Shock
Il sostantivo inglese shock, "urto, scossa violenta", alla lettera indica uno stimolo intenso di natura fisica o psichica. In medicina il termine è usato per designare uno stato patologico nel quale una profonda e diffusa riduzione della perfusione tessutale effettiva porta a un danno cellulare. Comune a tutte le forme di shock è l'incapacità delle cellule di ottenere o utilizzare l'ossigeno in quantità sufficiente ai loro bisogni metabolici.
1. Cenni storici
L'introduzione del termine francese choc è attribuita al chirurgo H.-F. Le Dran che, nel suo trattato sulle conseguenze delle ferite da armi da fuoco del 1737, lo usò per indicare un trauma severo. In seguito a una inappropriata traduzione dal francese, l'inglese J. Clark designò come shock la condizione in cui si presentavano i pazienti che avevano subito un trauma di notevole entità. Il concetto di shock, inteso non più come evento in sé ma come la risposta di un organismo a un evento, fu reso più chiaro ed esplicito da E. Morris che in un trattato del 1867 per la prima volta inquadrò lo shock come l'effetto peculiare sul sistema animale prodotto da un trauma violento di qualsiasi origine o da violente emozioni. Nonostante tali osservazioni, la relazione tra la perdita di grosse quantità di sangue e la morte dei pazienti fu chiarita solo alla fine dell'Ottocento. Nel 1877, infatti, G.W. Crile individuò nello shock traumatico il risultato dell'esaurimento dei centri nervosi che regolano il tono dei vasi sanguigni con conseguente vasodilatazione generalizzata e riduzione della gettata cardiaca. Fino alla Prima guerra mondiale, tuttavia, l'uso di trasfusioni di sangue e l'infusione di liquidi per contrastare il calo di pressione dovuto a una perdita di sangue a seguito di un trauma si mantennero limitati. W.B. Cannon, con altri fisiologi e medici, studiò la risposta clinica dei soggetti che subivano un trauma nel corso di un combattimento e mise in relazione la diminuzione di pressione che si verificava con la perdita del volume ematico, la riduzione di bicarbonati e l'accumulo di acidi organici nel sangue. Altri studi evidenziarono come nello shock la riduzione del flusso ematico condizioni l'evolversi dei segni clinici indipendentemente da modificazioni pressorie. Se dall'esperienza nei campi di battaglia lo shock traumatico era associato a una sostanziale perdita di sangue o di liquidi dai vasi sanguigni, in assenza di emorragie riconosciute permaneva poco chiaro. Una spiegazione del fenomeno veniva data ricorrendo alla teoria della paralisi vasomotoria, prodotta dalla liberazione di tossine da parte delle ferite, che avrebbe portato a una vasodilatazione generalizzata da parte del sistema nervoso. La conoscenza e l'impiego di nuove tecniche di monitoraggio cardiocircolatorio diedero poi l'impulso necessario per la conoscenza dei meccanismi che presiedono all'instaurarsi dello shock. Il primo impiego delle tecniche con coloranti per la determinazione del flusso ematico mise in evidenza come la riduzione della gettata cardiaca fosse costante nello shock traumatico: la perdita di volume ematico in questi pazienti, indipendentemente dalla presenza di stravasi emorragici, era dovuta al passaggio di grosse quantità di liquidi nei tessuti; il ripristino rapido del volume ematico, attraverso l'impiego di trasfusioni e l'apporto di liquidi con elettroliti, fu quindi correlato alla possibilità e all'efficacia del trattamento. Con il protrarsi dell'ipovolemia si instauravano infatti alterazioni di tale entità che un introito tardivo di fluidi sarebbe stato inefficace ai fini terapeutici, determinando il cosiddetto shock irreversibile. Ancora la guerra diede l'occasione per studiare il quadro clinico con il quale si manifesta lo shock. In uno studio effettuato in Corea (Battle casualties in Korea... 1954) veniva messa in evidenza la presenza di insufficienza renale acuta, dovuta a necrosi dei tubuli renali, in correlazione con lo shock circolatorio. Nel corso della guerra del Vietnam, invece, l'impiego dei ventilatori meccanici in sostituzione della funzione polmonare permise lo studio e l'identificazione dell'insufficienza polmonare acuta di origine infettiva a seguito dello shock, il cosiddetto polmone da shock.
2. Definizioni
La definizione di shock ha subito evoluzioni in relazione alle nuove conoscenze dei meccanismi fisiopatologici che sono all'origine di questa sindrome. Con l'introduzione del monitoraggio della pressione sanguigna venne preso in considerazione il requisito dell'ipotensione. Nel 1934, infatti, A. Blalock incluse l'ipotensione arteriosa tra le manifestazioni presenti nello shock, che veniva considerato come un'insufficienza del circolo periferico risultante da una discrepanza tra la misura del letto vascolare e il volume del fluido intravascolare. Con la tecnologia di cui ora disponiamo sono state ottenute valutazioni di perfusione indipendentemente dalla pressione arteriosa, dimostrando che l'ipotensione non è necessariamente associata alla condizione di shock la quale, quindi, può essere definita come una condizione in cui la perfusione di sangue è inadeguata al mantenimento delle normali funzioni metaboliche e di nutrizione dei tessuti. Il comune denominatore in tutte le forme di shock è l'insufficiente flusso di sangue agli organi vitali che dà luogo all'attivazione di meccanismi fisiopatologici e di sostanze che mediano un'attività di compenso. Numerosi attivatori, che includono i tessuti danneggiati, batteri, complessi antigene-anticorpo e la ridotta perfusione ematica, stimolano sistemi di mediazione sia sistemici sia locali. La risposta finale che si può osservare a livello di un organo è la risultante di tutti questi fattori. Lo shock è quindi l'ultimo percorso attraverso il quale diversi processi patologici portano a un'insufficienza cardiocircolatoria e al danno delle cellule. La definizione proposta da M.P. Fink (1991) rispecchia la situazione appena descritta: lo shock appare come una sindrome precipitata da un'alterazione della perfusione sistemica che conduce a una diffusa ipossia cellulare e a una disfunzione degli organi vitali. Come ha evidenziato F.B. Cerra (1983), si tratta di una risposta disordinata dell'organismo a uno sbilanciamento tra l'apporto di substrati e le richieste a livello cellulare. Per completare la definizione di shock va ancora una volta sottolineato il ruolo che compete al tempo di persistenza del difetto di perfusione. Quanto più a lungo si protrarranno le condizioni che riducono l'effettivo flusso ematico a livello dei tessuti, tanto più si indurrà un danno cellulare irreversibile e non responsivo al ripristino delle condizioni che lo hanno generato.
3. Classificazione
Lo shock è il risultato dell'alterazione dei meccanismi che regolano il normale funzionamento del sistema cardiovascolare. I maggiori componenti della regolazione cardiovascolare si possono suddividere in due categorie: 1) fattori correlati alla funzione di pompa del cuore, al volume di sangue presente nei vasi sanguigni e al loro tono; 2) fattori che agiscono a livello capillare, quali la viscosità ematica e l'aggregazione delle cellule. La prima classificazione proposta da Blalock nel 1934 e valida tutt'oggi divide le forme di shock in quattro categorie, sulla base delle caratteristiche cardiocircolatorie: shock ipovolemico, shock cardiogeno, shock vasogenico e shock neurogeno. Più recentemente M.H. Weil (1972) ha introdotto una quinta categoria con la denominazione di shock ostruttivo. Weil ha inoltre distinto lo shock sulla base della causa scatenante, per es.: shock anafilattico (dovuto a un meccanismo allergico di ipersensibilità), shock batteriemico (causato dalla presenza di batteri i quali danno luogo alla sepsi) e shock endocrinologico (imputabile a uno squilibrio di natura ormonale). Quando è dominante una caratteristica emodinamica, diverse forme cliniche di shock presentano caratteristiche omogenee. Considerando l'aspetto cardiovascolare come primario, indipendentemente dalle cause generanti, la classificazione di L.B. Hinshaw e B.G. Cox (1972) prevede quattro categorie: 1) shock ipovolemico, che è la forma più comune e si verifica per diminuzione del volume ematico circolante rispetto alla capacità dei vasi sanguigni; la discrepanza tra contenuto e contenente si manifesta con la riduzione della pressione di riempimento dei grossi vasi venosi che portano il sangue al cuore; la diminuzione del volume può essere dovuta a perdita di sangue intero, di plasma, di liquido extracellulare o di più componenti associate tra loro; 2) shock cardiogeno, determinato dall'insufficienza della funzione di pompa del cuore con riduzione del volume di sangue che viene a essere immesso in circolo nell'unità di tempo; tale insufficienza è generata da una diminuzione della contrazione cardiaca dovuta sia a un infarto acuto sia ad alterazioni del ritmo di contrazione; in entrambe le situazioni si osserva un incremento della pressione di riempimento dei grossi vasi per un eccesso del volume ematico circolante rispetto alla capacità del cuore di immetterlo in circolo; 3) shock ostruttivo extracardiaco, risultante da una ostruzione meccanica alla normale attività cardiaca di immissione del sangue in circolo; condizioni di questo genere si verificano in seguito a un'embolia polmonare massiva, alla presenza di aria o sangue nel torace, oppure di liquido o sangue all'interno del pericardio che impedisce il riempimento delle cavità cardiache; 4) shock distributivo, caratterizzato da una perdita del tono della muscolatura che costringe i piccoli vasi arteriosi e venosi determinando una resistenza al passaggio del sangue e la conseguente impossibilità di sostenere la pressione sanguigna necessaria a perfondere gli organi; di questa categoria fanno parte lo shock settico, lo shock neurogeno e lo shock spinale (per tutte le forme, v. oltre). Per avere una visione completa delle condizioni cliniche che danno origine allo shock sulla base della suddivisione adottata, può essere utilizzata la classificazione proposta da A. Kumar e J.E. Parrillo (1995), considerando i vari quadri sintomatologici e le diverse patologie che li determinano. È necessario però tener presente che le forme cliniche di shock spesso presentano quadri misti in cui, in un dato momento, è prevalente una componente ma, in seguito all'impiego di una terapia o al protrarsi della condizione scatenante, può prevalerne un'altra. Per es. lo shock settico è considerato shock distributivo; tuttavia in mancanza di un adeguato rifornimento di liquidi la componente ipovolemica prende il sopravvento a causa dell'aumento della capacità dei vasi sanguigni, dovuta a vasodilatazione e alla perdita di liquido nello spazio tra le cellule. In generale gli aspetti emodinamici dello shock dipendono dall'interazione tra la regolazione del tono vascolare e la gettata cardiaca. L'aspetto con cui si manifesta un quadro di shock dipende dalla causa, dalla gravità dell'insulto, dal grado di compenso fisiologico, dal tempo in cui si sviluppa e dallo stato cardiovascolare preesistente.
a) Shock ipovolemico. Può essere dovuto, come già detto, a perdita di sangue intero, di plasma o di liquido al di fuori dei vasi sanguigni, all'interno o all'esterno dell'organismo, o all'associazione di più componenti. La forma più comune è lo shock emorragico che si verifica per una diminuzione del volume ematico circolante. Quella che si osserva clinicamente è la risposta finale degli organi a un'intensa attivazione del sistema ormonale simpatico-adrenergico. Nonostante ciò, spesso notevoli volumi ematici possono essere persi senza evidenti segni clinici da parte dei pazienti. La risposta ormonale adrenergica avviene solo in relazione a perdite ematiche tali da indurre un calo della pressione sanguigna che dà luogo alla comparsa di una sintomatologia clinica. La diminuzione di volume può riferirsi anche alla perdita di liquidi di varia natura: un aumento dell'emissione di urina per impiego protratto di diuretici o disfunzione renale, l'emissione di liquidi con diarrea o vomito, lo stravaso di liquido nell'interstizio cellulare per aumento della permeabilità dei vasi sanguigni (in risposta a uno stato infettivo o a un trauma) sono tutte condizioni che possono essere causa di ipovolemia. Queste condizioni spesso si associano all'aumentata capacità del letto vascolare venoso che si osserva nei gravi stati infettivi (sepsi), nelle lesioni midollari (shock spinale) o in seguito all'impiego inappropriato di alcuni farmaci. Per ciò che riguarda il trattamento dello shock ipovolemico, deve essere garantita la possibilità di infondere liquidi per via venosa in maniera adeguata. In ogni caso l'individuazione della causa della perdita di liquidi e un tempestivo intervento per la sua rimozione sono tassativi per la risoluzione del quadro clinico. L'irreversibilità dello shock, infatti, è determinata dall'attivazione dei mediatori dell'infiammazione, dal deficit della funzione cardiaca e dal danno indotto ai singoli organi per il protrarsi della minore perfusione.
b) Shock cardiogeno. È, come accennato, il risultato della ridotta funzione di pompa del cuore. L'infarto acuto rappresenta la causa di più elevata mortalità. Si osservano caratteristiche simili a quelle riscontrate nello shock ipovolemico, quali la diminuzione del volume di sangue pompato dal cuore e l'aumento del tono della arteriole, con conseguente crescita delle resistenze dei vasi sanguigni. La ridotta disponibilità di sangue induce una risposta ormonale tesa a preservare la perfusione di organi vitali, quali il cervello e il cuore, diminuendo la perfusione ematica in molti altri tessuti. Sebbene i segni clinici siano in parte sovrapponibili a quelli presenti nello shock ipovolemico, in quello cardiogeno vi è un sovraccarico di volume a livello venoso con distensione e turgore delle vene giugulari e periferiche. La causa più comune di shock cardiogeno è l'ischemia miocardica che rappresenta circa il 40% delle cause di disfunzione cardiaca e si rivela come unica zona di infarto o come danno diffuso da infarti multipli. Sebbene vi sia stato un miglioramento dell'incidenza di shock cardiogeno da infarto miocardico esteso per l'uso di farmaci che dissolvono i trombi presenti nelle arterie coronarie, la mortalità permane elevata e scarsamente modificata nel tempo (dal 70% al 90%). Tra le altre cause di origine cardiaca che danno luogo allo shock cardiogeno ha un ruolo importante l'alterazione delle valvole cardiache, anche se gravata da una mortalità minore rispetto all'infarto per la possibilità di intervento chirurgico riparatore. L'insufficienza della valvola mitralica può essere il risultato di una rottura o disfunzione dei muscoli cardiaci ai quali sono ancorati i lembi della valvola, colpiti da infarto. Cause di insufficienza o stenosi valvolare possono essere inoltre l'endocardite, un trauma toracico o una disfunzione di protesi meccanica o biologica. In assenza di intervento chirurgico la mortalità permane elevata. L'alterata funzione della valvola aortica è prevalentemente in relazione a endocardite ma può anche essere conseguente a disfunzione di protesi o a dissezione dell'aorta ascendente che coinvolge l'inserzione dei lembi valvolari aortici. Cause di shock cardiogeno possono essere anche dipendenti da alterazioni del ritmo di contrazione, come riduzioni spiccate (bradicardie) o incremento della frequenza che riduce notevolmente il tempo di riempimento delle cavità cardiache. Anche l'irregolarità delle contrazioni influisce negativamente sul riempimento cardiaco potendo dar luogo a una ridotta gettata e quindi a un quadro emodinamico di shock. L'elettrocardiogramma indirizza verso la diagnosi di alterazioni ischemiche come cause primarie di shock cardiogeno o come alterazioni secondarie dovute a squilibri elettrolitici o ipoperfusione cardiaca.
c) Shock ostruttivo extracardiaco. Definisce, come detto, un'ostruzione al flusso di sangue nel circuito cardiovascolare che si verifica per un ostacolo al riempimento del cuore o all'eiezione del sangue nei grossi vasi arteriosi. Il riempimento del ventricolo destro può essere ostacolato dalla presenza di versamento ematico o liquido all'interno del pericardio con l'effetto di tamponamento, mentre la pericardite costrittiva racchiude il cuore in un 'astuccio' rigido. Un ostacolo al riempimento cardiaco avviene anche per l'incremento della pressione attorno ai grossi vasi venosi che giungono al cuore, così come attorno ai ventricoli, e si può realizzare in seguito alla presenza di aria nel cavo pleurico (pneumotorace) o a masse tumorali intratoraciche con l'effetto di impedire l'attività di pompa. Un embolo massivo nell'arteria polmonare, tale da ostruire più del 50% del letto vascolare, e l'aumento delle resistenze delle arterie polmonari, tali da diminuire l'afflusso di sangue ai capillari, rappresentano un ostacolo all'eiezione del sangue dal ventricolo destro, mentre la dissezione dell'arteria aorta comporta un ostacolo all'eiezione del sangue dal ventricolo sinistro. Ovunque sia situato l'ostacolo il risultato è comunque un impedimento al flusso di sangue verso i vari organi e tessuti con conseguente stato di shock. Analogamente a ciò che accade negli altri tipi di shock, il tempo in cui si sviluppa l'ostruzione è critico per ciò che concerne i meccanismi di adattamento e quindi la gravità del quadro. Nella rottura del ventricolo sinistro (in genere da 3 a 7 giorni dopo un infarto) il tamponamento cardiaco è pressoché immediato, bastando circa 150 ml di sangue nel pericardio per creare un ostacolo al riempimento cardiaco. In assenza di alterazioni delle pareti ventricolari un ostacolo al riempimento del ventricolo destro richiede invece quantitativi di liquido sensibilmente maggiori (da 1 a 2 l).
d) Shock distributivo. La riduzione delle resistenze periferiche definisce il quadro di shock distributivo, che include, come già detto, gli shock settico, anafilattico, neurogeno e il ridotto funzionamento della ghiandola surrenale nella produzione dei glucocorticoidi e mineralcorticoidi. Specifici quadri clinici differenziano le diverse cause: la presenza di orticaria indirizza verso l'anafilassi, un trauma spinale verso lo shock neurogeno, mentre la presenza di febbre e di uno stato infettivo indica uno shock settico. Quest'ultimo rappresenta la forma più comune e comporta un'alta incidenza di mortalità. Nello shock distributivo è presente una riduzione del tono dei vasi sanguigni, in particolare delle arterie, con conseguente calo di pressione e della gettata cardiaca. Il deficit dell'irrorazione sanguigna ai diversi organi e tessuti e un concomitante aumento del metabolismo cellulare inducono uno squilibrio tra l'apporto di substrati metabolici e la loro utilizzazione. La somministrazione di liquidi al paziente, sebbene ripristini il volume all'interno dei vasi e addirittura aumenti la gettata cardiaca sino a valori maggiori della norma, non migliora tuttavia la funzione degli organi, sia perché l'aumentato flusso di sangue non raggiunge necessariamente i tessuti sia perché, pur raggiungendoli, non viene utilizzato a fini nutritivi. Dal punto di vista clinico, il paziente con shock distributivo trattato con infusione di fluidi si presenta caldo, con estremità ben irrorate e con una bassa pressione diastolica. L'alterazione della perfusione a livello renale si manifesta con una ridotta produzione di urina e a livello cerebrale con uno stato confusionale. Lo shock settico è causato da numerosi mediatori dell'infiammazione che comportano una riduzione del tono dei vasi arteriosi. La perdita dell'autoregolazione dei vasi comporta le alterazioni metaboliche presenti nella sepsi e nello shock settico. Inizialmente si pensava che i mediatori dell'infiammazione aprissero delle microconnessioni tra arterie e vene, impedendo al sangue di giungere a livello dei capillari e quindi delle cellule. Questo avrebbe spiegato le ridotte resistenze vascolari presenti nello shock settico. Tuttavia questo fenomeno non è stato realmente individuato. È stata quindi ipotizzata la presenza di shunt 'funzionali' da difetti della regolazione del microcircolo, che comporta da una parte l'esagerata perfusione dei tessuti con metabolismo ridotto, dall'altra vasocostrizione e/od occlusione di vasi che irrorano aree con metabolismo elevato, dando luogo a ipossia relativa e sofferenza cellulare (acidosi lattica). Una terza teoria mette in relazione i mediatori circolanti con le alterazioni metaboliche cellulari da cui deriverebbe una riduzione della produzione energetica. Tuttavia vari studi condotti su animali stanno a dimostrare che nella sepsi la produzione di energia non è ridotta come ci si potrebbe aspettare. I germi responsabili dell'attivazione infiammatoria sono i batteri gram-negativi in una elevata percentuale di casi (dal 50% al 70%), seguono i batteri gram-positivi, ma possono essere chiamate in causa anche le infezioni virali, fungine e da protozoi. L'evoluzione dello shock è ancora gravata da una mortalità elevata (in media 50%). Lo shock anafilattico è una forma di shock distributivo causata dal rilascio di sostanze da parte di cellule presenti nei tessuti (mastociti) e circolanti (basofili). L'anafilassi è una reazione di ipersensibilità immediata dovuta al contatto tra le immunoglobuline E (anticorpi) presenti sulla superficie delle cellule e una sostanza estranea (antigene). Questo legame determina il rilascio di sostanze da parte di mastociti e basofili che inducono vasodilatazione, aumento della permeabilità dei capillari con edema, broncocostrizione, orticaria con quadri sistemici di ipotensione e insufficienza cardiaca. Le sostanze che mediano questa risposta includono l'istamina, la serotonina, un fattore di richiamo delle cellule eosinofile e vari enzimi che inducono la scissione delle proteine. In via secondaria sono sintetizzate e liberate sostanze che danno luogo, nel loro complesso, alla reazione anafilattica clinicamente indistinguibile dalla reazione anafilattoide in cui il rilascio dei mediatori non è dipendente da una reazione immunitaria. Le sostanze in grado di stimolare anafilassi possono variare dal veleno inoculato a seguito di punture di insetti a certi farmaci, in particolare antibiotici. Inoltre può stimolare anafilassi la presenza nell'organismo di molecole estranee, quali siero eterologo o proteine, verso le quali si è sviluppata sensibilità anticorpale (per es. uova), o trasfusioni di sangue incompatibile almeno in qualche suo componente. Le reazioni anafilattoidi possono invece dipendere da agenti chimici, farmaci o molecole usate nei liquidi di infusione, quali polisaccaridi e amidi. Lo shock neurogeno è generato dalla compromissione del controllo vasomotorio da parte del sistema nervoso, il quale viene a essere interessato da traumi o patologie infiammatorie oppure degenerative. Il coinvolgimento del midollo spinale è una classica condizione in cui si manifesta lo shock come conseguenza della dilatazione dei vasi venosi e dei vasi arteriosi che estendono il volume del letto vascolare rispetto al contenuto di sangue, con conseguente calo della pressione sanguigna. L'insufficienza della ghiandola surrenale, dovuta a neoplasia o disfunzione, comporta la ridotta produzione di ormoni mineralcorticoidi e glucocorticoidi con calo della pressione sanguigna, sensibile solo alla immissione in circolo di ormoni sostitutivi.
4. Quadro clinico
Un quadro presente nelle varie forme di shock è la risposta cardiovascolare come meccanismo di compenso al ridotto circolo vascolare. Tachicardia, tachipnea e oliguria sono di norma presenti e si accompagnano ad alterazioni dello stato di coscienza. Questo quadro rappresenta un tentativo di compenso che nello shock ipodinamico (ipovolemico, cardiogeno e ostruttivo) si accompagna a una massiva stimolazione del sistema ormonale simpatico, rivelata clinicamente dalle estremità fredde. Lo shock ostruttivo presenta segni che indirizzano verso la natura dell'ostruzione. Nell'embolia polmonare, per es., sono presenti dispnea e segni di insufficienza del ventricolo destro. Nello shock settico invece, e nelle altre forme di shock distributivo, come detto, il paziente si presenta caldo e apparentemente ben perfuso. La febbre è spesso l'espressione più evidente dello shock settico sebbene vi siano pazienti che si presentano afebbrili e non hanno segni evidenti di infezione. L'obiettivo base della terapia dello shock circolatorio è il ripristino della perfusione agli organi vitali e ai tessuti prima che insorga un danno cellulare.
bibliografia
e.w. archibald, w.s. mclean, Observations upon shock, with particular reference to the condition as seen in war surgery, "American Surgical Association. Transactions", 1917, 35, p. 522.
Battle casualties in Korea. Surgical research team in Korea, 1° vol., Washington, Army Medical Graduate School, Walter Reed Medical Center, 1954.
a. blalock, Acute circulatory failure as exemplified by shock and hemorrhage, "Surgery, Gynecology and Obstetrics", 1934, 58, pp. 551-66.
id., Shock: further studies with particular reference to the effects of hemorrhage, "Archives of Surgery", 1937, 29, p. 837.
w.b. cannon, Traumatic shock, New York, Appleton, 1923.
f.b. cerra, Shock, in Surgical physiology, ed. J.F. Burke, Philadelphia, Saunders, 1983, pp. 497-508.
a. cournand et al., Studies of the circulation in clinical shock, "Surgery", 1943, 13, p. 964.
g.w. crile, An experimental research into surgical shock, Philadelphia, Lippincott, 1899.
m.p. fink, Shock. An overview, in Intensive care medicine, ed. J.M. Rippe et al., Boston, Little, Brown, 1991, pp.1417-34.
r.j. goldberg et al., Cardiogenic shock after acute myocardial infarction: incidence and mortality from a community-wide perspective, "New England Journal of Medicine", 1991, 325, p. 1117.
l.b. hinshaw, b.g. cox, The foundamental mechanisms of shock, New York, Plenum Press, 1972.
a. kumar, j.e. parrillo, Shock. Classification, pathophysiology, and approach to management, in Critical care medicine. Principles of diagnosis and management, ed. J.E. Parrillo, R.C. Bone, St. Louis (MO), Mosby, 1995, pp. 291-339.
e.a. morris, A practical treatise on shock after operations and injuries, London, Hardwike, 1867.
d.l. page, j.b. caulfield, j.a. kastor, Myocardial changes associated with cardiogenic shock, "New England Journal of Medicine", 1971, 285, p. 133.
l.g. thijs, a.b.j. groenveld, Peripheral circulation in septic shock, "Applied Cardiopulmonary Pathology", 1988, 2, p. 203.
f.j. wackers, k.i. lie, a.e. becker, Coronary artery disease in patients dying from cardiogenic shock or congestive heart failure in the setting of acute myocardial infarction, "British Heart Journal", 1976, 38, p. 906.
h.y. wei, g.m. hutchins, b.h. bulkley, Papillary muscle rupture in fatal acute myocardial infarction: a potentially treatable form of cardiogenic shock, "Annals of Internal Medicine", 1979, 90, p. 149.
m.h. weil, Bacterial shock, in Diagnosis and treatment of shock, ed. M.H. Weil, H. Shubin, Baltimore, Williams and Wilkins, 1972, pp. 156-70.