.); si vedano anche Starr, The Jews in the Byzantine Empire, pp. 116 s., n. 114, e Sharf, The Universe of Sh. D., pp. 155 ss., 167 s., 174 s. La sezione biografica introduttiva fu edita più volte in precedenza (sulla base d'uno o due soli manoscritti): da A. Geiger, MĕlōḤofnayīm, Berlin 1840, pp. 29 s.; [A] Jellinek, in Monatschrift f. Gesch. u. Wissensch. d. Judentums, III (1854), pp. 245 s.; S. D. Luzzatto-S. Sachs, in Kerem Ḥemed, VIII (1854), pp. 98b-102 (ebr.).
Sēfer ha-Mirqāḥōt ('Libro delle misture [o rimedi]') o Sēfer ha-Yāqār ('Libro prezioso') in venti paragrafi: opera farmacologica di cui e pervenuto un frammento o un insieme di frammenti; in assoluto il più antico testo medico superstite dell'Italia medievale. Edizioni: M. Steinschneider, D. Fragment des ältesten medicinischen Werkes in hebräischer Sprache, Berlin 1867, sulla base del citato Laur. plut. LXXXVIII, 37 (sec. XIV), allora codex unicus, di cui A. M. Biscioni, Bibliothecae Mediceo-Laurentianae catalogus, I, Florentiae 1752, pp. 157 s. (= Bibliothecae Hebraicae Graecae Florentinae sive Bibliothecae Mediceo-Laurentianae catalogus, in-8º, Florentiae 1757, pp. 506 ss.); più completa in Muntner, I, pp. 7-23, dopo il ritrovamento d'un secondo testimone (sec. XIV-XV, ora a Gerusalemme), descritto da Friedenwald, The use of Hebrew language, pp. 80 s., e The Jews and medicine, I, pp. 172 s. Traduzioni: Steinschneider, D... (1868), pp. 62-71; J. Leveen, Apharmaceutical fragment of the 10th Century in Hebrew, by Sh. A, in Proceed. of the R. Soc. of medicine, XXI (1927), pp. 1397 ss. (parziale).
Sēfer ha-Mazzālōt ('Libro delle costellazioni'): commentario al midrāsh astronomico e astrologico che va sotto il nome di Bāraytādĕ-Shemū'ēl ('B. di Samuele'); ne restano pochi frammenti, da citazioni del commento di rabbi Yōsēf ben Shim‛ōn Qārā al libro di Giobbe (sec. XII). Edizioni: S. D. Luzzatto, in Kerem Ḥemed, VII (1843), pp. 61-67 (ebr.); ristampato da [Z. Fraenkel], Der Commentar des R. Joseph Kara zu Job, in Monatschriftf. Gesch. u. Wissensch. d. Judentums, V (1856), pp. 223 ss.; VI (1857), pp. 271 ss.; VII (1858), pp. 260 s. e 348 ss. (testo inferiore al precedente). Si veda anche Starr, The Jews in the Byzantine Empire, pp. 157 s., n. 101.
Oggetto di controversia è l'attribuzione a D. di alcune altre opere:
Practica: iltesto, anonimo, pare incompiuto; quasi una serie, d'appunti e note di lettura che, in forma definitiva, avrebbero dovuto costituire un'organica lista di malattie 'a capite ad pedes' con le indicazioni terapeutiche del caso. Di chiara impronta bizantina, vi abbondano calchi e traslitterazioni dal latino e dal greco: l'autore sembra più spesso incapace di fornire l'equivalente ebraico dei termini usati. Il legame con D. deriva dalla circostanza, affatto esteriore, che l'opuscolo è tradito negli stessi testimoni del Sēfer ha-Mirqāḥōt (peraltro includenti scritti d'autori diversi, da Galeno a Āsāf, Ruggiero e Ibn al-Giazzār). Edizioni: Muntner, I, pp. 112-44. Si veda però ibid., p. 109, ove la Practica è detta emanare "dall'antica Scuola salernitana, nel X secolo".
Antidotarium, inedito: D. ne accennerebbe a conclusione del Sēferha-Mirqāḥōt, § 20 ("... è scritto sopra nell'Antidotarium, al n. 208"), ma si tratta d'una evidente interpolazione, tesa ad integrare i rimedi del libro con quelli dell'anonimo, ampio Antidotarium (in 218 §§) che lo precede così nel Laur. plut. LXXXVIII, 37 (ff. 58b ss.) come nel codice illustrato da Friedenwald (ff. 50c ss.). Si veda anche Muntner, I, p. 5, ove l'attribuzione a D., sostenuta a p. 2, è respinta in favore dell'eventuale identificazione con l'Antidotarium Nicolai (di cui G. Ongaro, GliAntidotarî salernitani, in Salerno, II [1968], 1-2, pp. 34-42).
Bāraytā dé-Mazzālōt ('B. delle costellazioni'): descrizione astronomica e astrologica dei cieli d'ignota cronologia e paternità; i suoi dati derivano dalla Tetrabiblos di Tolomeo. Edizioni: Sh.A. Wertheimer, Batei Midrashot, II, Jerusalem 1955, pp. 12-37 (ebr.). Gli argomenti di G. B. Sarfatti, AnIntroduction to "Barayta de-Mazzalot", in Ann. of the Bar-Ilan University, III (1965), pp. 56-82 (ebr., sunto ingl., pp. xiii s.), che ne ha proposto l'attribuzione a D., sono discussi da Sharf, The Universe of S. D, pp. 186 s.
Si deve forse alla popolarità dei versi e dell'acrostico premessi al SēferḤakmōnī, chealimentarono la fama di D. quale payṭān ('poeta') se a Shabbĕtay il Medico la tradizione assegna concorde un pizmōn 'per la cerimonia di nozze'. Epitalamio accolto nel rito bizantino, spagnolo, galiziano e caraita (Maḥzōr Rōmānyāh) dal sec. XVI al sec. XIX: I. Davidson, Thesaurus of mediaeval Hebrew poetry, III, New York 1930, p. 410b n. 169; cfr. ibid., I, 1924, pp. liv, lvi, lix (ebr.). Minore incertezza grava, infine, su un altro piyyūṭ ('carme'), che va sotto il nome di Shabbĕtay bar Abrāhām D.: Davidson, III, p. 466 n. 1284.
Fonti e Bibl.: Sēfer ha-Mirqāḥōt, a cura di M. Steinschneider, in D. Fragment d. ältesten medicin. Werkes, cit., p. i (traduz. Id., D. Pharmakologische Fragmente aus d. X. Jahrhundert [1868], p. 62); Sēfer Ḥakmōnī, a cura di D. Castelli, in IlCommento di S. D., cit., pp. 3-6 (= Sharf, The Universe of Sh. D., pp. 160 s.; traduz. ibid., pp. 8-11, e già parzialmente in Starr, The Jews in the Eyzantine Empire, pp. 149, 156 s. nn. 87, 87 e 100); Vita S. Niti Junioris, VII (§ 50 s.) e VIII (56), in Acta Sanct. Sept., VII (1867), pp. 290f-291a e 293c (= Migne, Patr. Gr., CXX, coll. 92c-93a e 100b-101a), e a cura di G. Giovannelli. Βίοςκαὶ πολιτεία του ὁσίου πατρὸς ἡμων Νείλου του Νέου, Grottaferrata 1972, pp. 93 s., 97 s. (traduz. Id., Vita di s. Nilo, fondatore e patrono di Grottaferrata, Grottaferrata 1966, pp. 66 s., 72; Starr, pp. 162 s. nn. 106 s.); Lettera a Ḥasdāy b. Shaprūt, a cura di E.-N. 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