SHĀPŪR (Sapores; in pahlavi Shāhpūre, "figlio del re")
È il nome di tre sovrani persiani della dinastia sassanide.
Shāpūr I (241-272 d. C.), figlio e successore di Ardashir I, fu spirito colto e grande capitano. Ordinò la traduzione di opere greche e indiane, s'interessò alla religione "universale" di Mani e ne favorì la diffusione nel suo vasto regno. Impegnato in lunghe guerre contro i Romani, li sconfisse più volte, riuscendo anche, nel 260, dopo la battaglia di Edessa, a prendere prigioniero l'imperatore Valeriano, che condusse con sé in Iran insieme con 70.000 soldati romani. Molti di essi furono impiegati nella costruzione della città di Gundeshāpūr (= "le armi di S."), presso l'antica Susa, e della famosa diga di Shushtar (v.) sul fiume Karun, definita dagli Arabi una delle meraviglie del mondo. In seguito egli fece costruire, nel Fars, la città di Bishapūr e, a ricordo delle sue imprese, fece scolpire numerosi rilievi rupestri (v. sassanide, arte). Sulle sue monete S. I è, raffigurato con una lunga chioma di morbidi riccioli pettinati all'indietro, sui quali posa una corona menata, terminante con due copri-orecchie e sormontata da un grosso globo. Le bende che cingono la fronte ricadono in due strisce ondulate sul collo. La barba, arricciata, è stretta sotto il mento da un anello. Nei rilievi rupestri S. I si fece rappresentare per ben cinque volte nell'atto di trionfare su Valeriano, quasi a sottolineare e solennizzare l'impresa più importante del suo regno. A Naqsh-i Rustam, presso Persepoli, sulla roccia sottostante le tombe dei re achemènidi (e tale accostamento non è certo casuale), S. è raffigurato a cavallo, con l'armatura regale, mentre sovrasta Valeriano, in piedi di fronte a lui, e un soldato romano che, inginocchiandosi, implora la grazia. Su tre bassorilievi incisi sulle rocce di una profonda gola presso Bishāpūr, il Gran Re riceve dapprima l'investitura da parte di Ahura Mazdah, quindi per tre volte rinnova il suo trionfo su Valeriano, secondo uno schema che offre poche varianti. Gli zoccoli del cavallo, calpestano i nemici vinti; in uno dei rilievi S. tiene per mano un prigioniero, presumibilmente Valeriano, con un simbolico gesto di cattura già noto alla fine dell'VIII sec. a. C., sulla ceramica geometrica greca dipinta. Un forte influsso occidentale si nota nel modellato delle pieghe che, morbide e mosse, sembrano velare dei corpi vivi, e non più rigidi o ieratici. A pochi chilometri dalla gola, all'ingresso di una grotta chiamata Mudan, giace al suolo una statua monumentale mutila di S., alta 7 m, ricavata da un pilastro roccioso della grotta. La statua doveva raffigurare il re in piedi, col braccio destro appoggiato sul fianco e l'altro forse sulla spada. Il volto barbuto e con lunghi baffi, è incorniciato dai soliti voluminosi capelli ondulati, sui quali posa la corona merlata. Una collana a grossi grani completa l'acconciatura. Il corpo è rivestito di una tunica leggera, stretta alla vita da una cintura a fiocco. In un altro rilievo rupestre scolpito a Naqsh-i Rayab, sul Golfo Persico, S. a cavallo, circondato dai dignitari volti di tre quarti, ha la testa e il torace visti di fronte. Per il resto, l'acconciatura non si discosta dal tipo solito.
Shāpūr II (309-379), figlio di Hormizd III, a sua volta figlio di Hormizd II, creato re da fanciullo per essere uno strumento nelle mani dei suoi ministri, si rivelò invece un sovrano abile ed intelligente. Durante i suoi settant'anni di regno seppe diffondere la potenza iranica sia sul piano politico che su quello culturale. Ridusse il regno Kusana ad una provincia persiana, fece occupare e governare l'Armenia da un suo generale, ruppe la pace con Roma approfittando della morte di Costantino e, dopo lunghi anni di alterne fortune, sconfisse nella battaglia di Amida (363) Giuliano l'Apostata, che morì colpito dai Persiani; quindi concluse con Gioviano una pace, disastrosa per i Romani. Indisse sanguinose persecuzioni contro i Cristiani, divenuti numerosi soprattutto dopo la conversione di Costantino, e distrusse per punizione la città di Susa, che fece poi ricostruire.
Sulle sue monete, S. II è raffigurato di profilo, di tre quarti o anche interamente di faccia, con caratteristiche abbastanza individuali e spesso con espressione appropriata. Su alcuni piatti d'argento con scene di caccia il re appare riccamente abbigliato con vesti dal tessuto sottile adorne di nastri svolazzanti, in pose agili e nello stesso tempo piene di forza. Su uno di tali piatti, ora all'Ermitage, S. II porta un elmo ornato di corna di ariete ricurve. Forse esso è simile a quello che, secondo Ammiano Marcellino, S. II portava alla battaglia di Amida e che, secondo una leggenda, simboleggiava il dio della vittoria o la fortuna. Gli unici due rilievi rupestri, di cui uno molto danneggiato, attribuibili a S. II, si trovano nel Fars. Il primo è a Naqsh-i Rustam, e forse raffigurava il re in trono; il secondo è sulle rocce di Bishāpūr e sviluppa, su varî registri, una grandiosa scena storica. Il re, seduto frontalmente, al centro, poggia la mano sinistra sulla spada e la destra su una corta lancia. Ai lati si affollano via via i dignitarî di corte, i soldati, il suo cavallo da combattimento, i prigionieri incatenati, i carnefici con le teste mozze dei vinti e i portatori di tributi.
Shāpūr III (383-388), figlio di S. II, fu elevato al trono contro lo zio Ardashir II, ma fu ucciso da questi, dopo solo cinque anni di regno. Sulle sue monete divenne una regola la pratica iniziata da Hormizd, ma raramente seguita, di inserire un busto del dio Hormuzd fra le fiamme dell'altare. S. III compare in un unico rilievo a Tāq-i Bustān, nel Kurdistan, sulla parete di fondo di un iwān. Egli si fece rappresentare accanto al padre S. II, quasi a voler sottolineare storicamente la sua legittima discendenza e le lotte sostenute per conservarsi il trono. Le due figure sono perfettamente simmetriche, rappresentate frontalmente, ma con la testa di tre quarti, in piedi sopra il cadavere di un nemico. Accanto ad essi è Mithra, con la grande corona radiata dietro le spalle. Le tre figure sono piuttosto rigide, il rilievo è povero e poco accurato. S. III, vestito come gli altri di una lunga casacca stretta alla vita da una cintura dalle lunghe cocche ondulate, e dai larghi pantaloni di stoffa leggera, ha anche un ricco collare sul petto; poggia la mano sinistra sul fianco e tende la destra a ricevere dal padre le insegne del comando. Il volto è barbuto, la chioma folta e gonfia, l'alta corona molto rovinata.
Bibl.: E. Herzfeld, La sculpture rupestre de la Perse sassanide, in Revue des Arts Asiatiques, V, 1928; R. Ghirshman, A propos des bas-reliefs rupestres sassanides, in Artibus Asiae, XIII, 1950; id., Parthes et Sassanides, Parigi 1962; (trad. ital., Milano 1962); K. Erdmann, Die Kunst Irans zur Zeit der Sasaniden, Berlino 1943; L. Vanden Berghe, Archéologie de l'Iran Ancien, Leida 1959.
Al nome dei sovrani S. si riportano due città iraniche, da essi fondate, Bishāpūr e Nishāpūr.
Bishāpūr. - Città nella provincia del Fars, fondata da Shāpūr I. Il suo nome significa "la bella città di Shāpūr". Rimessa in luce con cinque campagne di scavi condotte da G. Salles e R. Ghirshman dal 1935 al 1941, Bishāpūr ha rivelato un tempio del fuoco, un monumento votivo e molti palazzi. Il tempio, situato 7 m sotto il livello del suolo, era costruito con blocchi di pietra ben squadrata, e constava di una sala centrale a pianta quadrata dai muri alti 14 m e il tetto sostenuto da mensole a protome di tori inginocchiati (di tipo achemènide), circondata da un corridoio cui si poteva accedere da quattro porte, situate ciascuna su una parete della sala. Una saletta appartata conservava la fiamma sacra, cui potevano accostarsi soltanto i sacerdoti. Un grande palazzo, detto "Palazzo A di Shāpūr I" si elevava lungo il muro S-E del tempio: comprendeva una sala a forma di croce, un tempo sormontata da una cupola, circondata da quattro corridoi, a metà di ognuno dei quali quattro porte danno accesso ad altrettante nicchie decorate di stucchi e dipinte a foglie d'acanto, greche e spirali d'ispirazione siro-romana. Ad O della grande sala è la corte, il cui pavimento era coperto di mosaici a motivi geometrici o figurati, con genî alati e donne nude, anch'essi di netta ispirazione siro-romana, sebbene molto probabilmente eseguiti da artigiani locali. Ad E del palazzo, in comunicazione con esso per mezzo di un corridoio, era un triplo iwān (v.) di grandi dimensioni, i cui muri erano ornati da un rivestimento di stucco e da mosaici con cortigiani, musicisti, danzatrici e serie di ritratti maschili e femminili, di chiara origine iranica, in quanto le teste sono prive di collo. Il "Palazzo di Pietra", o "Palazzo B" sorge ad E dell'iwān: in esso sono state rinvenute delle decorazioni in rilievo, con personaggi regali a cavallo ed altri a piedi. A poca distanza dal tempio sorgeva un monumento votivo, formato da due colonne di oltre 6 m d'altezza poste su di un basamento e sormontate da un capitello di stile corinzio; sul fusto di una di esse e un iscrizione in pahlavi arsacide e sassanide, dichiarante che il monumento fu eretto in onore di S. I, nel 266.
Poco distante dagli scavi della città è una vasta gola le cui pareti rocciose recano scolpiti sei bassorilievi, notati da molti viaggiatori, già nel sec. XIX e recentemente studiati dal Sarre, dallo Herzfeld e dal Ghirshman. Tre di essi rappresentano la vittoria di S. I sull'imperatore Valeriano; il quarto, molto rovinato a causa di un canale scavato nella roccia, risale al tempo di Bahram II (276-293), e rappresenta il sovrano che riceve la sottomissione di una tribù araba; nel quinto Bahram I (273-276) riceve la corona dalle mani di Ahura Mazdah; nell'ultimo, risalente all'epoca di Shāpūr II (309-379), il re, al centro di una vasta composizione storica, torreggia fra i suoi soldati e cortigiani di fronte ai suoi prigionieri e ai carnefici che gli recano le teste mozzate ai capi romani vinti. Sulla sommità della roccia meridionale di detta gola si ergono le rovine di una fortezza con tre grosse torri, munite di una serie di mastelli tagliati nella roccia, che servivano ad esporre i corpi dei morti. A circa 6 km dalla gola si trova una grotta chiamata Mudan, con le pareti scandite da grandi rettangoli di superficie piana, certo destinati ad essere decorati da bassorilievi; sul suolo, presso l'ingresso, giace la già menzionata statua monumentale di Shāpūr I.
Bibl.: D. T. Rice, The City of Shapur, in Ars Islamica, II, 1935; G. Salles-R. Ghirshman, Châpour, Rapport préliminaire de la première campagne de fouilles, in Revue des Arts Asiatiques, X, 1936, p. 117-122; R. Ghirshman, Les fouilles de Châpour, Iran, ibid., XII, 1938, p. 12-19; G. Salles, Nouveaux documents sur les fouilles de Châpour, ibid., 1942; R. Ghirshman, Bishapur, vol. II: Les mosaïques sassanides, Parigi 1956; R. Ghirshman, À propos des bas-reliefs rupestres sassanides, in Artibus Asiae, XIII, 1950.
Nishāpūr. - Città nella provincia del Khorasan, circa cinquanta miglia ad O di Meshed, in una delle zone più fertili dell'Iran. Sebbene, per tradizione, si consideri fondata dai sovrani sassanidi S. I (lo storico Mustawfi dice che S. I la disegnò a forma di scacchiera, con sedici piazze) o meglio S. II, Nishāpūr raggiunse il massimo splendore sotto la tarda dinastia sassanide (874-999). Sappiamo che nel 430 d. C. essa era la capitale del distretto di Abrashar e, da fonti siriache, che era la sede della diocesi nestoriana dello stesso nome. Uno dei sovrani sassanidi, Yazdegīrd II (438-457) fece di Nishāpūr la sua residenza abituale; nei pressi della città fu anche costruito uno dei più famosi templi del fuoco sassanidi, Burchin Mihr. Situata su una via di facile comunicazione, sulla carovaniera che proseguiva verso l'Afghanistan, Nishāpūr fu investita dagli Arabi nel 651, i quali, sebbene ne fossero temporaneamente scacciati da una rivolta scoppiata nel Khorasan, vi tornarono nel 662.
Nishāpūr è stata oggetto di varie campagne di scavo negli anni 1934-40, da parte di una missione americana del Metropolitan Museum condotta da J. M. Upton, W. Hauser e C. K. Wilkinson. Essi portarono alla luce costruzioni databili tra il IX e il XII secolo. Numerosissimi sono stati i ritrovamenti di oggetti di ceramica dipinta e dei forni in cui essa fu cotta.
Bibl.: J. M. Upton e altri, Excavations at Nishapur, in Bulletin of Metropolitan Museum of Art, XXXI, 1936; XXXII, 1937; XXXIII, 1938; XXXVII, 1942.