TSUKAMOTO, Shinya
Regista giapponese, nato a Tōkyō il 1° gennaio 1960. Il suo cinema, sin dai primi cortometraggi in Super 8, realizzati a partire dalla fine degli anni Settanta, s’incentra sul tema del corpo, delle sue declinazioni, delle sue corruzioni e mutazioni, e matura proprio negli anni di sviluppo del cyberpunk. Maturazione che deve molto anche agli studi d’arte, di cui si trova traccia nel film Vital (2004; Vital - Autopsia di un amore), e che vanno a definire una continua tensione a sperimentare forme cinematografiche estreme, dall’impatto visivo e sonoro violento e spesso disturbante.
Già nel mediometraggio Denchu Kozo no boken (Le avventure del ragazzo del palo elettrico), del 1987, si delinea questo interesse verso il metabolismo umano messo in relazione con l’artificiale, con oggetti metallici e meccanici (elementi di un feticismo spinto), che penetrano la pelle e generano nuovi esseri in preda a un’insopprimibile violenza e a una dolorosa follia. Ma è con Tetsuo (1989), primo lungometraggio di T. (che del resto avrà due seguiti, uno nel 1992, Tetsuo II - Body hammer, e l’altro nel 2009 con il titolo Tetsuo - The bullet man), che queste tematiche si precisano entro l’impianto di un bianco e nero metallico, di una colonna sonora industrial (cioè caratterizzata da suoni desunti dalle macchine e dai processi di lavorazione industriale) e di un montaggio che, con frequenti ellissi, tende a confondere i piani del racconto in favore di una dimensione da incubo. Qui, come per una predestinazione, il corpo umano viene infettato dal metallo che penetra la carne e provoca escrescenze meccaniche: tubi, masse di sostanze di acciaio, trivelle, che saranno poi le armi di combattimento tra esseri biomeccanici sullo sfondo di una periferia postindustriale. In questo film sono evidenti le influenze della cultura cyberpunk (che si accorda perfettamente con un’inquietudine metamorfica, sempre al limite, di dissipazione, tipica della cultura giapponese) e specialmente del cinema di David Cronenberg (almeno da Shivers, 1975, Il demone sotto la pelle, a Videodrome, 1983): cioè il discorso sulla carne invasa dall’artificiale e, dal punto di vista formale, la commistione tra realtà e piani onirici.
È in questo senso che T. procede nei film successivi: se Hiruko the goblin (1991) si inquadra nel genere horror (con riferimenti alle mostruosità di John Carpenter), da lì in poi T. affinerà la sua poetica, da un lato cercando di far collimare il più possibile realtà e immaginazione cinematografica, dall’altro tentando continue variazioni sulla questione del corpo, viatico per una politicizzazione del suo cinema in quanto tocca anche problemi sociologici e di costume. In questa prospettiva Tokyo fist (1995) è un film che si situa su un impianto mimetico, seguendo le vicende dei tre protagonisti, immersi in un contesto urbano alienante, da cui riescono a fuggire risvegliando i propri sensi: è attraverso il pugilato (mostrato ed enfatizzato nella sua violenza, nell’esasperato versamento di sangue) che, per es., Hizuru riesce a svincolarsi dal grigiore quotidiano e dalla soggezione nei confronti del marito; cosa che lega questo personaggio a Rinko di A snake of June (2002) in cui è il sesso a liberare la donna (a liberarla anche da un tumore, evidente metafora della repressione).
Film fondamentale della filmografia di T., Vital fa convergere il concetto del corpo con la tensione a fondere il livello dell’immanenza e quello del sogno, o dell’incubo, comunque di una dimensione psichica che genera apparizioni, figure (in questo caso una fidanzata morta in un incidente) e che può perpetuare l’amore. Sembra essere questo psichismo (e le oscillazioni tra orrore e dolcezza) il tratto più interessante e fertile del cinema di T. da Vital in poi. Sia in Kotoko (2011) sia in Nobi (2014, noto con il titolo Fires on the plain) si profila una realtà inscindibile dal delirio di personaggi in balia delle proprie psicosi: una realtà doppia, fatta di orribili visioni e del controcanto improvviso (ma provvisorio) di tenerezza, quella di Kotoko; il caos ruvido, disumano di immagini di guerra (la mattanza della battaglia, corpi smembrati, il cannibalismo) per Tamura in Nobi. Un immaginario che, attraverso l’estremismo della violenza audio-video, e quindi attraverso i contrasti della forma cinematografica (improvvise, lancinanti impennate acustiche, oscillazioni nevrotiche della macchina da presa) vuole rendere in pure immagini la malinconia per la perdita (anche di sé), la dolcezza di una momentanea serenità, il dolore più atroce della violenza psicofisica.
Bibliografia: T. Mes, Iron man. The cinema of Shinya Tsukamoto, Godalming 2005; S. Puchalski, interviews with Clint Howard, Shinya Tsukamoto, «Shock Cinema # 28», 2005; A. Chimento, P. Parachini, Shinya Tsukamoto. Dal cyberpunk al mistero dell’anima, Alessandria 2009; Tetsuo: the iron man. La filosofia di Tsukamoto Shin’ya, a cura di M. Boscarol, Milano-Udine 2013.